“Credo nello Spirito Santo, che è Signore e dà la vita”
“Se si vuole possedere veramente un’arte, le conoscenze tecniche non bastano:
occorre andare oltre la tecnica, in modo tale che l’arte diventi un’arte senza artificio,
che abbia le sue radici nell’incosciente…
Possiamo raggiungere la padronanza completa utilizzando il legame fondamentale
che unisce la nostra Essenza all’essenza della nostra arte”
Bernard Amy
Lo Spirito Santo è il modo in cui Dio più concretamente si manifesta nella vita dell’accompagnatore spirituale. E ciò principalmente nell’esperienza del colloquio. Direi anzi che, senza la sua presenza nel colloquio, non si può parlare di accompagnamento, ma di counseling.
Il protagonista dell’accompagnamento, infatti, è sempre e comunque Dio, di cui come accompagnatore mi faccio tramite. Per questo l’ascolto è sempre duplice: della persona che ho davanti e di Dio, a cui presento, nella preghiera, quel che essa mi sta dicendo. Un ascolto che non si limita al colloquio: è nel mio cuore, in cui abita Dio e in cui ospito la persona, che si innesca e va maturando una relazione tra loro, di cui io mi faccio ascoltatore e poi interprete nel corso del colloquio.
L’azione dello Spirito si manifesta in alcune modalità che desumo dalla mia esperienza concreta.
Durante il colloquio, soprattutto se si tratta di qualche problema “pesante”, Dio vuol essere sicuro di poter parlare senza interferenze da parte mia. Per questo all’inizio agisce per lasciarmi senza parole. Da principianti può essere angosciante trovarsi di fronte a una richiesta d’aiuto e sentirsi assolutamente impotenti, incapaci di dire alcunché: emerge la propria inadeguatezza, prendono evidenza i propri limiti.
Ma per me proprio questo è necessario per accettare che la mia parte è fare silenzio, presentarGli nella preghiera la situazione che sto accogliendo, e lasciarmi essere tramite di una Parola che Lui fa sgorgare dal cuore inaspettata, autonoma, fluida, nel momento in cui serve.
Se tento di tirare fuori qualcosa da me anziché lasciar passare, avverto chiaramente la fatica del costruire un ragionamento, che comunque lascia insoddisfatto me e perplessa la persona. Può essere, a volte, un modo per cominciare, ma alla fine bisogna lasciare a Lui le redini, rilassarsi, non cercare per forza di dire qualcosa, affidare e confidare, tacere e aspettare in preghiera la sua Parola.
Quando il mio io non si interpone più, Lui scende in campo alla grande, prende la parola ed io ho quasi la sensazione di starmi ad ascoltare mentre parlo, dicendo cose non mie. La pace interiore mi fa da guida nel sentire quando è Lui a guidare, per evitare di fare meno o più di quanto Lui vuole.
La prova del suo agire si vede nella Vita che fluisce in chi ho davanti, come un’onda che scava, ripulisce e poi irriga e disseta, dando pace, gioia, libertà interiore. Non solo, ma anche in me stesso: dopo un colloquio posso essere stanco, ma mai svuotato; il cuore è pieno di dolcezza e di gratitudine per questa esperienza di profonda comunione con Dio nel suo volto più bello: quello di Salvatore dell’uomo.
Che la Grazia -ovvero l’Amore che si fa prossimo- sia il nome di Dio e la non interferenza attiva -ossia il rendersi disponibili a Lui, ma aspettando la sua iniziativa- sia il compito di chi accompagna, lo dimostra quest’altra modalità in cui lo Spirito si manifesta nell’accompagnamento.
A volte, in piena notte mi sveglia con un pensiero di una chiarezza estrema, che illumina la situazione della persona che in quel momento ho nel cuore, mostrandomi il seguito del cammino su cui accompagnarla. E mi è impossibile non trascrivere questa Parola, che, non colta, svanisce.
E’ un’esperienza piena di dolcezza: è commovente sentire che Dio non dorme (“Non si addormenterà, non prenderà sonno, il custode d'Israele” Sal 120,4) per cercare il modo di giungere al cuore di chi vuol salvare.
E’ un’esperienza piena di stupore: come Dio addormenta Adamo per dar vita a Eva con ciò che della sua carne è più vicino al suo cuore (“Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull'uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e rinchiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio plasmò con la costola, che aveva tolta all'uomo, una donna e la condusse all'uomo” Gen 2, 21-22), così, quando non sono nelle condizioni di costruire con la mia mente, Dio plasma la sua Parola con le mie esperienze più intrise della Vita che Lui mi ha dato, rielaborandole in forme adatte a dare Vita ad altri.
