Ho sempre affermato, e ancora lo penso, che non aspettarmi nulla dagli
altri mi permette di ricevere tutto come un dono e di vivere le relazioni con
grande libertà e rispetto.
Se mi aspetto qualcosa in cambio, e ho delle attese o pretese sugli
altri, alla fine, di sicuro, tali attese non saranno colmate e ne resterò
delusa, con il rischio di recriminare ed esternare all'altro, magari in modo
violento, che cosa mi aspettavo da lui. Quante liti e quanti diverbi, quante
incomprensioni e disaccordi si potrebbero evitare eliminando le nostre
aspettative sugli altri!
Ma non sempre tutto è così semplice! Ci sono aspettative che ho
imparato a gestire, ad esempio non attendermi qualcosa in cambio per un piacere
o un servizio fatto, non aspettarmi un “Grazie!” o un “Brava!”: ecco, il
bisogno di conferma riesco più o meno a controllarlo. Diverso, e più difficile,
è accettare che l’altro non faccia quello che io ritengo sia in suo dovere fare.
Ci sono situazioni in cui vorrei che l’altro facesse la sua parte, quella che
per me è giusta e che gli spetta. Gli spetta... appunto: è una mia aspettativa.
Ciò che mi aspetto dall'altro rientra nel mio modo di vedere le cose,
nel mio normale modo di agire, che proviene dalla mia storia e dal mio cammino,
non dal suo. Di sicuro vedere l’altro non agire come io vorrei mi lascia
delusa, arrabbiata, frustrata. Parlandone assieme per capirci, nel confronto,
l’altro porta le sue ragioni e motivazioni che, ovviamente, avendo lui agito in
maniera opposta rispetto a quello che mi aspettavo, non corrispondono alle mie
ragioni e motivazioni.
Ma le aspettative sono tutte uguali e tutte negative? Ne distinguerei
due tipi.
Il primo tipo è la pretesa: io sono al centro e cerco in tutti i modi
che l’altro faccia la mia volontà; la manipolazione si basa essenzialmente sul
ricatto affettivo: ti do attenzione, affetto, stima, solo se fai come dico io.
Il secondo tipo è l’attesa: mi aspetto che tu svolga il ruolo che
abbiamo, più o meno esplicitamente, concordato; il compito che ciascuno
dovrebbe naturalmente svolgere all'interno di una collaborazione, di
un’amicizia, di un rapporto di coppia perché la relazione funzioni. Riportarti
a questo tuo compito con la mia aspettativa è farti crescere e assicurare che
le cose tra noi vadano per il meglio; senza questo tipo di attesa non c’è
relazione, ma disinteresse, freddezza, distacco.
Determinante è, dunque, capire di che tipo è l’aspettativa che abbiamo
verso l’altro, chiunque sia: figlio, genitore, collega, amico, marito, ecc. E’
un’aspettativa che va a colmare i miei bisogni (stima, affetto, sicurezza)
oppure è un’aspettativa che va a migliorare e far crescere me, l’altro e la
relazione tra noi?
Nel primo caso mi chiedo perché sto ancora a mendicare stima e
affetto; nel secondo, invece, prendo atto che la nostra relazione è più
importante dei suoi personali e dei miei personali interessi. Accetto allora un
confronto e uno scambio di opinioni e promuovo una progettualità comune.
L’importante è spiegarsi, chiarirsi e accettare anche la posizione dell’altro
come compatibile con la mia o trovare un compromesso.
Potrebbe però essere che questo compromesso non si trovi. Cosa fare
allora? Insistere? Arrendersi? Gesù dice: “Se vuoi” (Mt 19,17.21) perché
l’Amore ama e lascia liberi. “Se vuoi” è un invito, non un obbligo; è una
proposta, non un’imposizione.
Gesù mostra in sé l’alternativa, mostra come si può essere in maniera
diversa, credendo che un giorno la vita, con le sue prove, rivelerà qual è la verità.
Maria Rosa Brian
Maria Rosa Brian