vivere
nell’Amore
“L'esperienza è il tipo di
insegnante più difficile:
prima ti fa l'esame, poi ti
spiega la lezione”
Oscar Wilde
Kaire intende valorizzare,
accanto al metodo ignaziano, l’esperienza di vita in Cristo dell’accompagnatore
come aiuto al cammino spirituale dell’esercitante.
Questo modo di accompagnare si
rifà alla redazione degli Esercizi Spirituali di Sant’Ignazio di Loyola: “Dopo
che ebbe narrato queste vicende, il 20 di ottobre io chiesi al pellegrino
qualche notizia sugli Esercizi e sulle Costituzioni, desiderando conoscere come
li aveva composti. Mi rispose che gli
Esercizi non li aveva scritti tutti di seguito, ma quello che accadeva
nell'anima sua e trovava utile, ritenendo che avrebbe potuto giovare anche ad
altri, lo annotava” (Ignazio di Loyola, Autobiografia, 99).
Con quello che abbiamo imparato dal vivere con Dio le situazioni del
nostro quotidiano ci facciamo allora compagni di strada delle persone a cui Lui
ci mette accanto. Per poter accompagnare occorre dunque un bagaglio,
continuamente rinnovato, di esperienze vissute con Dio, perché accompagnare è lasciare
che lo Spirito parli alla persona che abbiamo davanti anche e soprattutto a
partire da ciò che abbiamo vissuto con Dio.
In che modo possiamo far
diventare le nostre esperienze un aiuto per gli altri?
Santa Teresa d’Avila, riflettendo
sulle proprie e riportandole nei suoi scritti, la fa diventare un messaggio a
disposizione di chi sta vivendo una situazione analoga alla sua.
Vivere, pregare, capire,
scrivere; e, a distanza di tempo, ritornare sul proprio vissuto, comprenderlo
più a fondo con una visione fattasi ora globale, infine oggettivarlo in un
testo metodologico per farlo diventare un contenuto, uno strumento del nostro
accompagnare. In questo percorso, l’esperienza entra a far parte del proprio
essere come lezione di vita e da qui emerge come aiuto nell’ambito
dell’accompagnamento.
E’ un percorso che ogni
accompagnatore Kaire è chiamato a fare e rifare con le proprie esperienze. L’accompagnamento non è soltanto
applicazione di un metodo, ma relazione viva di un’esperienza che vive con Dio
con un’altra che lo sta cercando. E in questa relazione Dio si fa presente
prendendo dall’una per donare all’altra.
Al di là della competenza nel metodo (comunque necessaria), egli è
dunque in grado di accompagnare in proporzione alla profondità della propria
vita spirituale.
L’accompagnatore può allora aver bisogno di essere aiutato a discernere,
per poter trasformare le situazioni che sta vivendo in esperienze di vita con
Cristo, più che di essere supervisionato nel suo accompagnare, come richiesto
da altri percorsi. Nel Kaire, è la consapevolezza e la profondità della
vita spirituale dell’accompagnatore a dare la garanzia che il suo
accompagnamento sarà improntato dallo stesso Spirito che egli sta vivendo. Se lo Spirito di Cristo è presente nella sua
vita, certamente si esprimerà anche nel suo accompagnare. Un consiglio
sul modo di accompagnare gli esercitanti gli potrà certamente essere dato su sua
richiesta, ma in nessun caso gli verrà imposto un controllo.
Come la legge per
il cristiano, così il metodo per l’accompagnatore è un pedagogo, a cui la
maturazione spirituale fa seguire una spontaneità nello Spirito Santo che gli
deriva dal suo vivere in Cristo. Un metodo è dunque indispensabile per fare i
primi passi, ma poi l’accompagnatore deve muoversi in ascolto dello Spirito.
“Quell’eccezionale
comunicatore che fu l’apostolo Paolo ci offre una lezione che va proprio al
centro del problema “come parlare di Dio” con grande semplicità.
Nella Prima Lettera ai Corinzi scrive:
«Quando venni tra voi, non mi presentai ad annunciarvi il mistero di Dio con
l’eccellenza della parola o della sapienza. Io ritenni infatti di non sapere
altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso» (2, 1-2). Paolo
non parla di una filosofia che lui ha sviluppato, non parla di idee che ha
trovato altrove o inventato, ma parla di una realtà della sua vita, parla del Dio
che è entrato nella sua vita, parla di un Dio reale che vive, ha parlato con
lui e parlerà con noi, parla del Cristo crocifisso e risorto. Comunicare la
fede, per san Paolo, significa dire apertamente e pubblicamente quello che ha
visto e sentito nell’incontro con Cristo, quanto ha sperimentato nella sua
esistenza ormai trasformata da quell’incontro: è portare quel Gesù che sente
presente in sé ed è diventato il vero orientamento della sua vita, per far
capire a tutti che Egli è necessario per il mondo ed è decisivo per la libertà
di ogni uomo” (Benedetto XVI°,
udienza 28.11.2012).