“Allora Giacobbe si svegliò dal sonno e disse: «Certo, il Signore è in questo luogo e io non lo sapevo»” (Gen 28,16). In quanto esperienza di Dio, piena di mistero e, allo stesso tempo, di vicinanza, questo è quanto di più simile posso pensare a quello che Ignazio chiama “consolazione senza causa”, donata da Dio all’uomo quando Egli vuol comunicarsi senza alcuna interferenza da parte sua (“Solo Dio nostro Signore può dare all'anima una consolazione senza una causa precedente; infatti è proprio del Creatore entrare nell'anima, uscire, agire in essa, attirandola tutta all'amore della sua divina Maestà. Dicendo senza una causa, si intende senza che l'anima senta o conosca in precedenza alcun oggetto, da cui possa venire quella consolazione mediante i propri atti dell'intelletto e della volontà” EE.SS. 330).
Non è detto che questa sia una modalità comune, ma più comune senz’altro è l’improvviso e inaspettato emergere di una comprensione da un cuore impegnato in sottofondo nel problema della persona che sta accompagnando.
L’ultima modalità di comunicazione di cui faccio esperienza nel colloquio è quella dell’intuizione spirituale. Qui non si tratta di lasciarLo parlare, coscientemente come nel primo caso o senza causa previa come nel secondo. E’ un suo lampo che attraversa la coscienza in risposta a quello che la persona sta dicendo. Serafim di Sarov la spiega così:
Dissero a Serafim di Sarov «Si sente che leggi nei cuori!». «Oh», disse, «Si sente molto male allora. Si, perché io non leggo i cuori. Io semplicemente cerco di essere nello Spirito Santo che scruta le profondità; e il primo pensiero che mi viene in mente quando la persona finisce di parlare è di Dio, e lo dico. Se comincio a pensare cosa dovrei dire, distruggo tutto».
In questo caso la non interferenza è semplicemente consegnare questa luce alla persona nella sua purezza, evitando di filtrarla, elaborarla, censurarla, adattarla, modificarla, integrarla. Eventualmente la si può contemplare assieme, comunque evitando di farla propria: i pensieri che si aggiungono ad essa sono infatti tutti nostri, come spiega Ignazio parlando della coda della consolazione senza causa:
“Quando la consolazione è senza una causa, in essa non c'è inganno, perché, come si è detto, proviene da Dio nostro Signore; tuttavia la persona spirituale, a cui Dio dà questa consolazione, deve considerare e distinguere con molta cura e attenzione il tempo proprio di questa consolazione da quello successivo, nel quale l'anima rimane fervorosa e favorita dal dono e dalle risonanze della consolazione passata. Spesso infatti, in questo secondo tempo, sia con un proprio ragionamento, cioè con associazioni e deduzioni di concetti e di giudizi, sia per l'azione dello spirito buono o di quello cattivo, la persona formula propositi o pensieri che non sono ispirati direttamente da Dio nostro Signore; perciò bisogna esaminarli molto accuratamente, prima di dar loro pieno credito e di metterli in atto” EE.SS. 336).
Il farsi presente di Dio nel colloquio come Spirito che agisce nell’accompagnatore per comunicarsi all’esercitante è reso possibile dal vivere i tre pilastri che abbiamo appena visto. Dio fa la sua parte quando l’accompagnatore ha fatto la propria.
E quando gli si lascia fare la sua parte! Proprio perché l’iniziativa appartiene allo Spirito, a differenza del counseling o della terapia psicologica, nell’accompagnamento spirituale non può esserci supervisione intesa come controllo e correzione di quanto accade nel colloquio: alla preghiera si sostituirebbe, in questo caso, il confronto con un metodo, che di fatto sostituirebbe la spontaneità della relazione tra Spirito Santo e accompagnatore.
Chi ti insegna ad accompagnare, come ha fatto accompagnandoti, deve guidarti fino alle soglie della “cella del vino”, dove puoi incontrare lo Sposo (CC 2, 4), deve insegnarti il linguaggio dell’Amore, può condividere con te la sua esperienza di Lui e di educazione dei suoi figli con Lui, ma non può osservare e giudicare la vostra intimità né guidare il concepimento dei tuoi figli.
Come afferma il famoso aforisma latino per il denaro, anche la psicologia “si uti scis ancilla, si nescis domina”. E non è proprio il caso di barattare la potenza di Dio per la povera sicurezza offertaci da un metodo!
Michele Bortignon
Michele Bortignon