Secondo una psicologia che
attualmente si sta facendo strada, le emozioni che fanno male a te e a gli
altri (invidia, avarizia, superbia, tristezza, lussuria, ira, ecc.; tutte
sempre accompagnate da ansia e paura) sono una parte di te, da accettare e di cui
capire il messaggio.
Ora, se qualcosa fa parte di te,
è ineliminabile, per cui, logicamente, devi accettarlo, far pace con la sua
presenza in te; ma, per riuscirci, devi capirne il senso, il significato
costruttivo nell’ambito della tua vita individuale e sociale.
Si tratta senz’altro di una
visione immediatamente tranquillizzante: «Allora non sono sbagliato!», ti dici,
«Semplicemente non mi sono ancora capito». E provi allora a capirti.
Naturalmente lo farai applicando i tuoi schemi interpretativi della realtà,
quelli che si sono formati a partire dalla tua esperienza della vita.
Sulla base di questi, emerge che
è assolutamente giusto che tu faccia quel che stai facendo: sono gli altri a
sbagliarsi, per cui il problema si risolverà quando saranno loro a cambiare.
«Sono una vittima del sistema!».
Oppure i tuoi limiti sono
talmente grandi che nulla potrà mai assolutamente cambiare nella tua
situazione. «Sono una vittima del destino!».
La tua pacificazione assume
allora il volto della rassegnazione: poiché gli altri non intendono cambiare e
la storia non può essere cambiata, vorrà dire che va bene così!
La tua vita assume allora un tono
basso, a tratti lacerato da lampi di insofferenza e di ribellione. Oppure ti
immergi nel lato piacevole di queste emozioni, senza pensare a cosa sarà di te
domani o alle conseguenze sugli altri.
Considerati gli esiti, questa
psicologia non può certo costituire una prospettiva appetibile per il cristiano, che nella Pasqua di Cristo
trova un’alternativa ben più vitalizzante: guardando alla propria vita in
sovrapposizione alla vicenda di Gesù, vede che c’è una morte attuale, creata
per l’appunto da queste emozioni devastanti; c’è una strada per vivere in modo
diverso la situazione che gli crea problema (nello Spirito del Cristo: nella
fede, nella speranza, nell’amore; rivestendo un ruolo attivo, non di vittima!);
e c’è infine una risurrezione: la situazione viene trasformata da questo suo
modo di viverla, perché interiormente -anche se fuori potrebbe non essere
cambiato nulla!- egli vive nella gioia, nella serenità, nella libertà
interiore.
Qual è, dunque, l’approccio
cristiano alla gestione delle emozioni negative, per poterle vivere nella
dinamica pasquale?
Da un punto di vista ontologico,
innanzitutto, devi renderti conto che queste emozioni non sono parte di te.
Sono una reazione formatasi nell’ambito di una storia di relazioni
affettivamente importanti, in cui sei stato però ferito da comportamenti
manipolatori (seppure a volte anche a fin di bene!). Situazioni attuali che te le
ricordano fanno risorgere i fantasmi di queste situazioni dolorose già vissute.
Se entri in dialogo con l’ansia e la paura che connotano
tutte le tue emozioni negative, esse ti convinceranno che la situazione non è
cambiata, semplicemente ti si ripresenta in forme diverse, per cui devi
continuare a comportarti come allora hai imparato. Ma così continuerai a
rimanere immerso nell’ansia e nella paura.
Quello che devi ascoltare non è,
dunque, l’ansia e la paura, ma la parte più viva di te stesso, che ti dice che
non è umano continuare a star male, non è un destino immodificabile, e che
vivere è essere nella gioia e nella serenità.
Devi dunque ascoltare, prima di
tutto, la voce di Dio, che ti parla di ciò che dà questa gioia e questa
serenità: l’amare e l’essere amato, il credere che l’Amore fa ordine
nell’esistenza creando Vita, per cui puoi sperare in un futuro diverso.
Solo dopo aver sperimentato che
cosa dà vita, puoi tornare a guardare -questa volta con il Dio della Vita!- i
problemi che suscitano le tue ansie e le tue paure, per capire con Lui come
viverli.
