
Io sono un perdente seriale e,
guardando alla mia esperienza, vedo un campo di battaglia disseminato di
cadaveri. Eppure… eppure mi scopro anche, e ancora, con la spada in pugno.
Lo so, continuo a frequentare le persone sbagliate: la
pigrizia, l’istintualità, l’avarizia, l’orgoglio... che sono veramente delle
figure porche: quando le ascolto tentano il colpo gobbo e cercano di staccarmi
definitivamente dal mio Signore coi sensi di colpa, di indegnità, di disastro,
per farmi ammettere che io sono loro, che esse sono la mia natura.
A volte ci casco, lo ammetto, e
la notte è allora un assaggio d’inferno.
Ma c’è un angelo che mi salva: si
chiama nostalgia. Mi ricorda chi sono e chi voglio essere. Mi dice, con tanta
fiducia, che quello non è amore.
E poi ci si mette anche Lui
direttamente: “Sei prezioso ai miei occhi, sei degno di stima e ti amo” Is
43, 4). E allora mi arrendo al tuo abbraccio, Signore, e ricomincio. Per questo
mi ritrovo sempre e ancora con la spada in pugno. Sono suo e voglio esserlo.
In qualche piccola battaglia
riesco a sconfiggere il nemico: tacendo, frenandomi, evitando… Quando attacca
in forze e all'improvviso… no, non ce la faccio. E’ già tanto se all'ultimo
momento riesco a fuggire prima di essere annientato. Ecco, questo lo sento una
grande grazia: che il Signore all'ultimo mi tiri fuori per i capelli per non
perdermi.
Nessuna tecnica, nessuna
strategia serve dunque per vincere la tentazione. Solo un’invocazione: “Sono
tuo: salvami!”. Solo la fede di essere figlio gelosamente amato e la disperata
volontà di non essere altri che tuo. Poiché solo in te tutto ha senso.
Ora non mi aspetto più di vincere
la tentazione. Lascio che il demonio faccia il suo lavoro –tentarmi, e io
faccio il mio –tenermi accanto al mio Signore col pensiero, con l’affetto, con
la fede, e penso e spero e credo che, a suo tempo, Il Signore farà il suo,
ri-suscitando in me un po’ del suo Spirito.
Ora lo so: non
sono solo; non dipende tutto da me.