1/06/2013

I tre pilastri dell'accompagnamento spirituale "Kaire!"

Il primo pilastro:
vivere nell’Amore

“L'esperienza è il tipo di insegnante più difficile:
prima ti fa l'esame, poi ti spiega la lezione”
Oscar Wilde

Kaire intende valorizzare, accanto al metodo ignaziano, l’esperienza di vita in Cristo dell’accompagnatore come aiuto al cammino spirituale dell’esercitante.
Questo modo di accompagnare si rifà alla redazione degli Esercizi Spirituali di Sant’Ignazio di Loyola: “Dopo che ebbe narrato queste vicende, il 20 di ottobre io chiesi al pellegrino qualche notizia sugli Esercizi e sulle Costituzioni, desiderando conoscere come li aveva composti.  Mi rispose che gli Esercizi non li aveva scritti tutti di seguito, ma quello che accadeva nell'anima sua e trovava utile, ritenendo che avrebbe potuto giovare anche ad altri, lo annotava” (Ignazio di Loyola, Autobiografia, 99). 
Con quello che abbiamo imparato dal vivere con Dio le situazioni del nostro quotidiano ci facciamo allora compagni di strada delle persone a cui Lui ci mette accanto. Per poter accompagnare occorre dunque un bagaglio, continuamente rinnovato, di esperienze vissute con Dio, perché accompagnare è lasciare che lo Spirito parli alla persona che abbiamo davanti anche e soprattutto a partire da ciò che abbiamo vissuto con Dio.

In che modo possiamo far diventare le nostre esperienze un aiuto per gli altri?
Santa Teresa d’Avila, riflettendo sulle proprie e riportandole nei suoi scritti, la fa diventare un messaggio a disposizione di chi sta vivendo una situazione analoga alla sua.
Vivere, pregare, capire, scrivere; e, a distanza di tempo, ritornare sul proprio vissuto, comprenderlo più a fondo con una visione fattasi ora globale, infine oggettivarlo in un testo metodologico per farlo diventare un contenuto, uno strumento del nostro accompagnare. In questo percorso, l’esperienza entra a far parte del proprio essere come lezione di vita e da qui emerge come aiuto nell’ambito dell’accompagnamento.
E’ un percorso che ogni accompagnatore Kaire è chiamato a fare e rifare con le proprie esperienze. L’accompagnamento non è soltanto applicazione di un metodo, ma relazione viva di un’esperienza che vive con Dio con un’altra che lo sta cercando. E in questa relazione Dio si fa presente prendendo dall’una per donare all’altra.
Al di là della competenza nel metodo (comunque necessaria), egli è dunque in grado di accompagnare in proporzione alla profondità della propria vita spirituale.
L’accompagnatore può allora aver bisogno di essere aiutato a discernere, per poter trasformare le situazioni che sta vivendo in esperienze di vita con Cristo, più che di essere supervisionato nel suo accompagnare, come richiesto da altri percorsi. Nel Kaire, è la consapevolezza e la profondità della vita spirituale dell’accompagnatore a dare la garanzia che il suo accompagnamento sarà improntato dallo stesso Spirito che egli sta vivendo. Se lo Spirito di Cristo è presente nella sua vita, certamente si esprimerà anche nel suo accompagnare. Un consiglio sul modo di accompagnare gli esercitanti gli potrà certamente essere dato su sua richiesta, ma in nessun caso gli verrà imposto un controllo.

Come la legge per il cristiano, così il metodo per l’accompagnatore è un pedagogo, a cui la maturazione spirituale fa seguire una spontaneità nello Spirito Santo che gli deriva dal suo vivere in Cristo. Un metodo è dunque indispensabile per fare i primi passi, ma poi l’accompagnatore deve muoversi in ascolto dello Spirito.

“Quell’eccezionale comunicatore che fu l’apostolo Paolo ci offre una lezione che va proprio al centro del problema “come parlare di Dio” con grande semplicità. Nella Prima Lettera ai Corinzi scrive: «Quando venni tra voi, non mi presentai ad annunciarvi il mistero di Dio con l’eccellenza della parola o della sapienza. Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso» (2, 1-2). Paolo non parla di una filosofia che lui ha sviluppato, non parla di idee che ha trovato altrove o inventato, ma parla di una realtà della sua vita, parla del Dio che è entrato nella sua vita, parla di un Dio reale che vive, ha parlato con lui e parlerà con noi, parla del Cristo crocifisso e risorto. Comunicare la fede, per san Paolo, significa dire apertamente e pubblicamente quello che ha visto e sentito nell’incontro con Cristo, quanto ha sperimentato nella sua esistenza ormai trasformata da quell’incontro: è portare quel Gesù che sente presente in sé ed è diventato il vero orientamento della sua vita, per far capire a tutti che Egli è necessario per il mondo ed è decisivo per la libertà di ogni uomo” (Benedetto XVI°, udienza 28.11.2012).

