Il giorno dopo, per la terza volta don Manuel tornò all’ospedale, da Jeronima. Voleva chiederle indicazioni per parlare con qualcuno che fosse stato seguito personalmente da Iñigo in quel percorso che chiamavano “Esercizi Spirituali”, per capire di cosa si trattasse.
«Puoi chiedere a Canyelles» gli rispose Jeronima. «Abita non lontano da qui, in calle Sobrerroca».
Giunto sul posto, gli venne ad aprire una donna sui quarant’anni, alta e magra. Fin dalla prima occhiata lo colpì una strana sensazione… come se quei tratti non gli fossero nuovi. Eppure era impossibile che l’avesse già conosciuta.
Scacciò quella sensazione e fece la sua richiesta: poteva condividere con lui l’esperienza spirituale che aveva fatto con Iñigo? Ne aveva bisogno per valutare se anche per sé poteva essere un modo per affrontare un certo problema, da cui fino ad ora non era stato capace di uscire.
«Volentieri!» rispose subito la donna. «Iñigo ci diceva sempre che la nostra esperienza di vita con Dio, tanto più quando si tratta di una risurrezione da una situazione di morte interiore, è un talento da spendere per aiutare altri, feriti dalla nostra stessa situazione, per dar loro la speranza che, appoggiandosi a Dio, ce la faranno anche loro».
Entrarono in casa. Passando davanti a una stanza, la donna ne aprì la porta. Un semplice letto e una sedia costituivano tutto l'arredamento. E, sulla sedia, un vaso con dei fiori freschi.
«Questa era la stanza di mia madre. E’ morta qualche giorno fa. Gli ultimi mesi sono stati un’agonia; e non solo per lei. Lottava contro la morte, che non riusciva a strapparle l’ultimo respiro, ma intanto l’aveva paralizzata in tutto il corpo. Con una famiglia sulle spalle come la mia, è stato impegnativo doverle prestare le cure continue di cui abbisognava; anche, e soprattutto, per la pena che suscitava. E, in questa situazione pesante, quel che era peggio è che non riuscivo a trovare conforto nella preghiera. Provai a rivolgermi a Iñigo, che alcune amiche stimavano molto per essere state aiutate spiritualmente da lui.
Già al primo colloquio, il discorso scivolò sulla figura di mio padre: «Il papà era autoritario, non mi ha mai mostrato affetto» gli confidai. «Ciò ha provocato in me distacco nei suoi confronti e una sottile paura di non riuscire. Mi sembra di non aver mai avuto desideri, perché papà mi diceva tutto quello che dovevo fare. Il mio destino era prestabilito da lui».
«Ma… si sente bene?». Don Manuel era impallidito improvvisamente e il respiro gli si era fatto affannoso. «Mi scusi. Adesso mi passa».
«Cosa sta succedendo?» pensò. «Questa storia è la mia…! Perché, Signore, mi costringi a guardarmi in questo specchio?». Provò a fare qualche respiro profondo, cercando di calmarsi. «La prego, continui…».
«Iñigo capì che l’immagine di mio papà si era riversata su Dio, per cui facevo fatica a sentirlo come amore quando pensavo a Lui come Padre. La paura di essere castigata mi impediva di rivolgermi a Lui per essere abbracciata e consolata ora che ne avevo bisogno perché stavo male. A confermarlo, un sogno continuava a ripetersi: «Mi trovo su una scala a pioli la cui base è avvolta dal fuoco, per cui non posso scendere. La sommità della scala porta nel buio. Al di là, una voce mi dice “Salta, che ti accolgo!”, ma io ho paura e non mi butto, per cui resto bloccata, senza poter andare oltre. Vorrei aver fiducia, tanto da saltare anche se non vedo dall’altra parte. Ma me ne manca il coraggio».
Iñigo mi propose di pregare il salmo 23 («Vi troverai un Dio che è padre che guida e madre che accoglie») e il 131 (“Io sono tranquillo e sereno come un bimbo svezzato in braccio a sua madre”).
Nel salmo 23 mi colpì la figura del pastore col bastone: mi richiamava mio padre che mi castigava. Anche il salmo 131 non mi aveva reso “tranquilla e serena”: un Dio che castiga non poteva certo abbracciarmi!
Facendo il collegamento con la mia storia di adesso, sentivo comunque che Dio mi chiamava alla fiducia: «Il Signore mi sta chiedendo di aver fiducia in Lui, nel suo amore: il suo bastone non serve per castigare, ma per ricondurre all’ovile la pecora perduta. Mi sta facendo sentire che non sono sola ad affrontare la situazione pesante che sto vivendo; non mi fa mancare il suo appoggio, facendomi incontrare sempre qualcuno che mi dà una mano».
Per confermare e consolidare questo pensiero, Iñigo mi ricordò Isaia 49: “Sion ha detto: «Il Signore mi ha abbandonato, il Signore mi ha dimenticato». Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se queste donne si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai. Ecco, ti ho disegnato sui palmi delle mie mani…”: «Hai indebitamente sovrapposto l’immagine di tuo padre a quella di Dio; la parola di Dio esprime il suo volto autentico, che è amore e misericordia, non pretesa e castigo».
