8/01/2024

I rischi dell’effetto gruppo

Partecipare a un’esperienza di gruppo in cui si viene coinvolti a livello profondo tramite la condivisione del vissuto porta indubbiamente a una comunione che si traduce nel tempo in forti legami affettivi. Nell’accoglienza, nell’aiuto, nella simpatia, nella premura degli altri si fa esperienza “incarnata” dell’amore di Dio per noi. L’esperienza degli altri spesso diventa sua parola anche per noi.

A poco a poco i compagni di cammino diventano amici e il reciproco affetto diventa così gratificante da rischiare di diventare la motivazione dell’incontrarsi. Dal primo piano, Dio passa allora allo sfondo, diventando l’occasione per cui ci si trova assieme. Con il calare dell’attenzione a Dio, della tensione ad incontrarlo, dello spazio che gli dedichiamo, cala la sua possibilità di raggiungerci e quindi la sua incidenza sulla nostra vita.

L’affetto delle persone da trasparenza dell’amore di Dio diventa un bene per se stesso, per cui diventa difficile mantenere la propria libertà rispetto ad esso: da una parte ci si crea aspettative sulle persone e dall’altra dei riguardi. Diventa difficile dire loro le cose come stanno: quelle che riguardano se stessi, per timore di perderne la stima; quelle che riguardano loro, per paura di perderne l’affetto. Ci si lascia andare ad espressioni e manifestazioni affettive che non sono più innocenti e spirituali nel momento in cui diventano accaparramento della simpatia dell’altro o delle “coccole” che può darci, anziché espressione di gratuità. Si manifesta così l’affettivismo: il desiderio ansioso di stare assieme agli altri e il timore di esserne abbandonato. Forse è perché, sotto sotto, trovi solo in essi risposta al tuo bisogno di sostegno, di attenzione, di accoglienza, di ascolto. La bellezza di un rapporto umano profondo porta all’affetto e al sostegno reciproco, che però è positivo solo quando è qualcosa in più rispetto al supporto fondamentale offerto dalla relazione con Dio; un surplus buono, ma che non deve diventare indispensabile.

Facciamo attenzione ai sintomi dell’affettivismo:

  • quando abbiamo “bisogno” della relazione tra noi al punto da rinunciare a ciò che è giusto pur di mantenerla

  • quando questa relazione continua a crearti problemi anziché farti vivere nella pace

  • quando la consolazione che ci diamo reciprocamente oscura la presenza del Consolatore

  • quando ci dà più piacere stare tra noi che non con il Signore

Ad evitare questa sempre possibile deviazione è innanzitutto importante una separazione dei momenti: c’è il momento in cui si condivide e si prega e c’è il momento in cui si sta insieme in amicizia; il momento in cui si è rivolti insieme verso Dio e il momento in cui si è rivolti gli uni verso gli altri; il momento del silenzio accogliente e rispettoso e il momento della chiacchiera, dello scherzo e della risata; il momento in cui si affida il fratello a Dio e il momento in cui ci si dà da fare per lui.

C’è un equilibrio e una separazione da salvaguardare tra l’essere amici e compagni di cammino. La propria solidità deve fondarsi su Dio e -certamente!- incarnarsi nelle relazioni umane, ma continuando a vedere in trasparenza attraverso di esse il Dio che ce ne fa dono. E’ questo il presupposto che ci permette di viverle ricavandone tutto il bene che possono darci, ma nella libertà, evitando di diventare vittime delle aspettative degli altri o renderli schiavi delle nostre aspettative. Nelle persone vogliamo dunque incontrare il nostro Signore, quel che Lui è, con affetto e rispetto, e non quello di cui abbiamo bisogno.

Aiutaci, Signore,

  • a non essere rivolti l’uno verso l’altro
  • ad aiutarci l’un l’altro a volgere lo sguardo verso di Te
  • a farci partecipi del rispettivo sguardo rivolto verso di Te


                                                                                           Michele Bortignon

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