10/01/2019

Cercasi colpevole

«È colpa sua! È stato lui/lei!» Fin dall’inizio, ancora nel giardino di Eden (Gen 3,12-13), l’uomo e la donna cercano di scaricare colpe e responsabilità sull’altro: c’è sempre qualcuno peggiore di me e più colpevole di me. Si tratta di un meccanismo innato di autodifesa che ci spinge sempre a trovare un responsabile, un colpevole, un capro espiatorio al posto nostro. Un capro espiatorio appunto, come si legge nel Levitico: “Aronne poserà entrambe le mani sul capo del capro vivo, confesserà su di esso tutte le colpe degli Israeliti, tutte le loro trasgressioni, tutti i loro peccati e li riverserà sulla testa del capro; poi, per mano di un uomo incaricato di ciò, lo manderà via nel deserto. Così il capro porterà sopra di sé tutte le loro colpe in una regione remota, ed egli invierà il capro nel deserto” (Lv 16,21-22).
È comodo e dà sollievo addossare tutta la colpa all’altro, farlo passare per un “mostro”, vederlo come tale e assumere noi il ruolo di innocenti. Siamo noi i buoni e dunque abbiamo diritto a un Dio che ci consola, ci coccola e ci dà ragione. Vorremmo un Dio che ci prende in braccio e ci dice: «Povero bimbo mio, ti hanno fatto la “bua”? Brutti cattivi, vieni qui che ti coccolo». Ma siamo sicuri sia proprio questo l’atteggiamento di un padre? E siamo sicuri sia proprio questo ciò di cui abbiamo bisogno? È questo l’atteggiamento che ci fa crescere come persone responsabili? Certo, non possiamo negarci il bisogno di essere consolati, ma un Padre, dopo questo primo momento di tenerezza, ti rimette in piedi e ti fa guardare alla situazione in cui ti trovi sì per colpa di altri, ma… anche per colpa tua, e ti invita a uscirne rinforzato in quei tuoi limiti e carenze che hanno provocato o acuito il problema, a uscirne cresciuto, avendone ricavato un’esperienza di vita.
Ogni caduta ci serve per rimetterci in piedi più esperti e maturi di prima; altrimenti a cosa serve? Dio non ci vuole a terra a leccarci le ferite, commiserandoci per il nostro triste destino, a lamentarci di come gli altri siano cattivi, ingiusti e ostili con noi, altrimenti questo sarà sempre il cliché che adotteremo in ogni situazione. Diverremmo persone lamentose, sempre pronte a incolpare il tempo, il governo, la società per tutto ciò che non funziona. Avete presente chi alla domanda: «Come va?» risponde: «Si tira avanti»? Ecco: questo è l’atteggiamento di chi ha rinunciato di vivere da primo attore la propria vita e, recitando la parte della vittima, si accontenta appunto di “tirare avanti”.
Dio ci vuole protagonisti con Lui della nostra storia, pronti a riconoscere i nostri errori e le nostre colpe. Riconoscerle prima di tutto con noi stessi: i primi con i quali dobbiamo essere sinceri siamo noi. Poi riconoscere le nostre colpe di fronte gli altri, saper dire: “Ho sbagliato, è colpa mia” e assumersene le conseguenze. Infine riconoscere i nostri errori davanti a Dio: Lui li conosce e li ha già dimenticati; il confessarli serve a noi, appunto per riconoscerli e tenerli ben presenti. Chi non ammette i propri errori è condannato a ripeterli; cambiare situazione, cambiare partner non serve; e diventerà sempre più difficile pensare che ogni altra situazione non fa per noi, che ogni altro partner è sbagliato.

Concludendo possiamo dire che non ci serve un capro espiatorio, non abbiamo bisogno di un “mostro” per farci sentire buoni. Ciò che ci serve è la capacità di guardare a noi stessi con onestà e sincerità e da questa capacità trarre l’energia per rimetterci in piedi, senza lasciarci schiacciare dalla colpa o consolare dal falso buonismo di chi ci compatisce e ci giustifica sempre.

A questo punto, diverso sarà anche il nostro atteggiamento verso chi si trova dentro un problema o una situazione di errore. Non commiserazione, ma, dopo la giusta comprensione, avere anche il coraggio di passare da antipatici, ma, per il bene che vogliamo alla persona, guardare assieme a lei, senza falso pietismo, i suoi errori e le sue responsabilità in quella situazione per aiutarla a uscirne più solida, libera, matura e pronta a riprendere in mano la sua vita con gioia, pace e libertà.

                                                                                                          Maria Rosa Brian