Settembre 2004. Nei miei esercizi a Capiago
emerge con forza la necessità che quel che trasmetto agli altri nasca dalla mia
esperienza di Dio vissuta nel quotidiano della mia realtà di laico: “Il dono
che il Signore mi ha dato -di aiutare le persone ad incontrarlo- mi sento
chiamato a viverlo a partire dalle esperienze che Lui mi fa fare. E, in quanto
laico, soprattutto a partire dal mio vivere con Lui le mie esperienze in famiglia,
nel lavoro, nella società. E’ come se mi dicesse: «Sii per gli altri a partire
da quel che tu vivi con me. Non un ripetitore, ma uno che vive con me; e da
qui aiuta gli altri a vivere con
me»”.
Il
secondo pilastro:
aiutare
a vivere nell’Amore
“Ecco, io faccio una cosa
nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?
Aprirò anche nel deserto una
strada, immetterò fiumi nella steppa”
Is 43, 19
Il coinvolgermi fino in fondo nella vita delle persone che accompagno
ha significato l’affrontare problemi che vedevo bloccarne il cammino
spirituale, che causavano in loro difficoltà di relazione non superabili con
una semplice scelta di adesione ai criteri di Cristo, in cui il semplice
impegno non era cioè sufficiente. In questo, la psicologia mi è d’aiuto nel
capire dove si colloca il problema. Ne è nato un modo di accompagnare
spiritualmente che aiuta le persone ad entrare con Cristo nei propri “inferi”
perché Egli possa guarire le ferite che continuano a condizionare i loro
comportamenti.
25.1.2002. Mentre io pregavo
per la ragazza bulimica che sto accompagnando, il Signore agiva in lei: ha
vissuto queste due settimane come un canto d’amore che Dio le rivolgeva
attraverso tutte le cose, le relazioni, se stessa, che riscopriva come un dono
per sé, di cui solo ora si accorgeva. Questo le ha dato una serenità interiore
tale che il suo problema non si è più presentato. Ripensandoci, mi ha detto:
«Hai proprio ragione: i problemi non si risolvono, ma si dissolvono». Nel
sentirsi profondamente amata da Dio, al problema sono state tolte le radici.
Mentre l’ascoltavo, si faceva
largo dentro di me la gioia per la conferma di vedere che Dio guarisce: valeva
ben la pena di attendere nella fede la sua manifestazione, di accogliere la
malattia come luogo in cui questa manifestazione si preparava. Ricorrendo allo
psicologo, come mi suggeriva chi considera psicologia e spiritualità come
ambiti strettamente separati, e questo in una situazione in cui Dio stava
operando (una situazione in crescita, non una situazione bloccata, in cui
quindi lo psicologo sarebbe stato necessario, anzi strumento di Dio), l’avrei
privata di quell’esperienza di Dio liberatore che sarà d’ora in poi fondamento
della sua fede, un’esperienza a cui potrà ritornare quando in futuro il
problema si ripresentasse. La guarigione interiore: non l'unico, ma certo un
passo importantissimo in un cammino di salvezza.
Qual è l’approccio integrato proposto dal Kaire? Quello
che passa attraverso il “rifare il look agli archetipi”, ovvero aiutare la
persona a vivere con Dio (madre e padre, appartenente dunque allo stesso
archetipo dei genitori carnali) un’esperienza di amore gratuito, per diventare
capace di amare, che va a sostituire quella di amore malato che l’ha portata a
modi di agire e reagire malati.
Vivere nello Spirito di Cristo è il percorso su cui far
camminare l’esercitante, perché in Cristo troviamo vissuto in pienezza
quell’amore che la nostra anima desidera per vivere in pienezza. Ma il nostro
punto di partenza, l’esperienza delle
relazioni in cui siamo cresciuti e viviamo è spesso ben lontana da un amore
vissuto così. E’ evidente che non possiamo darci ciò che non conosciamo. Non
possiamo guarire dalle ferite che ci portiamo dentro rimanendo all’interno del
sistema di riferimento che ci ha fatto ammalare, utilizzando le soluzioni che
esso ci offre; se avessimo potuto farlo, l’avremmo già fatto! C’è bisogno di
Altro e di Oltre. C’è bisogno di un’esperienza di amore gratuito,
incondizionato.
