Quest’anno la neve
pesante e il vento forte hanno schiantato diverse piante nei nostri boschi. Ne
ho fotografato una, accanto ad un’altra che non ha subito danni.
Riguardando l’immagine, il
pensiero è scivolato sullo spirituale e mi sono chiesto: sempre ciò che appare
schiantato è davvero schiantato e ciò che appare intero è davvero intero?
Me lo chiedo pensando a certe
situazioni, indirettamente vissute, in cui sembra che un proclamato bene conculchi
il bene autentico e tanti accettano la situazione per “amor di pace”.
Ecco: questi aggressivi dal volto
benevolo, e questi buonisti alieni dallo schierarsi, sono questi i poveri dei
nostri giorni, gli schiantati dentro che appaiono tutti d’un pezzo. Avvinghiati
al loro io, in adorazione delle loro quattro piacevoli sicurezze, atterriti
dalla paura di perderle, affannati per aumentarle o aggiungerne altre seguendo
ciò che la moda propone, aggressivi perché insicuri.
Forse, però, questi è meglio
chiamarli miseri. Povertà non è miseria. Il povero non ha quel che altri reputa
essenziale, ma che, in realtà, è la fonte della sua miseria. Io, povero, per
altri manco di…; per me, sono libero da… Il bisogno non mi rende schiavo. Non
voglio che per me la vita sia una lotta per vincere o per non essere
schiacciato. Agli altri posso apparire schiantato, ma io mi sento intero.
“I cristiani abitano in questo
mondo, ma non sono del mondo”, scrive l’anonimo autore della lettera a
Diogneto. Se almeno una volta hai fatto esperienza di sentirti immerso nell’infinito
e hai gustato il tuo farne parte, con un colpo di reni puoi strapparti
dall’abbraccio mortale della rivalità, dell’invidia, della vendetta, della
rivalsa e vedere che sono altrettante piccinerie che ti rendono piccino. C’è
differenza tra l’ansimare rabbioso e il calmo respirare a pieni polmoni. Se gli
altri sono contenti così, lascia loro vincere questa battaglia. Per te sarà
l’occasione di capire che cosa è veramente essenziale. Accettando di essere
reso povero, ti scoprirai ricco di ciò che conta davvero: la libertà, la
verità, la gratuità…
Scoprirai anche che non sei
diverso da loro: anche tu, in fondo, vuoi ciò che vogliono loro, ti dà fastidio
ciò che dà fastidio a loro. Il tuo vantaggio è che hai deciso di parlarne con
Dio prima di agire. E, parlandogliene, scopri che il male, travestito da vero,
da giusto, da bene, tiene anche il tuo cuore avvinghiato con le sue radici. Ora
le vedi; sei fortunato: puoi prenderne le distanze. Ma loro? Loro che non hanno
conosciuto il Signore della Vita? Quantomeno imponiti di rispettarli nella loro
infermità. Chi non conosce il Salvatore cerca di salvarsi da solo, come può.
Puoi dargli torto?
Poco prima della sua morte,
Francesco scrive a Chiara: “Io, frate Francesco piccolo, voglio seguire la
povertà dell’altissimo Signore Nostro Gesù Cristo e della sua santissima Madre
e perseverare in essa sino alla fine”. Non sceglie la miseria, ma la
profonda libertà da ogni piccineria che chiude in se stessi, per fare invece
ciò che crea “pace e bene”. E’ la libertà di Gesù, che lo rende capace di
lasciarsi prendere anche la vita per rimanere fedele al suo essere Amore.
Anch’io posso scegliere di lasciarmi schiantare per
rimanere intero. Come ha fatto Cristo. E in questa “comunione” Francesco vede
la “perfetta letizia”. Sono capace di sopportare per amore di Cristo? Al di
sopra di tutte le grazie che Dio concede ai suoi servi c’è la grazia di vincere
se stessi e sopportare ogni offesa per amor suo. Come ha fatto Lui. Ed essere
con l’amato è, per chi ama, perfetta letizia.
Michele Bortignon