11/04/2017

L'ossessione di sentirsi perfetti

Ricordate cosa scrive Ignazio negli Esercizi Spirituali a proposito delle tentazioni degli avanzati?

[332] Quarta regola. È proprio dell'angelo cattivo, che si trasforma in angelo di luce, entrare con il punto di vista dell'anima fedele e uscire con il suo: suggerisce, cioè, pensieri buoni e santi, conformi a quell'anima retta, poi a poco a poco cerca di uscirne attirando l'anima ai suoi inganni occulti e ai suoi perversi disegni.

Qual è la più grande, anzi, forse l’unica tentazione (perché comprende tutte le altre) in chi è già determinato a seguire Dio? La perfezione, l’impeccabilità, il voler essere come Dio per essere degni di Dio. Che inganno! Dio non mi vuole come Lui nella perfezione, ma con Lui nell’amore: vuole un uomo che ama. E che ama da uomo: in mezzo a tutte le mie imperfezioni e fragilità. Ed è Lui il primo che mi incoraggia, per evitare che queste mi distruggano con i sensi di colpa, lo scoraggiamento e la delusione di me stesso.
Con tutta la mia incapacità, i miei limiti, i miei sbagli, questo solo voglio che mi unisca a Te, Signore, e so che può farlo: provo a continuare ad amare. Come so, come posso, come ci riesco. Ma, con Te, volendo saperne di più, potere di più, riuscire di più… per sentirmi ancora di più unito a te.

Se riuscisse davvero a farmi vivere la perfezione, lo Spirito del male mi avrebbe bloccato: se non sbaglio, cosa imparo di nuovo? E, nella mia autosufficienza compiaciuta, mi consegnerebbe ai miei nuovi compagni: l’orgoglio e  la vanagloria, che figlierebbero in me il giudizio nei confronti di chi non è perfetto come me. E il mio allontanamento dall’Amore sarebbe così compiuto.

Personalmente, credo che non sono io a costruire la mia santità con i miei sforzi e i miei successi, ma Dio, soprattutto con i miei errori redenti da Lui.
Già solo accettare questa prospettiva è difficile: vorrei, infatti, essere degno della stima di Dio, meritarmela con tutte le mie cose perfettamente a posto; viceversa, se non ci riesco, mi sento un disastro, se non addirittura dannato.
Ma... Dio ci ha sbattuto lì un manuale di regole dicendoci “Rispettatele e poi faremo i conti...” o ci ha dato in Cristo una via e nello Spirito Santo un accompagnatore per discernere i casi della vita e imparare dai nostri errori? E' pronto a farcela pagare o è disposto a tutto per recuperarci dai vicoli ciechi in cui ci cacciamo e, anzi, proprio attraverso questi farci entrare in nuove prospettive?
Mi piacerebbe tanto -e nutrirebbe la mia autostima!- poter dire “«Io ce l'ho fatta, io ce la faccio a vincere le mie tentazioni» e poter guardare in faccia Dio contento di me stesso. Ma, finché ci riesco, probabilmente è perché le mie sono piccole battaglie, di uno che è talmente pieno di se stesso e cieco ai propri veri peccati che lo spirito del male gli lascia vincere per confermarlo in una situazione in cui anche il bene che fa è solo per costruire se stesso.
Ma quando ti lasci sul serio essere strumento di Dio, quando lo cerchi sul serio mettendoti in gioco, le tentazioni ti saltano addosso, potenti: alla tua coscienza sensibilizzata tutto si presenta come grave per distruggerti con i sensi di colpa; i tuoi sensi, ora pacificati, ogni tanto si ribellano, eccitati dal voler provare nuove esperienze, che proprio ora si presentano possibilissime; e poi... continuano ad emergere le tue consuete reazioni istintive, che ora però ti amareggiano perché non le giustifichi più come prima.
In questo panorama desolante, ci vuol poco a lasciarsi prendere dallo scoraggiamento -strumento del demonio per bloccarti e farti desistere.
Eccolo qua il frutto di un rapporto moralistico con Dio: o la vanagloria o la depressione, senza vie di mezzo. L'una e l'altra indice della distanza che abbiamo frapposto con Dio, volendo costruirci da soli.
Forse l'approccio da tenere nei confronti della tentazione è allora un altro: non cercare come superarla (per sentirmi perfetto o di nuovo a posto), ma prendere atto, senza farne un dramma, che sono fragile; che, lasciato a me stesso, cado; e che, se una parte di me non vuole cadere, l'altra lo desidera ardentemente. So bene che se chiamassi Dio a starmi accanto ce la farei, ma non ne ho nessuna voglia: la rinuncia mi sembra quasi negarmi un mio diritto.
Ripeto: prendo atto di tutto ciò senza farne un dramma. Questo sono io: e proprio perché sono così ho bisogno che Dio venga a salvarmi, perché da solo non ce la faccio.
Dio lo sa che senza di Lui non posso far nulla; sono io che ancora non lo so: devo arrivare a rendermene conto a forza di fallimenti e conseguenti disillusioni. Tutto posso in Colui che mi dà la forza. Nulla senza.
Al diavolo allora tutte le tecniche e le strategie ascetiche per cercare di resistere alla tentazione. L'unica è cercare di rimanere aggrappato a Lui. Come? Durante e dopo, pregando, parlandogli, anche mentre sto cedendo, impedendo alla vergogna di allontanarmi da Lui.
Può essere anche un semplice gesto: Ignazio di Loyola portava la mano al petto quando si accorgeva di aver fatto una stupidaggine.
Questo allora decido, Signore: non voglio più vivere nulla senza di Te. Se non ti trascino con me anche nella nebbia, come puoi avvertirmi quando mi sono perso e sussurrarmi all'orecchio di darti la mano perché è ora di uscirne; e che Tu, fin dall'inizio eri là proprio per esserci in questo momento?
E, se non riesco io a chiamarti accanto a me, vieni tu. Lo so che sai farlo prendendomi per lo stomaco e bloccandomi. Se non riesco io ad esserti fedele, siilo tu a me. Signore, se vuoi puoi salvarmi. Credo che puoi e vuoi farlo anche quando non ti rendo le cose facili, quando punto i piedi, quando ti volto le spalle; sennò non saresti il Dio Salvatore, ma lo spettatore dei miei successi.
La tua misericordia non è una spinta a tirarmi fuori dai miei problemi, ma il sottofondo del mio zoppicarti accanto, come posso. E questo è il cambiamento che essa opera in me: dallo sperimentare la mia capacità allo sperimentare la tua tenerezza nella mia incapacità. Dalla fiducia in me stesso alla fiducia in Te; e qui sentire la tua fiducia in me.

Salvarmi, Signore, ancora una volta non è rendermi perfetto, ma rendermi l’uomo che io posso essere, indicato dalla mia vocazione: è la mia vocazione, il mio modo personale di essere Amore con Te che non devo perdere, perché è qui che io e Te siamo uniti.
Che liberante, Signore: mi lasci vivere questo e quello, il bene e il peccato, ed entrambi, vissuti non senza di te, dici buoni per la mia crescita in te. Poi mi dici: «Vedi di viverli senza mettere in pericolo ciò che sei in me, la tua vocazione. Questo solo conta. Io voglio te; ti voglio come sei: un uomo. Non sta a te farti Dio. Io ti farò me. Ma io, solo io, so come farlo. Fidati e rimani in me».                                                                
                                                                                                                   Michele Bortignon