14 aprile 2024

Gli Etruschi e la morte

Curioso: quando ci si muove per l’Italia tra chiese e musei, le opere d’arte a tema religioso ci parlano insistentemente, ossessivamente della morte. Dipinti che raffigurano le più atroci torture dei nostri irraggiungibili santi o che immaginano un al di là che, sì, è tutto nuvole e voli per i buoni, ma è inquietante per chi (e chi non ci si ritrova?) non è stato alle regole.

Quanta parte abbiamo avuto noi cristiani nel costruire un immaginario terrifico attorno alla morte, questa dimensione così umana, di cui però nulla possiamo sapere e che il nostro credo riveste di speranza?! Me lo chiedevo osservando con interesse i sarcofagi delle tombe etrusche, così diversi da quelli dei nobili tumulati in certe chiese o da certe tombe monumentali dei nostri cimiteri. Qui tutto è dolore, pianto, solennità, nella raffigurazione di una fine che così poco suggerisce la speranza di una risurrezione.

Il defunto etrusco invece, sopra alla cassa in pietra o in cotto, viene raffigurato sdraiato sul suo triclinio, nella posa che egli assumeva in uno dei momenti più gioiosi della sua vita: il simposio. Che cos’è un simposio? È la parte finale del pranzo conviviale, in cui ci si rilassa sorseggiando una coppa di vino, ascoltando musica, conversando amabilmente con gli amici o i parenti. E, all’interno della grande tomba familiare, sui loro sarcofagi rivolti gli uni verso gli altri i defunti potevano continuare per l’eternità a intrattenersi vicendevolmente.

Quello che rappresentiamo in terra trova il suo compimento in cielo: questo credevano gli antichi. Ed ecco allora che la loro speranza, il loro “paradiso”, era appunto quella di vivere per sempre quel che più piacevolmente facevano in vita: stare assieme alle persone care, intrattenendosi su ciò che rende significativa la vita (ricordiamo, ad esempio, proprio il “Simposio” di Platone), gustando il piacere del cibo, del vino, della musica, del pensare con saggezza, della buona compagnia.

E questa speranza non diventa forse un invito a cercare di vivere il più intensamente possibile questi momenti, così da renderli già qui e ora il paradiso in cui vivere per sempre?

Questa speranza di una continuità veniva sostanziata dal provvedere al defunto le suppellettili necessarie ad allestire il suo convivio ultraterreno: piatti, coppe, orci; e sulle pareti delle tombe (possiamo vederli nella necropoli di Monterozzi a Tarquinia) i dipinti ricreavano lo sfondo del simposio, a renderlo vivo, immortalando l’attimo in un presente eterno.

Non è interessante notare che in ogni tempo l’uomo cerca un modo per superare la tragedia della morte e arrivare alla felicità? E guardare a cosa fanno gli altri ci apre la mente, arricchendo di stimoli il nostro modo di pensare e… di credere.

                                                                                                          Michele Bortignon

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