Questo anniversario voglio
sentirlo come l’occasione che il mio Signore mi regala per chiudere la bocca al
quel demonietto che, nelle difficoltà, tenta di farmi abbandonare, scoraggiato,
quel che Dio sta facendo con me, ripetendomi parole che 10 anni fa mi hanno
ferito profondamente: «Sei presuntuoso perché vuoi fare diversamente dagli
altri»; «Non sei umile perché non ti sottometti e non obbedisci»; «Quel che fai
è sbagliato perché non è controllato da nessuno»; addirittura «Sei fuori dalla
Chiesa».
Cosa fare? Ogni volta che me lo
vedo davanti mi sconvolge, risento il male che ho sofferto allora. Chi mi ha
aiutato ad uscirne, dieci anni fa, è stata Santa Teresa d’Avila, con la sua
capacità di discernimento nella persecuzione. Ed ancora, l’altro giorno, in un
film in cui chiedeva a San Giovanni della Croce se fosse pronto a soffrire per
Cristo, mi ha aiutato a rileggere con uno sguardo diverso la mia situazione. Ho
capito allora che il Signore mi ha regalato un’avventura da costruire e tre
grandi doni con cui farlo:
- il suo guidarmi attraverso le mozioni dello Spirito, lette nel discernimento;
- la condivisione di un po’ della sua sofferenza, affrontata per cambiare le cose secondo quanto mi fa capire;
- il Kaire: il rallegrarmi come via per cambiare il mio stato d’animo nelle difficoltà.
Grazie, Teresa, per il tuo accompagnarmi a riconciliarmi
con la mia storia: non un errore, non un’orgogliosa insubordinazione, ma
sofferta fedeltà a una strada diversa che Dio vuol farmi percorrere.
E che questa diversità del Kaire
non sia un errore, ma un dono di Dio lo confermano la sua durata nel tempo
(dieci anni non sono pochi!) e i frutti buoni che ne sono nati: decine di
persone che nella loro vita quotidiana hanno cominciato a vivere con il
Signore.
In questi giorni anche il Papa ha
sottolineato che pensare giusto non è pensare tutti uguale: «Nella Chiesa
non siamo tutti uguali e non dobbiamo essere tutti uguali: siamo diversi e
ognuno porta il suo, quello che Dio gli ha dato» (Udienza del 9.10.2013).
In che punto si pone il bivio che
ha portato il Kaire a differenziarsi rispetto alla precedente esperienza degli
EVO? Nel momento in cui il dare Esercizi richiedeva una prassi standardizzata e
sottoposta a controllo. Per obbedienza e umiltà mi veniva chiesto di attenermi
al controllo, alla formazione, al modo di accompagnare che tutti dovevano osservare.
E questo mentre la mia curiosità e la mia passione mi portavano a cercare anche
in altre persone e in altre esperienze formative quella conoscenza profonda di
Dio e dell’uomo a cui mi sentivo chiamato; mentre sentivo che non l’osservanza
di un metodo, ma la personale esperienza di Dio dell’accompagnatore costituiva
la forza dell’aiuto spirituale.
Il Kaire nasce dunque dalla
separazione conseguente a questo disagio, nel momento in cui mi fu imposta una
scelta.
Poter essere me stesso,
lasciandomi essere, anche nell’accompagnamento, come Dio mi stava plasmando
nelle mie esperienze con Lui lo sentivo più importante della garanzia offerta
al mio operare dall’appartenenza ad un’organizzazione che poteva vantare i
Gesuiti alle proprie spalle.
Ne è nato un accompagnare
spiritualmente che si fonda più sulla persona che sull’organizzazione. Una
persona che vive con Dio la propria storia e la trasforma consapevolmente in
esperienza a disposizione di chi accompagna.
C’è, naturalmente, una struttura
nel mio dare Esercizi, c’è un metodo, che è quello di Ignazio, ma il contenuto
è la Parola di Dio letta e interpretata a partire dalla mia esperienza della
vita vissuta con Lui, nel suo Spirito. E’ questo che significa per me
accompagnare come laico: mi accosto alla persona con quel che sono, con quel
che Dio sta facendo in me.
Sono abilitato ad accompagnare
come laico dal mio stesso essere laico, dall’esperienza di una vita analoga a
quella di chi accompagno, però vissuta con Dio, nel suo Spirito. Il mio essere
laico è un talento che Dio mi ha dato per poter parlare ai laici.
Ma oltre che a livello pastorale,
c’è un risvolto importante anche a livello ecclesiale: per la prima volta dei
laici danno Esercizi Spirituali senza un vincolo di subordinazione da un ordine
religioso o dal clero, per cui la loro autorevolezza e credibilità non dipende
da una garanzia data dall’esterno, ma esclusivamente dalla loro capacità di
aiutare le persone a fare esperienza di Dio grazie alla propria esperienza di
Dio.
In questo senso Il Kaire si
ritrova ad essere una sperimentazione di un ruolo attivo dei laici in quella
Chiesa ministeriale che il Concilio Vaticano II° aveva sognato.
Ma se tutto questo è come il
Kaire è nato, occorre dire anche come il Kaire cresce.
Qualcuno mi ha detto: «Da come
parli di quel che stai facendo, si vede che ti diverti!». E’ vero! Quando
riesco ad intuire la strada per aiutare una persona, e farla vedere anche a lei
come un lampo di luce che rischiara la sua situazione, mi viene da battere le
mani per la contentezza: è gioia pura, è sentire il soffio dello Spirito che
passa.
Quando vivo il colloquio in
preghiera, lasciandomi essere mediatore tra la persona e Dio e tra Dio e la
persona, sono io per primo a imparare, a capire qualcosa di più del mistero
della vita.
A forza di parlare alle persone
attraverso di me, qualcosa Dio dice pure a me, e mi aiuta a essere un po’ più
paziente, un po’ meno ansioso, un po’ più buono… che è un gran desiderio per me
che sono piuttosto egoista.
Mi sembra di essere un
giardiniere che si prende cura di piante belle ma un po’ guastate dal tempo e
dal maltempo; un giardiniere che ha capito che, con tanto amore e aiutandole a
volgersi verso l’Amore, queste piante tornano a fiorire.
Ed è bellissimo vivere in un
giardino fiorito!
Ecco: è l’essere con-creatore di
bellezza con Dio che mi riempie il cuore e mi rende prezioso questo strumento
che Dio mi ha messo tra le mani per far felice me e gli altri attorno a me.
Poteva il Kaire /
Rallegrati non portare me per primo a rallegrarmi?
Michele Bortignon
Michele Bortignon
Maria Rosa si diploma accompagnatrice spirituale
Kaire a SS. Vittore e Corona il 22.10.2013, durante la celebrazione del decennale.