Settembre 2004. Nei miei esercizi a Capiago emerge con forza la necessità che quel che trasmetto agli altri nasca dalla mia esperienza di Dio vissuta nel quotidiano della mia realtà di laico: “Il dono che il Signore mi ha dato -di aiutare le persone ad incontrarlo- mi sento chiamato a viverlo a partire dalle esperienze che Lui mi fa fare. E, in quanto laico, soprattutto a partire dal mio vivere con Lui le mie esperienze in famiglia, nel lavoro, nella società. E’ come se mi dicesse: «Sii per gli altri a partire da quel che tu vivi con me. Non un ripetitore, ma uno che vive con me; e da qui  aiuta gli altri a vivere con me»”.


Il secondo pilastro:
aiutare a vivere nell’Amore

“Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?
Aprirò anche nel deserto una strada, immetterò fiumi nella steppa”
Is 43, 19

Il coinvolgermi fino in fondo nella vita delle persone che accompagno ha significato l’affrontare problemi che vedevo bloccarne il cammino spirituale, che causavano in loro difficoltà di relazione non superabili con una semplice scelta di adesione ai criteri di Cristo, in cui il semplice impegno non era cioè sufficiente. In questo, la psicologia mi è d’aiuto nel capire dove si colloca il problema. Ne è nato un modo di accompagnare spiritualmente che aiuta le persone ad entrare con Cristo nei propri “inferi” perché Egli possa guarire le ferite che continuano a condizionare i loro comportamenti.

25.1.2002. Mentre io pregavo per la ragazza bulimica che sto accompagnando, il Signore agiva in lei: ha vissuto queste due settimane come un canto d’amore che Dio le rivolgeva attraverso tutte le cose, le relazioni, se stessa, che riscopriva come un dono per sé, di cui solo ora si accorgeva. Questo le ha dato una serenità interiore tale che il suo problema non si è più presentato. Ripensandoci, mi ha detto: «Hai proprio ragione: i problemi non si risolvono, ma si dissolvono». Nel sentirsi profondamente amata da Dio, al problema sono state tolte le radici.
Mentre l’ascoltavo, si faceva largo dentro di me la gioia per la conferma di vedere che Dio guarisce: valeva ben la pena di attendere nella fede la sua manifestazione, di accogliere la malattia come luogo in cui questa manifestazione si preparava. Ricorrendo allo psicologo, come mi suggeriva chi considera psicologia e spiritualità come ambiti strettamente separati, e questo in una situazione in cui Dio stava operando (una situazione in crescita, non una situazione bloccata, in cui quindi lo psicologo sarebbe stato necessario, anzi strumento di Dio), l’avrei privata di quell’esperienza di Dio liberatore che sarà d’ora in poi fondamento della sua fede, un’esperienza a cui potrà ritornare quando in futuro il problema si ripresentasse. La guarigione interiore: non l'unico, ma certo un passo importantissimo in un cammino di salvezza.

Qual è l’approccio integrato proposto dal Kaire? Quello che passa attraverso il “rifare il look agli archetipi”, ovvero aiutare la persona a vivere con Dio (madre e padre, appartenente dunque allo stesso archetipo dei genitori carnali) un’esperienza di amore gratuito, per diventare capace di amare, che va a sostituire quella di amore malato che l’ha portata a modi di agire e reagire malati.

Vivere nello Spirito di Cristo è il percorso su cui far camminare l’esercitante, perché in Cristo troviamo vissuto in pienezza quell’amore che la nostra anima desidera per vivere in pienezza. Ma il nostro punto di  partenza, l’esperienza delle relazioni in cui siamo cresciuti e viviamo è spesso ben lontana da un amore vissuto così. E’ evidente che non possiamo darci ciò che non conosciamo. Non possiamo guarire dalle ferite che ci portiamo dentro rimanendo all’interno del sistema di riferimento che ci ha fatto ammalare, utilizzando le soluzioni che esso ci offre; se avessimo potuto farlo, l’avremmo già fatto! C’è bisogno di Altro e di Oltre. C’è bisogno di un’esperienza di amore gratuito, incondizionato.
Il problema nato nell’ambito di una relazione malata può essere superato solo con l’esperienza di una relazione sana, che coinvolga tutte le dimensioni dell’uomo: intelligenza, affettività, corporeità. Un’esperienza che nella sua misura più completa possiamo trovare soltanto nell’Amore stesso, in Dio. Al centro, dunque, va messo Dio: l’Amore che ci dà la possibilità di essere amati e la capacità di amare. Tutto il resto, tutto ciò che aumenta il nostro benessere e che altre esperienze propongono, può essere positivo contributo a questo, ma mai il centro: solo nell’amore troviamo salvezza.
Nell'uomo, sofferenze devastanti e gioie profonde, problemi che si trascinano nell'oggi e realizzazioni che durano nel tempo trovano tutte origine nella sua possibilità di essere amato e nella sua capacità di amare. L'Amore è origine e senso della Vita. E in Gesù Cristo è diventato vita vissuta. IncontrarLo, vivere nel suo Spirito è via a quella vita in pienezza -nella gioia, nella pace, nella libertà interiore- che solo possiamo trovare nell'Amore.
Vivere in Lui è dunque la salvezza e il frutto di ogni accompagnamento spirituale.

