«Torna a metterti dietro di me!»
dice Gesù a Pietro che cerca di riportarlo al comune buon senso, per cui la
prima cosa è salvare la pelle (Mc 8, 33). Così anche noi, seppur ci diciamo
discepoli di Gesù, spesso conduciamo la nostra vita, anche quella religiosa,
secondo i nostri criteri, seguendo quel che ci serve e ci piace.
Prendiamo, ad esempio, la nostra
preghiera. Mi sembra di individuare tre atteggiamenti con cui la viviamo:
- L’atteggiamento pragmatico: preghiamo per ottenere, per cui il nostro pregare è tutto una richiesta, una supplica, un contrattare con Dio; e un lamentarci quando non ci ascolta.
- L’atteggiamento emotivo: preghiamo per il gusto di provare emozioni, di sentirci avvolti e mossi da una forza più grande di noi, che ci fa essere superiori a noi stessi e agisce lo straordinario attraverso di noi, ispirandoci e vitalizzandoci.
- L’atteggiamento razionalista: preghiamo per comprendere come programmare la nostra vita al seguito di un Dio legislatore e verificatore dei nostri comportamenti.
Ognuno di questi tre
atteggiamenti ha del buono, ma, quando è vissuto come l’unico, ha
dell’eccessivo. E’ da sempre il problema delle eresie: assolutizzare una parte
e viverla come se fosse il tutto.
Ma una preghiera autentica assume
in sé tutt’e tre queste dimensioni e si confronta con la forza del sentimento,
della ragione e della realtà. Non ci rivolgiamo forse a un Dio trinitario,
comunione di persone ciascuna con la propria individualità?
Ecco allora che il Padre, il
creatore del mondo, ci aiuta a mantenere la nostra preghiera ancorata alla
realtà, alla vita nella sua concretezza, perché attraverso di essa Egli vuol
cambiarci il cuore e, attraverso di noi, le relazioni con gli altri, fino alle
strutture sociali.
Il Figlio è la via attraverso cui
questa volontà del Padre si realizza. Egli ci stimola a usare la nostra ragione
per osservare, analizzare, capire, progettare.
Lo Spirito Santo, infine, è Dio
nel suo aspetto più concreto, tangibile, sperimentabile: lo sentiamo nel cuore
a muovere le nostre decisioni, accarezzandoci con la consolazione quando siamo
un tutt’uno con Lui o stringendoci il cuore in un dispiacere aperto alla
speranza quando vuol riportarci alla fiducia in Lui, facendoci ritornare
indietro da vie sbagliate.
Ragione, sentimento e concretezza
assieme, mai l’uno senza l’altro, collaborano a rendere la nostra preghiera
vera e capace di continuare l’opera creatrice di Dio, che attraverso di noi
vuol trasformare il mondo nel Regno dell’Amore. Ed evitano le derive
dell’ideologia, dell’emotività e della superstizione.
Un cuore caldo, una mente fredda
e delle mani irrobustite: ecco quel che ci vuole per una preghiera autentica!
Michele Bortignon