C’era un gioco che facevo da
bambina, forse oggi non si usa più. Un ragazzino si metteva con il viso girato
verso il muro o contro un albero e doveva impartire al gruppo, allineato una
decina di metri dietro a lui, dei modi per avanzare fino a raggiungerlo.
Impartito l’ordine si girava di scatto per sorprendere qualcuno in movimento;
chi veniva scoperto mentre si muoveva doveva retrocedere.
La particolarità di questo gioco
consisteva nel modo in cui i concorrenti dovevano avanzare; l’ordine impartito
poteva essere, ad esempio: fare un passo da elefante oppure venti passi da
formica, o due passi da gambero piuttosto che quattro da canguro. Chi dava gli
ordini si divertiva a far avanzare più o meno rapidamente il gruppo o
addirittura a farlo retrocedere con i passi del gambero.
Perché racconto questo? Non per
nostalgia dell’infanzia, no. Ma perché l’immagine di questo originale modo di
procedere mi ricorda l’avanzare nella vita spirituale delle persone che
accompagniamo. È facile notare il passo da elefante che fa qualcuno, mentre può
passare quasi inosservato il passo da formica di qualcun altro. Dà
soddisfazione il salto da canguro, mentre un po’ deludente è il balzo
all'indietro del gambero.
Eppure il passo da elefante e
quello da formica valgono entrambi uno. Nella vita spirituale non dobbiamo
misurare i chilometri macinati o le distanze coperte, ma le singole conquiste
delle singole persone. Nella vita spirituale, un passo di due millimetri conta
come un passo da metro: entrambi misurano uno. È vero che ognuno deve arrivare,
ma l’arrivo non è un traguardo posto per tutti alla stessa distanza: ognuno ha
il suo traguardo e le sue tappe personali. C’è chi vi si dirige con una
andatura lenta e costante come una lumachina, chi prosegue a balzi e magari
qualche balzo lo fa anche all'indietro, chi si gioca tutto sullo scatto finale.
Ognuno ha la sua modalità che non va confrontata con le altre: l’importante è
guardare ai passi fatti, alle conquiste ottenute. Non ci può essere una unità
di misura unica per tutti. Certo l’accompagnatore si prefigura una risposta
ideale, che corrisponde a un massimo ideale, ma la persona ha la sua risposta
concreta e individuale che corrisponde alla sua misura personale. Per chi fa
passi da formica quello è il suo massimo, la sua andatura, la strada che fa;
l’importante è vederne i “frutti spirituali ”; e le sue conquiste non vanno
paragonate a chi avanza come un elefante. Alla fine del cammino entrambi
avranno raggiunto dei traguardi anche se, avviatisi dalla stessa linea di
partenza, ognuno avrà linee di arrivo diverse.
E poi, proprio come succedeva nel
gioco di cui vi ho parlato, non è detto che ognuno mantenga la stessa
andatura. Lo possiamo constatare anche su noi stessi: quanti passi lenti,
sofferti quasi, ma anche quanti passi lunghi, veloci facciamo nella nostra
storia personale per muoverci verso Dio! E i passi all'indietro? Ma chi ci dice
che quella volta che ci sembrava di retrocedere e cadere Dio non fosse invece proprio
lì dietro di noi?
Maria Rosa Brian