Ottobre 2001. Durante una cena col gruppo con cui abbiamo terminato gli esercizi tre anni fa, chiedo cosa è rimasto loro di questa esperienza. Tutti mi rispondono: il senso di una Presenza che mi dà luce e forza nell’affrontare la vita.

“La vita dello Spirito non si sovrappone mai alla nostra psicologia, ma fa interamente corpo con essa. Questo dato di fatto scaturisce anche, a un livello ancora più profondo, dall’unione sostanziale tra il Verbo e la natura umana, unione che si è verificata nell’incarnazione. E’ l’uomo tutt’intero, nella totalità della sua umanità e quindi della sua psicologia, che è stato assunto dal Verbo. Conseguenza di tale principio teologico è che la vita divina, di cui siamo partecipi in forza della nostra incorporazione a Cristo nel nostro battesimo, non può essere isolata dalla nostra psicologia” (André Louf in “Generati dallo Spirito).


Il terzo pilastro:
attivare la potenza della speranza attraverso la fede nella Risurrezione

“Tutto quel che domandate nella preghiera,
abbiate fede di averlo ottenuto e vi sarà accordato”

Mc 11, 24


Potrebbe sembrare che aiutare a vivere nell’Amore, partendo dalla propria esperienza di vita nell’Amore, sia già tutto! Eppure non basta. Ci sono delle situazioni che ci sconvolgono, noi e le persone che accompagniamo, in cui tutto il nostro essere e fare ci sembrano assolutamente impotenti rispetto a ciò che ci sta succedendo. Possiamo però ancora fare una cosa: essere gli amici della speranza. Se l’amore è il senso della vita, anche ciò che stiamo vivendo nasconde un senso in una prospettiva che dobbiamo scoprire e costruire per continuare a Vivere. E il passo che possiamo e siamo chiamati a fare per camminare in questa direzione è semplicemente e impossibilmente vivere con fede la nostra speranza, quella che sentiamo che l’Amore ci mette nel cuore. Credi nel tuo desiderio e comincia a viverlo. D’accordo, forse è incredibile, assurdo, ma tu vivi come se il tuo desiderio fosse già realizzato e gusta la gioia di averlo ottenuto. Il tuo cambiamento scelto cambierà le cose dentro di te e attorno a te, come la Vita deciderà essere meglio per te e per gli altri. Cambia il tuo atteggiamento nei confronti della vita per darle un senso nell’Amore e la vita cambierà. Vivi allora la disgrazia, la difficoltà, il problema come un’occasione nella tua vita perché tutto possa cambiare, per passare dalla croce alla risurrezione. Attraverso il tuo “Kaire!” trasforma il problema in un “kairòs”. Scegli di essere protagonista del cambiamento e rallegratene (Kaire!) con Dio: diventerai il creatore della tua vita. Accompagnare significa allora rendere la persona protagonista con Dio del cambiamento nella propria vita.

Teologicamente, lo specifico del Kaire è quello di assumere come salvifica la dimensione pasquale dell’esistenza umana. A partire dall’ultima beatitudine (“Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli” Mt 5, 11-12), desumiamo una promessa: ogni morte sfocia in una risurrezione quando vissuta nello Spirito del Cristo (nella fede, nella speranza, nell’amore). Rallegrarsi è un atto di fede radicale in questa promessa. E’ esprimere, in qualsiasi situazione, la fede che Dio è con noi e ci dà il suo Spirito per trasformarla in un bene. E’ vivere portando lo sguardo alla risurrezione quando ancora siamo immersi nella morte. Una risurrezione che è trasformazione radicale e inattesa del vivere quotidiano.

                                                                                                            Michele Bortignon