Per capire se una cosa è giusta o sbagliata siamo soliti
semplificare la realtà individuando delle situazioni standard con cui
confrontarla. Ecco allora che, per esempio, la famiglia di riferimento è quella
della pubblicità in televisione, e tutte le situazioni che da questa si
discostano le sentiamo, se non sbagliate, perlomeno non proprio giuste. Con la
conseguenza che chi vi si trova suo malgrado si sente oltretutto caricato di
pesanti sensi di colpa e di fallimento.
Dal Vangelo sappiamo che chi
classificava le situazioni per giudicarle erano i Farisei, ai quali Gesù
contrappone una morale non dei casi, ma della persona: è bene ciò che realizza
il bene della persona (“Non l’uomo è fatto per il sabato, ma il sabato per
l’uomo”).
Gesù non stronca con un giudizio
tutto ciò che è irregolare rispetto allo standard culturalmente condiviso, ma
si chiede: «Come si può far crescere questa situazione verso un bene superiore,
dove, cioè, vivano un amore, una fiducia, una speranza sempre più grandi, per
condurre queste persone alla pace, alla gioia, alla libertà da ciò che le
condiziona?». Egli sa andare al di là del giusto e dello sbagliato: la salvezza
non è la situazione di chi è conforme a uno standard, ma il cercare di vivere
nella fede, nella speranza e nell’amore la situazione in cui ci si trova.
La vita non è così facile da
incasellare! Sull’Oreb, Elia riconosce che Dio non è come finora se l’era
immaginato e con il mantello si copre il volto (che rappresenta la sua
identità; ossia evita di giudicare) quando si rende conto che il silenzio è
l’autentico luogo di Dio. Dio ti è accanto quando entri nel silenzio solo
cercando di conoscere e di capire quel che è successo o che sta succedendo. Con
uno sguardo di futuro guarda allora non al fatto in sé, ma a dove esso ti
conduce, se come ti costruisce è ancora ciò che sei e che vuoi essere.
Anche la Voce di sottile silenzio
che ti invita a non giudicare non giudica: non sei davanti a un giudice che
continuamente ti classifica a posto o colpevole, per cui tu debba continuamente
recuperare una perfezione che ti renda “accettabile”. Non è vita stare immobili
per non sbagliare. Vita è provare per scoprire cosa succede se… e trovare dove
la vita è vera e dove è illusione, comunque sapendo camminare alla giusta
distanza tra un lasciarsi andare a un’istintualità incontrollata e una rigidità
puritana che vede con sospetto la gioia suscitata da piccole cose molto umane.
Il Buddha pervenne
all’illuminazione osservando il suonatore di uno strumento a corda intento ad
accordarlo: se la corda era troppo lenta non produceva suono; se troppo tesa
rischiava di spezzarsi; solo alla giusta tensione produceva il suono per cui
era stata costruita. Il suono nasceva dal giusto mezzo.
Ecco dunque dov’è il giusto
mezzo: se la tua vita produce una melodia, allora tutto ok; altrimenti, anziché
spaventarti o deprimerti (le forti emozioni negative non vengono da Dio!),
semplicemente pensa ad accordarla meglio.
Michele Bortignon