Qual è il criterio che guida
nell’azione la mentalità comune?
E’ piacevole ed è possibile,
quindi si fa.
Sembra talmente logico che anche
noi ne siamo trascinati.
E’ logico, ma… è vero? Ossia fa
crescere il mondo o gli crea problemi?
Vero è ciò che è bene. Bene per
tutti.
Il criterio che guida l’azione
del cristiano è dunque un altro: si fa se è bene, anche se è impossibile.
Ma che cosa sostiene l’azione,
andando contro la manifesta impossibilità? Non diversamente dagli altri, anche
noi siamo tentati dalla via più facile,
più appagante, che sembra risposta a bisogni e desideri!
Io credo che sia la Bellezza.
Nella Bellezza avverti il
manifestarsi di qualcosa di grande, che suscita in te stupore e ti lascia nella
pace se entri a farne parte gustandola, vibrando in armonia con essa e agendo
per farla essere in te e attraverso di te.
La Bellezza vissuta è l’amore e
l’amore è l’incarnarsi dell’essere di Dio.
Dio è dunque presente e lo si può
incontrare in tutto ciò che esprime bellezza, suscitando in noi stupore e
lasciandoci nella pace. Anche quando sembra impossibile. Anzi, tanto più quando
sembra impossibile, per renderlo possibile. Perché abbiamo bisogno di reagire
alle tentazioni e alla sofferenza per rendere la nostra vita vera e quindi
autentica.
Un brivido di piacere, un fremito
di soddisfazione riempiono l’attimo, ma ci scavano il vuoto attorno.
Il problema è non lasciarci
travolgere dall’agire istintivo. Una passione non si vince con il ragionamento,
ma con una passione più forte, perché col Nemico si lotta accettando battaglia
sul suo terreno. Così fece san Francesco, che proprio nel momento più duro
della sua vita riuscì a conservare la sua fedeltà al Signore immergendosi nella
Bellezza del creato, per incontrarvi Dio, di cui essa è dono, come ci racconta
questa introduzione al Cantico delle Creature.
Verrebbe spontaneo pensare che
S. Francesco abbia scritto il cantico delle creature in un periodo felice della
sua vita, quando la bellezza del paesaggio umbro gli riempiva gli occhi e il
cuore, ma non è così.
Nell’inverno 1225, Francesco
dimorò a S. Damiano per più di cinquanta giorni: portava le stigmate, era quasi
cieco, aveva atroci dolori agli occhi e non poteva sopportare la luce del sole
né quella del fuoco. I frati gli fecero costruire una capanna in un angolo
della loro casa; il luogo era infestato dai topi, così che non poteva né
mangiare né dormire. Faceva anche molto freddo.
Una notte Francesco pregò:
«Vieni, Signore, in soccorso delle mie infermità». E gli fu risposto in
spirito: «Rallegrati e vivi sereno come se tu fossi già nel mio regno!».
Alzatosi al mattino disse ai
suoi compagni: «Ora dunque devo molto gioire. Voglio perciò comporre una nuova
laude al Signore assieme a tutte le creature, senza cui noi, ingrati, non
possiamo vivere». E postosi a sedere, si concentrò e disse: «Altissimo,
onnipotente, bon Signore…».
Michele
Bortignon