Era stato difficile, per don Manuel, recuperare la tranquillità. Aveva passato una notte agitata da incubi, in cui il sogno della donna conosciuta il giorno prima era diventato suo: quella scala che finiva nel vuoto, il fuoco che bruciava sotto, l’impossibilità di rimanere e l’incapacità di buttarsi…
Ma la luce del giorno l’aveva aiutato a rimettere le cose al loro posto: «I fantasmi del passato restano nel passato e si va avanti!», si era imposto di pensare.
Occorreva adesso cercare di capire il metodo seguito da Iñigo nell’accompagnare, studiando l’esempio che Canyelles gli aveva fornito con la propria esperienza.
Scoprendo Dio presente nella propria storia attraverso le persone e gli avvenimenti di cui questa era costellata, la donna aveva raggiunto quella serenità interiore che nasce dal sentirsi amati. I suoi problemi non si erano risolti… si erano dissolti!
«E’ proprio vero» si disse don Manuel: «Per l'uomo, sofferenze devastanti e gioie profonde, problemi che si trascinano dal passato nell'oggi e realizzazioni che durano nel tempo trovano tutte origine nella sua esperienza di essere o non essere amato e nella sua capacità o incapacità di amare»
Al centro, Iñigo aveva messo Dio: l’Amore che ci dà la possibilità di essere amati e la capacità di amare. E, nel suo percorso di Esercizi, incontrare questo Amore in Gesù Cristo e vivere nel suo Spirito era via a una vita vissuta nella gioia, nella pace, nella libertà interiore.
Ma erano le parole che Canyelles gli aveva detto all’inizio, nell’assentire a comunicargli la propria esperienza, quelle che più continuavano a ronzargli per la testa: «Vivere in Cristo la mia situazione di vita e con Lui trasformarla in esperienza di vita per gli altri…; con la mia storia farmi compagna di strada di chi sta cercando la salvezza che Cristo può portargli, quella salvezza che io per prima ho trovato nella relazione con Lui…».
Non era rischioso? «Uno sperimenta che vivendo il proprio problema con Cristo, nel suo Spirito, la propria morte si apre a una risurrezione; e sente che questa è una ricchezza, una lezione di vita a disposizione di quelli che ora stanno vivendo il suo stesso problema. Ma questa è un’abilitazione a parlare delle cose di Dio data dall’autorevolezza di un’esperienza e non dall’autorità concessa dalla Chiesa! E’ un aiutare a vivere nell’Amore partendo dalla propria esperienza di vita nell’Amore, sì..., ma che fine fanno allora tutte le leggi e le regole elaborate in secoli di riflessione dalla Chiesa?».
«Devo capirne di più» si disse. «Soprattutto devo verificare cosa comporta questa nuova consapevolezza per la vita delle persone, come si concretizza a livello di vita di Chiesa e con quali conseguenze».
Alcune donne che avevano fatto gli Esercizi con Iñigo - glielo aveva detto Jeronima! - avevano la consuetudine di incontrarsi periodicamente a condividere problemi e frutti del proprio cammino spirituale. E sapeva che proprio quel giorno cadeva l’appuntamento.
Quando arrivò, Canyelles era con loro, per cui fu subito presentato e accolto con calore. Le altre, - Brianda de Paguera, Eufrosina Roviralta, Agnes Claver, Agnes Vinyes, Jeronima Sala, Joana Dalmau e Agnes Roca, erano altrettante storie di fatiche, sofferenze e ferite risorte nell’incontro con il Signore, messe in comune per un aiuto reciproco e di altre persone in difficoltà.
La presenza dell’ospite portò il centro dell’attenzione sul problema che questi aveva sollevato: qual era l’eredità che Iñigo aveva lasciato loro per continuare ad aiutare gli altri come lui aveva fatto?
Canyelles ruppe il ghiaccio: «Innanzitutto ci ha fatto capire chi veramente è il povero. Non tanto o non soltanto chi manca di mezzi di sussistenza o chi è reso inabile dalla malattia: questi, con un aiuto, può risollevarsi; e il servizio reso dall’ospedale e dall’ospizio già impegna persone generose in questo tipo di aiuto.
Povero davvero - diceva - è chi ha una vita spesa a caso, senza un progetto, senza un desiderio che lo guida con passione a costruire il bene per sé e per gli altri. Povero è chi non ha dato senso alla propria vita oppure l’ha riempita di vanità senza costrutto, che non danno nulla né a sé né agli altri.
Anche Iñigo si era sentito povero; l’incontro con Cristo gli aveva però aperto una prospettiva nuova, in cui aveva cominciato a incamminarsi. E’ così che nascono i suoi “Esercizi”: come condivisione con questi poveri, privi di alcun aiuto, del cammino che Dio faceva fare a lui per primo».
«E’ vero!» aggiunse Agnes, la sorella di Jeronima: «Un giorno, al termine di un colloquio, chiesi a Iñigo di dirmi come erano nati gli Esercizi. Mi rispose che li aveva scritti annotando quello che imparava dal vivere con Dio le situazioni che gli capitavano e che sentiva potevano essere d’aiuto anche ad altri1. Per poter aiutare gli altri nei loro problemi occorre dunque un bagaglio, continuamente rinnovato, di esperienze vissute con Dio, perché accompagnare è lasciare che lo Spirito parli alla persona che abbiamo davanti anche e soprattutto a partire da ciò che abbiamo vissuto con Lui».
