11/01/2018

Che cosa rende autentica la preghiera?


«Torna a metterti dietro di me!» dice Gesù a Pietro che cerca di riportarlo al comune buon senso, per cui la prima cosa è salvare la pelle (Mc 8, 33). Così anche noi, seppur ci diciamo discepoli di Gesù, spesso conduciamo la nostra vita, anche quella religiosa, secondo i nostri criteri, seguendo quel che ci serve e ci piace.
Prendiamo, ad esempio, la nostra preghiera. Mi sembra di individuare tre atteggiamenti con cui la viviamo:

  1. L’atteggiamento pragmatico: preghiamo per ottenere, per cui il nostro pregare è tutto una richiesta, una supplica, un contrattare con Dio; e un lamentarci quando non ci ascolta.
  2. L’atteggiamento emotivo: preghiamo per il gusto di provare emozioni, di sentirci avvolti e mossi da una forza più grande di noi, che ci fa essere superiori a noi stessi e agisce lo straordinario attraverso di noi, ispirandoci e vitalizzandoci.
  3. L’atteggiamento razionalista: preghiamo per comprendere come programmare la nostra vita al seguito di un Dio legislatore e verificatore dei nostri comportamenti.
Ognuno di questi tre atteggiamenti ha del buono, ma, quando è vissuto come l’unico, ha dell’eccessivo. E’ da sempre il problema delle eresie: assolutizzare una parte e viverla come se fosse il tutto.
Ma una preghiera autentica assume in sé tutt’e tre queste dimensioni e si confronta con la forza del sentimento, della ragione e della realtà. Non ci rivolgiamo forse a un Dio trinitario, comunione di persone ciascuna con la propria individualità?
Ecco allora che il Padre, il creatore del mondo, ci aiuta a mantenere la nostra preghiera ancorata alla realtà, alla vita nella sua concretezza, perché attraverso di essa Egli vuol cambiarci il cuore e, attraverso di noi, le relazioni con gli altri, fino alle strutture sociali.
Il Figlio è la via attraverso cui questa volontà del Padre si realizza. Egli ci stimola a usare la nostra ragione per osservare, analizzare, capire, progettare.
Lo Spirito Santo, infine, è Dio nel suo aspetto più concreto, tangibile, sperimentabile: lo sentiamo nel cuore a muovere le nostre decisioni, accarezzandoci con la consolazione quando siamo un tutt’uno con Lui o stringendoci il cuore in un dispiacere aperto alla speranza quando vuol riportarci alla fiducia in Lui, facendoci ritornare indietro da vie sbagliate.
Ragione, sentimento e concretezza assieme, mai l’uno senza l’altro, collaborano a rendere la nostra preghiera vera e capace di continuare l’opera creatrice di Dio, che attraverso di noi vuol trasformare il mondo nel Regno dell’Amore. Ed evitano le derive dell’ideologia, dell’emotività e della superstizione.
Un cuore caldo, una mente fredda e delle mani irrobustite: ecco quel che ci vuole per una preghiera autentica!
                                                                               Michele Bortignon