1 gennaio 2024

Affrancarsi dai bisogni dell'altro

«E’ giusto fare così ed è impensabile fare diversamente». Quando queste parole sono accompagnate da un atteggiamento difensivo, che non accetta di verificarle, o aggressivo, che cerca di imporle agli altri, nascono da paure potenti e quasi sempre inconsce, tese a salvaguardare qualcosa che per te è vitale.

E’ però un modo controproducente: il bisogno puoi soddisfarlo pienamente solo all’interno di una relazione serena, positiva, dove ti prendi cura dell’altro perché lo ami e hai fiducia in lui e da lui ti senti amato e oggetto di fiducia. Strappandogli con la manipolazione o la violenza ciò di cui hai bisogno, otterrai un aborto dell’affetto che cerchi; distruggendoti per essere a misura delle prestazioni che il tuo bisogno di validità esige da te, o, al contrario, evitando di fare per paura di sbagliare, di non essere all’altezza, verrai risucchiato dal “nulla”.

Tutti, nessuno escluso, in misura più o meno grande, ci ritroviamo in una o nell'altra di queste situazioni, creando problemi a noi stessi (salute, insoddisfazioni) e agli altri (attriti, litigi).

Quando finalmente ci rendiamo conto che il problema è nostro, ci proponiamo di uscirne, cerchiamo di farlo, a volte lo facciamo e poi... ci ricadiamo. Ci vuole pazienza con noi stessi: il crescere della consapevolezza derivante dal problematizzare il nostro comportamento ci porterà a una sempre maggiore libertà dalla schiavitù del nostro bisogno.

E, mentre facciamo la nostra parte col nostro problema, cosa fare quando il problema degli altri ci coinvolge, limitando, oltre alla loro, anche la nostra libertà? Kaire: rallegrati! Entra nella fede che con Cristo, vivendolo nel suo Spirito, a tutto puoi dare un senso, volgendolo in crescita verso un bene maggiore per te e per loro.

Come dare un senso? E quale senso? C'è un solo senso che realizza in pienezza il nostro essere uomini: l'amore reciproco (“Amatevi gli uni gli altri”, Gv 13, 34). Ma l'amore ha una imprescindibile condizione d'esistenza: la libertà, che mi permette di donarmi all'altro per quel che sono, non per quel che lui vuole e che vuol costringermi a essere per poter soddisfare il suo bisogno. Ed è proprio quel che tu non vorresti da me che ti è più utile, che è la vera ricchezza che posso darti, perché costituisce una risorsa in più a tua disposizione per capire altri aspetti della vita, altri modi, oltre al tuo, di viverla, utili per quando essa ti si presenterà più difficile di quanto non lo sia ora o, semplicemente, per fare la tua parte quando deciderai di affrontare, rispettandomi, il problema che ci coinvolge dolorosamente entrambi.

Ma cosa significa amare nella libertà?

In primo luogo, lasciarti essere quel che hai deciso di essere. Il bene o il male che ne nasce diranno se si tratta di verità o di illusione. Per ora non posso dirlo io, ma nemmeno tu. Per questo posso aiutarti ad approfondire il tuo punto di vista confrontandolo col mio.

Non meno importante, lasciarmi essere quel che io ho deciso di essere. Assecondarti non è amarti: lasciando che le tue paure influenzino anche i miei comportamenti, confermerei la loro plausibilità. Evitando di dire o di fare quel che sento mi appartiene, ma a te fa male, nasconderei i sintomi di una malattia che richiederebbe ben altra cura e che, aspettando, si aggraverà.

La disunione non nasce dal seguire strade diverse, ma dal rifiutare di riconoscere la dignità di strade diverse dalla propria: questo è negare il valore dell'altro! Solo un rapporto paritario, fatto di reciproca stima e fiducia, può durare nel tempo e venire incontro, in maniera corretta e costruttiva, ai bisogni di ciascuno.

                                                                                     Michele Bortignon


Ascolta il testo

Nessun commento:

Posta un commento