Un passo avanti per scoprire come questo amore era stato concretamente presente nella mia vita avrei poi potuto intuirlo nel brano del vasaio, raccontato dal profeta Geremia1: «Sentiti accarezzata e plasmata dalla mano dolce ma ferma di Dio» mi disse. «Attraverso quali esperienze Dio ti ha fatto diventare quel che sei? Quali talenti ha fatto maturare in te attraverso di esse? Scoprirai così che l’amore di Dio non è una teoria, ma si esprime concretamente nell’accompagnare la nostra vita».
Gustai moltissimo il brano di Geremia: «La mia vita doveva essere perfetta, conforme alla volontà di mio padre, senza poter sbagliare. Dio invece, quando il vaso si crepa, riprende tutto in mano e riforma di nuovo. Ho gustato la dolcezza delle sue mani che mi hanno modellata finora, il suo rincuorarmi, il suo accarezzarmi con fiducia e con amore. Questo mi ha rasserenata e mi ha dato una sensazione di libertà. Prima non riuscivo a dare un significato all’amore, perché era sempre subordinato a quello che dovevo essere; non mi sentivo amata per quello che ero. L’amore di Dio mi dà ora la forza di dare quello che sono io e non ciò che vogliono gli altri. Sento che Dio mi è vicino, ma la sua è una presenza delicata, non impone. Ho rivissuto ciò che mi era stato presentato come peccato e che mi aveva causato angoscia; Dio me l’ha fatto accettare con serenità perché Lui rimodella, non butta via».
«Qual è ora il tuo desiderio?» mi chiese allora Iñigo.
«Che Dio tiri fuori da me quello che sono e non ciò che dovrei essere. Inoltre di continuare ad approfondire e fondare in me questo suo volto che ora sto scoprendo e che mi dà serenità».
Iñigo riprese: «Vorrei farti incontrare un Dio che non condanna, ma che è dalla tua parte per risollevarti quando cadi e ti fai male. Ricordi quando Gesù ferma i giudei che volevano lapidare l’adultera2? Perché Gesù non la condanna? Come vede il peccato? Come dunque ti vede quando sbagli? Cogli il suo sguardo su di te, e gustalo: guardalo guardarti con bontà e umiltà».
Mettendomi al posto dell’adultera, mi accorsi che davo più importanza a quello che dicevano gli accusatori che non a ciò che mi diceva Gesù. «Come al solito: non riesco ad essere me stessa quando mi sento giudicata dagli altri. Come vorrei riuscire a fare ciò che è giusto indipendentemente da ciò che pensano gli altri!» gli confidai.
Restava la paura del giudizio: «Faccio fatica a cogliere su di me uno sguardo misericordioso. Se ho sbagliato mi aspetto un castigo. Gesù mi dice che il suo sguardo non è minaccioso, …ma io continuo ad avvertirlo tale».
Nell’episodio della peccatrice in casa di Simone fariseo3, Iñigo individuò il brano che avrebbe potuto aiutarmi a scindere lo sguardo d’amore di Dio da quello di giudizio degli altri, senza continuare a sovrapporli. «Devi imparare ad affrontare la difficoltà e la tensione appoggiandoti sull’amore di Dio: nel brano, il desiderio della peccatrice di fare ciò che è giusto (avvicinarsi a Cristo) deve realizzarsi sotto lo sguardo di giudizio del fariseo» disse.
E mi offrì anche un altro spunto: come la peccatrice accarezzava, lavava, profumava i piedi di Gesù, anch’io avrei potuto rivivere quell’esperienza di relazione fisica con Cristo accarezzandolo in mia madre ammalata, in mio marito, nei miei figli.
Pregando quel brano finalmente riuscii a sentirmi guardata con amore, senza sovrapporre a Dio l’immagine paterna. Era vero: il giudizio è del fariseo, non di Gesù!
«Continua a chiedere a Dio la libertà interiore di fare ciò che è giusto senza guardare a ciò che dicono gli altri, recuperando fiducia in te stessa» mi disse sorridendo.
Capii allora che potevo concludere il mio percorso spirituale: mi ero scrollata di dosso un peso enorme: accogliendomi come sono, Dio mi aiutava ad essere me stessa, non un’altra persona come prima facevo per accontentare gli altri».
Per don Manuel era stato uno sforzo immenso rimanere ad ascoltare quel racconto che lo riportava a guardare in faccia il proprio vissuto. Dopo aver frettolosamente salutato, scusandosi per non stare troppo bene, uscì in strada e, fatti alcuni passi barcollando, si appoggiò al muro di una casa, scosso da violenti conati di vomito. Buttò fuori tutto quel che aveva in corpo. Ma quel peso che aveva dentro… quello no. Quello continuava a pesargli come un macigno… e non solo sullo stomaco.
1 “Questa parola fu rivolta a Geremia da parte del Signore: «Prendi e scendi nella bottega del vasaio; là ti farò udire la mia parola». Io sono sceso nella bottega del vasaio ed ecco, egli stava lavorando al tornio. Ora, se si guastava il vaso che egli stava modellando, come capita con la creta in mano al vasaio, egli rifaceva con essa un altro vaso, come ai suoi occhi pareva giusto”. Ger 18, 1-4.
2 Gv 8, 1-11
3 Lc 7, 36-50