Dalle emozioni che ti travolgono
puoi imparare solo se ne esci: mentre ci sei dentro, la tua mente ne è
devastata e ti impedisce di vedere qual è il bene per te e per gli altri.
E puoi uscirne, puoi distanziartene
se chiami ad esserti accanto Colui che ti dice: «Non temere: io sono
con te!»
Con Lui accanto puoi guardare
senza paura alla tua paura: “Anche se vado per una valle oscura, non temo
alcun male, perché Tu sei con me” (Sal 8, 4).
Non sono allora le tue ansie e le
tue paure che devi ascoltare, ma Dio che, dalla prospettiva della Vita, ti
porta a scoprirne il significato: da dove vengono, dove ti portano e, quindi,
cosa fare con quello che ti suggeriscono. E soprattutto che ti dice che ora Lui
ti è vicino per aiutarti a ricominciare in maniera diversa.
Allora le paure non fanno più
paura, ma diventano occasione di crescita.
Per uscirne completamente, è bene
che “giudichi” le tue emozioni negative, osservando e comprendendo la morte
interiore -e spesso anche il male fisico!- che esse ti provocano, ed arrivi a
emanare la loro condanna: «Sono un male per me e non voglio più esserne
travolto, non voglio più farmene condizionare». Ora puoi farlo perché l’aver
scoperto che cosa dà Vita ti permette di capire come vivere ciò che ti fa
problema in una prospettiva diversa, che scopri darti gioia, serenità, libertà
da ciò che prima ti gettava nell’ansia e nella paura.
Quando dunque il malessere
interiore -e spesso anche fisico!- ti dice che sei preda di ansie e di paure,
evita di lasciarti parlare da queste, che ti portano ad avvitarti sempre più in
te stesso, sprofondando nella palude della tristezza fino ad arrivare alla
disperazione; quello che devi fare è invece dare spazio a quella piccola luce
che ti dice che non è qui la vita, che devi cercarla altrove. Come? Dove? Non è
da solo che puoi affrontare questi problemi -la tua esperienza malata non sa
trovare altre soluzioni che quelle che già applichi!- ma aprendoti a un’altra
esperienza, all’esperienza che altri hanno della Vita, e che ti può essere
confermata dalle tue piccole ma concrete esperienze di vita che le
rispecchiano.
Queste esperienze di Vita un
cristiano sa di poterle trovare nella Bibbia, storia di un’umanità alla ricerca
di una risurrezione all’interno delle proprie morti, e nella Chiesa, comunità
di uomini come tutti feriti dall’esistenza, messi in cammino dalla fiducia di
trovare Vita nell’Amore.
L’assunto teologico si scopre qui
corollario psicologico: Non ci si può salvare da soli! La via per affrontare un
problema è quella di aprirti all’ascolto degli inputs esterni oltre che di
quelli interni, facendoli interagire tra loro, in modo che si rispondano l’un
l’altro, fino a che non emerga una prospettiva che ti lasci nella pace,
realizzando il bene tuo e, contemporaneamente, delle altre persone implicate
nella questione.
Fa’ dunque emergere entrambe le
voci che ti parlano di come affrontare la situazione che ti crea problema. Se,
in un doverismo fondamentalista, ascolti solo la voce di Dio, senza far
emergere le obiezioni dell’altra, più tardi queste emergeranno, mettendoti in
crisi. Se ascolti solo le tue ansie e le tue paure, che ti paralizzano o ti
sparano su vie di fuga, continuerai a rimanere nella nebbia e a star male,
senza riuscire ad emergere dal problema.
Nella
visione cristiana, l’esito finale è una situazione pacificata non
dall’accettazione dello status quo, ma da una sintonizzazione interiore sui
valori più vitalizzanti dell’essere umano, che, in prospettiva, riescono ad
incidere anche nella situazione esterna, avviandola ad un cambiamento nello
stesso loro senso.
Michele Bortignon
Michele Bortignon