8/02/2017

Il principio di realismo nell'accompagnamento spirituale

C’era un gioco che facevo da bambina, forse oggi non si usa più. Un ragazzino si metteva con il viso girato verso il muro o contro un albero e doveva impartire al gruppo, allineato una decina di metri dietro a lui, dei modi per avanzare fino a raggiungerlo. Impartito l’ordine si girava di scatto per sorprendere qualcuno in movimento; chi veniva scoperto mentre si muoveva doveva retrocedere.
La particolarità di questo gioco consisteva nel modo in cui i concorrenti dovevano avanzare; l’ordine impartito poteva essere, ad esempio: fare un passo da elefante oppure venti passi da formica, o due passi da gambero piuttosto che quattro da canguro. Chi dava gli ordini si divertiva a far avanzare più o meno rapidamente il gruppo o addirittura a farlo retrocedere con i passi del gambero.
Perché racconto questo? Non per nostalgia dell’infanzia, no. Ma perché l’immagine di questo originale modo di procedere mi ricorda l’avanzare nella vita spirituale delle persone che accompagniamo. È facile notare il passo da elefante che fa qualcuno, mentre può passare quasi inosservato il passo da formica di qualcun altro. Dà soddisfazione il salto da canguro, mentre un po’ deludente è il balzo all'indietro del gambero.
Eppure il passo da elefante e quello da formica valgono entrambi uno. Nella vita spirituale non dobbiamo misurare i chilometri macinati o le distanze coperte, ma le singole conquiste delle singole persone. Nella vita spirituale, un passo di due millimetri conta come un passo da metro: entrambi misurano uno. È vero che ognuno deve arrivare, ma l’arrivo non è un traguardo posto per tutti alla stessa distanza: ognuno ha il suo traguardo e le sue tappe personali. C’è chi vi si dirige con una andatura lenta e costante come una lumachina, chi prosegue a balzi e magari qualche balzo lo fa anche all'indietro, chi si gioca tutto sullo scatto finale. Ognuno ha la sua modalità che non va confrontata con le altre: l’importante è guardare ai passi fatti, alle conquiste ottenute. Non ci può essere una unità di misura unica per tutti. Certo l’accompagnatore si prefigura una risposta ideale, che corrisponde a un massimo ideale, ma la persona ha la sua risposta concreta e individuale che corrisponde alla sua misura personale. Per chi fa passi da formica quello è il suo massimo, la sua andatura, la strada che fa; l’importante è vederne i “frutti spirituali ”; e le sue conquiste non vanno paragonate a chi avanza come un elefante. Alla fine del cammino entrambi avranno raggiunto dei traguardi anche se, avviatisi dalla stessa linea di partenza, ognuno avrà linee di arrivo diverse.
E poi, proprio come succedeva nel gioco di cui vi ho parlato, non è detto che ognuno mantenga la stessa andatura. Lo possiamo constatare anche su noi stessi: quanti passi lenti, sofferti quasi, ma anche quanti passi lunghi, veloci facciamo nella nostra storia personale per muoverci verso Dio! E i passi all'indietro? Ma chi ci dice che quella volta che ci sembrava di retrocedere e cadere Dio non fosse invece proprio lì dietro di noi?
Maria Rosa Brian