5/01/2019

Come vivere il presente tra paure, dolore e sofferenze



Desidereremmo tutti poter vivere una vita serena, tranquilla, senza problemi. Ma la realtà è un’altra e spesso ci troviamo dentro a situazioni, soprattutto di malattia, che ci rendono questa vita difficile, quasi impossibile e insopportabile. Quando il dolore fisico o psicologico invade la nostra vita coinvolgendoci in prima persona, quando gli attori principali del dramma siamo noi, la nostra reazione è di paura e di rifiuto. Ma questa reazione al male sarebbe un voler negare la realtà, un nascondere la testa sotto la sabbia e fingere che non ci sia il problema; d’altra parte non possiamo nemmeno permettere al dolore di farla da padrone e invadere tutta la nostra vita rovinandoci l’esistenza in modo definitivo. Correttamente dovremmo dire: «Il mio male c’è, ma io non sono il mio male; io non sono solo la malattia e la malattia non è tutta la mia vita». Ma come riuscire a rendere vita vissuta quest’affermazione di principio? Come affrontare la paura, il dolore e la sofferenza che questa mia malattia mi provoca senza lasciarmi travolgere dalla sua negatività?

Gesù mi dice semplicemente di credere in Lui; che non significa rassegnarmi, arrendermi alla malattia e non lottare, ma sentire che alla fine tutto sarà bene perché Lui è con me. E io con Lui faccio la mia parte, innanzitutto cercando risorse: guardo in faccia la realtà e  quello che la mia vita mi offre; con quello che ho a mia disposizione (intelligenza, energia, positività, voglia di vivere e di star bene) e con quello che gli altri mettono a mia disposizione (aiuto, capacità, intelligenza, energia, positività; il tutto riassumibile con il sostantivo amore), mi costruisco la vita migliore che posso. L’amore di Dio è la vicinanza di chi mi vuole bene, è l’aiuto degli altri, è un amico che si interessa, è chi offre le sue capacità, è chi si preoccupa per me e chi si occupa di me.

Ancora, l’amore di Dio è Cristo che ha liberamente accettato di vivere il dolore, la sofferenza e la paura, ha lottato e li ha vinti nella sua Pasqua. Posso allora decidere di vivere un atteggiamento interiore di fiducia e apertura verso Lui che mi insegna a percorrere la sua stessa strada. E con Lui scelgo di addomesticare il dolore, accogliere la sofferenza, allearmi la paura.

  • Addomestico il dolore. Lo vedo come ingrediente inevitabile di questa vita. Il dolore è selvaggio, non sai né quando arriva, né quando e se se ne va. Allora chiedo la forza a Cristo: Lui sa che cos’è il dolore. Gli chiedo di aiutarmi a non lasciarmi sopraffare da esso, a non permettere che il male riempia tutto il mio orizzonte.

  • Accolgo la sofferenza. La sofferenza è un male interiore. Sosto nella sofferenza, le parlo, le chiedo che cosa mi può offrire, che cosa mi insegna, come mi fa crescere, cambiare, evolvere.

  • Mi alleo la paura. La paura è forza vitale: mi salva e mi protegge. Ma, se sfocia nel terrore, mi blocca. E allora cerco di conoscerla per usarla come alleata nel proteggermi da ciò che potrebbe farmi male.

Dolore, sofferenza, paura sono sentimenti che mi possono servire se sono io a controllarli, mentre mi schiacciano e mi uccidono se mi lascio dominare da loro perché non ho imparato a conoscerli. Alla fine sono io a decidere se esserne preda o dominatore: la scelta è mia.

E, ancora, cerco di vivere qui e ora: non lascio che il futuro mi crei preoccupazioni (appunto pre-occupazioni) che sono solo ipotesi e probabilità. Vivere qui e ora significa gustare, accogliere, apprezzare quello che ho adesso, quello che vivo adesso: amore, amicizia, vicinanza, affetto, aiuto, ecc…; tutto il bello e il bene che c’è nella mia vita.
Guardo la strada dove metto i piedi, mi concentro sul passo che sto facendo, mi gusto il paesaggio che sto guardando. Solo questo passo. Ho l’energia per fare questo passo presente, immediato. Non consumo le mie forze a pensare a come ho fatto i passi precedenti o a come farò i futuri. Vivo qui e ora.

Quando il passato si fa invadente e soffoca il mio presente, non faccio altro che riconoscerlo, capire perché torna a invadere il mio “qui e ora”; cerco di capire di quali bisogni è voce, di quali ferite non rimarginate si fa eco. Guardando a Gesù, che vuol fare nuove tutte le cose, accolgo il suo perdono, il suo invito a perdonare e prima ancora a perdonare me stesso. A questo punto la smetto di recriminare e, invece, colgo e sottolineo la lezione che la mia storia mi porge. E lascio andare ciò che è passato. È passato e basta; punto a capo.

Quando è il futuro a farmi paura, mi rifugio tra le braccia di Dio e mi sento sereno come un bimbo svezzato in braccio a sua madre (Sal 131, 2). Mi lascio cullare, contenere, proteggere; mi fido, proprio come un bimbo si fida di sua madre. Il futuro non lo posso controllare, non posso prevederlo; posso solo fidarmi. Fidarmi di un Dio con me, che non mi abbandona mai: se c’era nel mio passato, c’è nel mio presente e ci sarà nel mio futuro.

Tutto questo spetta a me interiorizzarlo e assimilarlo. La scelta definitiva è sempre e solo la mia; ma a Lui posso chiedere la forza dello Spirito per sentirlo e sperimentarlo DIO CON ME.


                                                                                                  Maria Rosa Brian