1 giugno 2023

La fede nella risurrezione: bivio tra due approcci alla vita


La tentazione, a cui fa cenno Paolo riferendosi ad alcune persone della comunità di Corinto (1 Cor 15), di ritenere la risurrezione non indispensabile per la salvezza, è sempre molto seduttiva, soprattutto al giorno d’oggi, per la nostra mentalità razionalista. Di Cristo si apprezza il suo essere maestro di vita, esempio da imitare, amico che ci ama fino in fondo. Ma questa visione presuppone una sostanziale estraneità di Dio alla storia umana: siamo infatti convinti che la vita dobbiamo gestircela da soli, e di poterla portare a realizzazione se, dopo aver compreso che cosa è bene per noi, anche ispirandoci agli insegnamenti di Gesù, lo mettiamo in pratica con la nostra buona volontà.

L'esperienza ci dice però che da soli non siamo capaci di risorgere da certe situazioni di sofferenza o di fatica che ci uccidono, tutt’al più di rianimarci. La risurrezione è opera dello Spirito su una persona esistenzialmente morta per portarla a una vita strutturalmente diversa dalla precedente. Non si tratta di un miglioramento, seppur sostanziale. E’ un vivere non più auto-gestiti, ma etero-gestiti, come dice di sé San Paolo: “Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me” (Gal 2, 20). Dio risorge una persona per vivere in lei, per incarnarsi in lei. E questo, lontano dall’annullarla, la fa invece diventare pienamente se stessa, come Lui da sempre l’ha pensata e sognata (cfr. Ger 1, 5): radicalmente libera dai condizionamenti di un io malato.

Se non ci fosse risurrezione, non servirebbe la fede, ma solo buon senso, intelligenza, disponibilità a convenire su ciò che è giusto, valutando la proposta di vita che Cristo ci fa. Sarebbe l'adesione a una filosofia di vita.

Se Dio non è coinvolto nella nostra vita, come si crede quando si afferma che non esiste la risurrezione, viene allora naturale concepire la vita come impresa dell’uomo e non come risposta a una chiamata di Dio da discernere nelle varie situazioni che ci troviamo ad affrontare.

Adamo è il prototipo dell’empio: colui che si costruisce una propria giustizia perché non crede in un Dio coinvolto nella propria storia per farla diventare occasione di salvezza.

Gesù Cristo, invece, è il figlio: colui che nella propria vita, passione, morte e risurrezione ha vissuto l’affidamento radicale al Padre, alla sua volontà discreta nel qui e ora di ogni momento della propria storia.

A noi dunque scegliere quale uomo essere: Adamo o Gesù? Colui che programma il proprio destino o colui che si affida? Colui che affronta la vita come un caso da gestire o colui che la crede un cammino accompagnato dalla provvidenza divina? Colui che usa della propria libertà per difendere la propria vita, secondo ciò che ritiene giusto o sbagliato, o colui che l’utilizza per donarsi più pienamente all’amore accogliendo le mozioni dello Spirito di Dio?

Ma l’esito è scontato: in Adamo si muore, in una solitudine illusa di potenza; in Cristo si riceve la vita: l’esperienza e la prospettiva di un amore illimitato, che supera il confine della morte. La vita vissuta nella fede, qualunque morte si trovi ad affrontare, si apre alla risurrezione.

 

Condividere la gioia di Cristo risorto (EE.SS. n.221) non significa semplicemente gioire per la sua sorte, ma rifare la sua esperienza di risurrezione dalla morte per sperimentare la sua stessa gioia. Risurrezione che, esistenzialmente, è sperimentare che Dio risponde con fedeltà alla mia fede che lo crede capace di darmi la vita in una situazione di morte accolta come incontro con Gesù Cristo, in cui abbandonare nella tomba il mio spirito e nel suo Spirito risorgere.

Quell’allietarmi e gioire intensamente, che Sant’Ignazio fa chiedere come grazia, non è dunque soltanto l’obiettivo e l’esito dell’esperienza di risurrezione, ma l’esplicarsi concreto di un atteggiamento di fede che, nell’esperienza di morte che stiamo sperimentando, lo proclama salvatore, Dio fedele alle sue promesse, “capace di far risorgere anche dai morti” (Eb 11, 19): “Di questo gioisce il mio cuore: perché non abbandonerai la mia vita nel sepolcro, né lascerai che il tuo santo veda la corruzione. Mi indicherai il sentiero della vita, gioia piena nella tua presenza, dolcezza senza fine alla tua destra” (Sal 16, 9-11).

 

Michele Bortignon

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