Il problema nato nell’ambito di una relazione malata può essere
superato solo con l’esperienza di una relazione sana, che coinvolga tutte le
dimensioni dell’uomo: intelligenza, affettività, corporeità. Un’esperienza che
nella sua misura più completa possiamo trovare soltanto nell’Amore stesso, in
Dio. Al centro, dunque, va messo Dio: l’Amore che ci dà la possibilità
di essere amati e la capacità di amare. Tutto il resto, tutto ciò che aumenta
il nostro benessere e che altre esperienze propongono, può essere positivo
contributo a questo, ma mai il centro: solo nell’amore troviamo salvezza.
Nell'uomo, sofferenze devastanti e gioie profonde, problemi che si
trascinano nell'oggi e realizzazioni che durano nel tempo trovano tutte
origine nella sua possibilità di essere amato e nella sua capacità di amare.
L'Amore è origine e senso della Vita. E in Gesù Cristo è diventato vita
vissuta. IncontrarLo, vivere nel suo Spirito è via a quella vita in pienezza -nella
gioia, nella pace, nella libertà interiore- che solo possiamo trovare
nell'Amore.
Vivere in Lui è dunque la
salvezza e il frutto di ogni accompagnamento spirituale.
Ottobre 2001. Durante una cena col gruppo con
cui abbiamo terminato gli esercizi tre anni fa, chiedo cosa è rimasto loro di
questa esperienza. Tutti mi rispondono: il senso di una Presenza che mi dà luce
e forza nell’affrontare la vita.
“La vita dello Spirito non si sovrappone mai
alla nostra psicologia, ma fa interamente corpo con essa. Questo dato di fatto
scaturisce anche, a un livello ancora più profondo, dall’unione sostanziale tra
il Verbo e la natura umana, unione che si è verificata nell’incarnazione. E’
l’uomo tutt’intero, nella totalità della sua umanità e quindi della sua
psicologia, che è stato assunto dal Verbo. Conseguenza di tale principio
teologico è che la vita divina, di cui siamo partecipi in forza della nostra
incorporazione a Cristo nel nostro battesimo, non può essere isolata dalla
nostra psicologia” (André Louf in “Generati dallo Spirito).
Il
terzo pilastro:
attivare
la potenza della speranza attraverso la fede nella Risurrezione
“Tutto quel che domandate nella
preghiera,
abbiate fede di averlo ottenuto
e vi sarà accordato”
Mc 11, 24
Potrebbe sembrare che aiutare a vivere nell’Amore, partendo dalla
propria esperienza di vita nell’Amore, sia già tutto! Eppure non basta. Ci sono
delle situazioni che ci sconvolgono, noi e le persone che accompagniamo, in cui
tutto il nostro essere e fare ci sembrano assolutamente impotenti rispetto a
ciò che ci sta succedendo. Possiamo però ancora fare una cosa: essere gli amici
della speranza. Se l’amore è il senso della vita, anche ciò che stiamo vivendo
nasconde un senso in una prospettiva che dobbiamo scoprire e costruire per
continuare a Vivere. E il passo che possiamo e siamo chiamati a fare per
camminare in questa direzione è semplicemente e impossibilmente vivere con fede
la nostra speranza, quella che sentiamo che l’Amore ci mette nel cuore. Credi
nel tuo desiderio e comincia a viverlo. D’accordo, forse è incredibile,
assurdo, ma tu vivi come se il tuo desiderio fosse già realizzato e gusta la
gioia di averlo ottenuto. Il tuo cambiamento scelto cambierà le cose dentro di
te e attorno a te, come la Vita deciderà essere meglio per te e per gli altri.
Cambia il tuo atteggiamento nei confronti della vita per darle un senso
nell’Amore e la vita cambierà. Vivi
allora la disgrazia, la difficoltà, il problema come un’occasione nella tua
vita perché tutto possa cambiare, per passare dalla croce alla risurrezione.
Attraverso il tuo “Kaire!” trasforma il problema in un “kairòs”. Scegli di
essere protagonista del cambiamento e rallegratene (Kaire!) con Dio: diventerai
il creatore della tua vita. Accompagnare significa allora rendere la
persona protagonista con Dio del cambiamento nella propria vita.
Teologicamente, lo specifico del
Kaire è quello di assumere come salvifica la dimensione pasquale dell’esistenza
umana. A partire dall’ultima beatitudine (“Beati voi quando vi insulteranno,
vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per
causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei
cieli” Mt 5, 11-12), desumiamo una promessa: ogni morte sfocia in una
risurrezione quando vissuta nello Spirito del Cristo (nella fede, nella
speranza, nell’amore). Rallegrarsi è un atto di fede radicale in questa
promessa. E’ esprimere, in qualsiasi situazione, la fede che Dio è con noi e ci
dà il suo Spirito per trasformarla in un bene. E’ vivere portando lo sguardo
alla risurrezione quando ancora siamo immersi nella morte. Una risurrezione che
è trasformazione radicale e inattesa del vivere quotidiano.
Michele Bortignon
Michele Bortignon