«Ma in che modo riuscite a far diventare le vostre esperienze un aiuto per gli altri?» chiese don Manuel.
«Iñigo ci ha detto come faceva lui» intervenne Joana: «Vivere, pregare, capire, scrivere; e, a distanza di tempo, ritornare sul proprio vissuto per comprenderlo più a fondo con una visione che nel frattempo si è fatta più distaccata e quindi più oggettiva. L’esperienza diventa così un contenuto, uno strumento del nostro aiuto spirituale. Sentiamo che accompagnare significa accostare un’esperienza che vive con Dio a un’altra che lo sta cercando. E in questa relazione Dio si fa presente prendendo dall’una per donare all’altra».
«Ma non sentite il bisogno di un metodo, di uno schema a cui attenervi… anche per essere sicure di quello che fate, per evitare di commettere degli errori?!».
«Certo», rispose Brianda: «il percorso da seguire è scolpito dentro di noi attraverso l’esperienza di accompagnamento che noi per prime abbiamo fatto, negli Esercizi che abbiamo ricevuto. Ma quel che vogliamo sottolineare è che al di là della competenza nel metodo, comunque necessaria, ognuna di noi è in grado di accompagnare altri all’incontro con Cristo in proporzione alla profondità della propria vita spirituale.
E’ la consapevolezza e la profondità della nostra vita spirituale a dare la garanzia che il nostro accompagnamento sarà improntato dallo stesso Spirito che stiamo vivendo. Se lo Spirito di Cristo è presente nella nostra vita, certamente si esprimerà anche nel nostro accompagnare».
«Una nota particolare dell’aiuto che offriamo» volle specificare Eufrosina, «deriva dal nostro essere laiche, dalla nostra conoscenza dei problemi della vita concreta, per dire che è possibile e bello vivere con Dio le nostre esperienze in famiglia, nel lavoro, nella società. Vivendo la stessa situazione delle persone che aiutiamo, abbiamo la possibilità di dire a chi ha bisogno d’aiuto: "Ti capisco, so cosa vivi perché ci sono passata anche io". In questo modo siamo credibili».
«Ma voi vi sentite sufficientemente a posto, sentite di aver superato i vostri problemi in misura tale da poter accompagnare altre persone?».
Tutte guardarono Agnes Vinyes: sapevano che era stata la più ferita dalla vita. Toccava a lei parlare: «Proprio perché nasce dall’esperienza della vita, per me aiutare è mostrarmi spoglia, vestita solo delle mie ferite, più o meno rimarginate, da lasciar toccare a chi sento ha bisogno d’aiuto, perché ne tiri fuori ciò che gli serve. Quando mi presento così, mi accorgo con stupore e tremore che quella mia ferita diventa balsamo per l’altro. Alla fine, al limite dell’assurdo, del mio problema e del mio male mi ritrovo a ringraziare Dio perché esso è stato bagaglio e strumento per aiutare altri. Ho imparato allora che ogni situazione è luogo in cui incontrare il mio Signore, che mi aiuta a viverla nel suo Spirito: nella fede, nella speranza, nell’amore. E trasformarla così in storia di salvezza, da condividere con chi Dio accosta al mio cammino».
«E che senso date al vostro essere assieme?».
«Vedi» disse Jeronima Sala, «noi ci sentiamo semplicemente un gruppo di amiche che hanno sentito nel cuore la chiamata a condividere con altri la serena bellezza di camminare con Dio nella vita di ogni giorno.
La nostra strada non è diversa da quella su cui cammina ogni altro cristiano… semplicemente vogliamo percorrerla con gli occhi aperti a ciò che ci sta succedendo, discernendolo assieme a Cristo, vivendolo nel suo Spirito, in modo da scoprire percorsi su cui anche altri possano incamminarsi; e far ritornare l’evangelizzazione a essere una condivisione di storie: storie di salvezza, perché vissute con Dio nello Spirito del Cristo, accanto a storie che questa salvezza stanno attendendo».
Agnes Roca, l’intellettuale del gruppo, concluse il giro di esperienze: «La Bibbia non è forse una serie di storie di persone che si sono incontrate o scontrate con Dio? Perché non pensare che Dio voglia continuare a scrivere la sua Bibbia con le nostre storie? Storie di vita comune per la gente comune, storie di oggi per la gente di oggi.
Non le vite dei santi di un tempo, che con la loro eccezionalità non riescono a toccare il quotidiano della gente, ma storie che parlano di problemi, di difficoltà, di sofferenze, di fatiche che, vissute con un po’ di fede, di speranza, di amore, si sono trasformate in esperienze importanti per una vita significativa».
«E ora, se vuoi» disse Canyelles rivolgendosi a don Manuel, «unisciti a noi nella preghiera con cui siamo solite concludere i nostri incontri:
Signore, hai aperto per noi
una strada su cui camminare
dopo averci trasformato la vita
con un’esperienza profonda del tuo amore,
che ora sentiamo traboccare da dentro di noi.
Assieme, desideriamo fare esperienza di Te
nel sentirti vivo
nella vita delle nostre compagne di strada.
Assieme, desideriamo fare esperienza di Te
nel tuo agire per gli altri attraverso di noi.
Tu vuoi che il nostro vivere in te
sia strettamente unito all’azione,
al vivere con Te:
per noi, vivere è aiutare a Vivere.
1 S. Ignazio di Loyola, Autobiografia, n.99
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