4/21/2019

Uno sguardo oltre le apparenze


“Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!” (Gv 20,2)


Quante volte guardiamo alla vita con gli occhi dell’abitudine, quante volte guardiamo e non vediamo, oppure vediamo solo la realtà del momento senza quello sguardo d’insieme che ci permette di capire. È stato così anche per Maria di Magdala, Pietro e l’altro discepolo: il loro era uno sguardo fermo all'apparenza, erano incapaci di vedere dentro alla realtà ciò che Gesù aveva loro detto più volte: che doveva morire e che sarebbe risorto il terzo giorno.
Partendo da questo versetto di Giovanni, ci siamo chiesti: quando nella nostra vita siamo riusciti a guardare una situazione di morte vedendoci dentro già una rinascita? Quando cioè l’esperienza di risurrezione di Gesù, o di persone che conosciamo o una "risurrezione" che abbiamo già sperimentato sulla nostra pelle, ci ha permesso di guardare oltre le apparenze con uno sguardo di speranza e aprire la via a una nuova risurrezione vedendola già in quella situazione di mancanza o di morte che stavamo vivendo. Nell'ultima situazione di morte che ho vissuto dove ho trovato Gesù che mi dava la mano per risorgere con me?

L’ultima volta che ho visto tutto nero e tutto sembrava scivolare nel disastro e nell'irrimediabile, mi è bastato alzare lo sguardo, lasciarmi abbracciare dal sole e lasciarmi dire dalla natura: “Alla bellezza non ci sarà mai fine perché io, la natura, mi rialzo e rifiorisco sempre”. Maria Rosa

Hanno portato via il Signore dal mio cuore e non so più dove cercarlo. È quando mi sento di avere una pietra al posto del cuore perché penso di non amare i miei figli come quando erano piccoli, perché la presenza di mio marito non mi emoziona come quando eravamo fidanzati. È quando attorno a me vedo tanta sofferenza. E mi chiedo cosa vale la pena nella vita. Ma un “angelo” mi ricorda: "Vale nella tua vita solo ciò che fai con Amore". Elisabetta

Quando il dolore batte duro facendomi sentire vecchio anzitempo, ascolto la Voce che mi dice «Guardati attorno: c’è tanto che dà bellezza alla vita. