9/01/2025

Qual è la voce giusta?

 

«Mi sembra di aver capito questo…, ma qualcosa mi dice che non è così»;

«D’accordo: tutti fanno così e si è sempre fatto così, ma a me questo non convince»;

«Obbedienza sì, ma in questo caso la mia coscienza mi parla altrimenti»;

«Ho capito quel che mi hai detto, mi sembra anche convincente; eppure c’è qualcosa che non mi quadra».

Quante volte abbiamo rimuginato dentro di noi frasi simili a queste?

Due voci: una che si presenta evidente, condivisa da tanti altri, appoggiata dall’autorità, conforme alla tradizione, chiara nelle sue ragioni; l’altra fatica a spiegarsi, è più una sensazione, ma è insistente e non ti lascia in pace finché non le presti attenzione e, se la metti a tacere, continua a roderti dentro.

E’ la situazione normale che ci troviamo a vivere quando ci confrontiamo col diverso: idee, persone, situazioni nuove. Il passato che abbiamo vissuto, il contesto in cui viviamo ci danno tutti i motivi per continuare come abbiamo sempre fatto, per non uscire dai sentieri battuti, per adeguarci alla mentalità corrente. Ma una sensazione di estraneità a tutto questo ci spinge a cambiare.

Che facciamo: ci allineiamo per non creare problemi? oppure ascoltiamo la voce del disagio e prendiamo una strada che neanche a noi è chiara, mettendoci contro tutto e contro tutti? Diamo ascolto all’evidenza delle idee o all’evidenza delle sensazioni?

Se abbiamo scelto di fidarci della voce che ci porta a essere fedeli a noi stessi, l’altra rientra in campo e si mette a gridare e ci spaventa: «Ma sei matto? Come si può anche solo pensare di fare una cosa del genere? Fare del bene sì, ma questo è troppo! Non riuscirai a reggere! Tutto si risolverà in un disastro». La prima torna più tardi, timida, e sottovoce ti dice «Calma. Respira. Aspetta. Io sono con te. Pensiamoci assieme».

A quale dare retta? A chi grida o a chi sussurra? A chi ti mette a tacere con le sue ragioni o a quel disagio che ti chiama a continuare a cercare?

Anche ad Abramo è toccato questo discernimento.

Assecondando la gelosia di Sara, ha scacciato nel deserto Agar e il figlio che ha avuto con lei, destinando entrambi a una morte certa. E ora i sensi di colpa lo rodono e prendono la parola dicendogli di compensare morte con morte: non puoi realizzare i tuoi desideri compiendo un’ingiustizia! E’ così pressante questa voce, è così convincente nelle sue ragioni, che Abramo la prende per la voce di Dio.

Ma, anticipata dalla voce di Isacco, il bisogno innocente, si fa largo una seconda voce che, al di là di ogni ragione più o meno ragionevole, prende le parti della vita. La vita è l’ultima istanza, quella che mai dev’essere calpestata o messa in secondo piano; tutto il resto è manipolazione. Gli altri possono dire ciò che vogliono, i miei sensi di colpa, di inferiorità, di indegnità possono cercare di bloccarmi, ma il cuore -l’amore che mi apre alla vita- ha ragioni che la ragione non comprende. E quel che è in sintonia con la vita lo sento un bene, perché mi fa sentire bene con me stesso e mi dà una pace vasta, profonda e duratura, pur in mezzo agli inevitabili contrasti.

Gesù è ben consapevole di questa lotta che si svolge dentro di noi, e ci dice cosa distingue la voce di chi cerca di manipolarci dalla sua, che, come un pastore, ci guida al nostro bene: “Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza” (Gv 10, 10).

Ma che cos’è Vita?

Non posso dire che cosa è la Vita, ma posso sentirla dentro di me. Posso sentire che qualcosa di immensamente più grande di me mi possiede e mi fa immensamente più grande di me. Se la vita è Vita, c’è sangue che scorre in essa: c’è calore, c’è passione, c’è bellezza. E l’esistenza mi è data per sperimentare la mia capacità di trasformarla in Vita, una vita talmente piena da diventare eterna, ossia una benedizione per tutti e per sempre.

La Vita diventa così il criterio di discernimento delle scelte: solo ciò che dà Vita è vero, è giusto, è buono, è bello.

Michele Bortignon

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