Il dolore: c’è un problema più grande nella nostra vita?
Il dolore fisico provocato da una malattia… Il dolore intimo indotto dalla
perdita di ciò che ti faceva sentire amato, capace, sicuro…
Quando ne sei preso, hai
l’impressione che il mondo ti crolli addosso, che per te non ci sia un futuro,
che nulla più abbia un senso. E, anche se non arrivi a questo, hai comunque
tanta rabbia dentro per quel che ti hanno fatto gli altri o la vita.
Buddha aveva posto il dolore al
centro della sua riflessione e la sua dottrina mira a rimuoverne le cause
attraverso un lavoro su se stessi. Per Gesù, invece -Che interessante!-, il
centro non è il male da evitare per se stessi, ma il bene da fare agli altri…
per il quale si è disposti anche a incontrare sofferenza e morte, ma che in
prospettiva porta a una risurrezione:
un bene che nasce proprio da questa morte, superiore a quanto avresti mai
saputo costruire cercando di salvarti da solo.
Questa è dunque la “ricetta”
cristiana per superare il dolore: non preoccuparti per te stesso; occupati
degli altri.
La mente concentrata sulle
proprie sensazioni implode; se la applichi a un bisogno altrui, anziché al tuo,
non solo ti distrai, con un opportuno ridimensionamento del problema, ma
soprattutto scopri che il bene non è un non soffrire, ma creare qualcosa di
buono, di bello, di vero, che ti avvicina a Dio rendendoti con Lui con-creatore
del mondo.
In questo senso va interpretata
la rinuncia al mondo che i padri del deserto, nel quarto secolo, facevano
all’inizio del loro ritirarsi: un rinunciare a quell’ansioso cercare di
ottenere o a quell’angosciato attaccamento a ciò che soddisfa i tuoi bisogni di
affetto, di validità, di benessere. Nell’esperienza dei padri, questa rinuncia
dev’essere decisa, radicale e definitiva, pena l’essere travolto dai pensieri
che ti ritrascinano nella preoccupazione di te stesso e quindi, ancora una
volta, nella sofferenza. Non si entra in discussione con i pensieri, ma ci si
attiene a quanto già deciso con Dio nel discernimento: è questa la prima regola
della lotta spirituale, sulle orme di Gesù, che oppose un reciso «Sta scritto…»
a ogni tentazione avanzata dal Nemico.
Ad evitare di interpretare la
rinuncia come una sorta di masochismo, occorre sottolineare che la vita
cristiana è sempre nell’ottica della Pasqua di Cristo: non c’è risurrezione
senza morte, ma nemmeno morte senza risurrezione!Ecco allora che la rinuncia ai
tuoi incancreniti e stereotipati modi di agire è il passo necessario per aprire
le porte all’entrata di una novità radicale di cui puoi accorgerti e che puoi
accogliere solo dopo averle preparato lo spazio con la tua rinuncia e con la
tua attesa. Solo quando sei diventato vuoto puoi essere riempito. Quando non
hai più nulla e puoi solo appoggiarti a Dio, allora Dio diventa il tuo tutto e
ti riempie di Sé e della sua ricchezza di vita.
Quando sei nella morte con Dio,
inizia dunque a lavorare con la morte per farla diventare via alla Vita. Così
ha fatto Cristo. Ti sono concessi i tre giorni nel sepolcro per piangere e
lamentarti; ma poi afferra la sua mano e tirati su. E va’ incontro con fiducia
alla tua risurrezione, sapendoti accorgere dei segni con cui essa viene
presentandosi.
Che dici: vogliamo provarci?
Michele Bortignon