“Ma io vi dico di non opporvi al malvagio” (Mt 5, 39). Gesù ci sta dicendo di provare un altro atteggiamento con chi ci sta facendo del male. Più spesso, però, questo” malvagio” non è una persona, ma una situazione: una malattia invalidante, un genitore anziano di cui prendersi cura, un figlio che procede per strade sbagliate, la morte che si avvicina… La vita come l’avevamo programmata incontra un divieto di accesso e il prosieguo è ignoto e tutto da inventare. C’è un’alternativa? Sì, potremmo scappare in ciò che ci evita di pensare al problema, potremmo girare altrove lo sguardo e far finta che non esista, potremmo delegare qualcun altro ad occuparsene… tutti modi per opporsi a ciò che ci sta succedendo.
Ma Gesù ci dice di non opporci al destino. D’accordo: dobbiamo allora rassegnarci e portare pazienza? Dobbiamo accettare e piegare la testa sotto il giogo dell’inevitabilità? Ma come può concordare allora questa prospettiva con il fine che Egli dà alla propria azione -“io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza” (Gv 10, 10)-? L’accettazione del proprio destino porta alla vita in abbondanza? Dipende come! E il come possiamo capirlo proprio se al nostro orizzonte non vediamo la tragedia, il tracollo, la disfatta, il disastro, ma, nella speranza che alla fine tutto sarà bene se lo viviamo nello Spirito del Cristo, prendiamo quel che ci succede come opportunità di avvicinarci a Lui, di vivere in maniera divina la nostra umanità.
In fondo, non è proprio questa la risurrezione? A chi si lascia portare dal fiume della vita nel suo mistero, guardandosi attorno, cercando di capire, provando modi alternativi, questa schiude inattesi orizzonti di novità. Da questa morte in cui mi aggiro, posso uscire e trovare una Vita inaspettata se decido di vivere questa situazione come un’avventura, come l’esperimento che può rivoluzionare il mio modo di vedere, di pensare, di giudicare. Nei miei programmi di prima cercavo la Vita; ora decido di cercarla qui, fidandomi di Chi questa strada l’ha già percorsa per mostrarmela possibile e sicura nel suo esito.
Certo, fare questa scelta non è frutto di ragionamento: ti viene quando sei già in Cristo e la senti come naturale per continuare a essere in Lui. Puoi anche sentirla ragionevole, ma te ne separa la paura di come potranno andare le cose. Un passo alla volta, allora: prega per averne il desiderio. La prospettiva irrealizzabile comincerà ad assumere uno spessore di realtà.
Questo significa che non provo sofferenza, che non provo paura? No, anzi: come Gesù al Getzemani la provo e posso esprimerla, ma decido che sono io decidere e non la mia paura per me. Le mie decisioni mi sollevano al di sopra del mio io spaventato. Con esse posso dominare la violenza del destino: “IO SONO” e non “io mi lascio essere”. Scelgo ciò che voglio essere e lo costruisco con le mie scelte. Voglio essere io a scrivere la mia storia, come io decido. Cominciano allora a prendere senso quelle parole di Gesù che seguono a quelle già citate -“ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l'altra; e a chi ti vuol chiamare in giudizio per toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà a fare un miglio, tu fanne con lui due” (Mt 5, 39-41)-: è l’orgoglio di non essere succube, di sentire che posso dominare la situazione; è Gesù nella passione del vangelo di Giovanni, Signore di ciò che gli sta succedendo. Un orgoglio, questo, che si chiama libertà, che si chiama possibilità e volontà di essere come il mio sogno, che ho visto incarnato in Cristo, mi attira ad essere.
Ed essere con Lui è la mia consolazione.
Michele Bortignon
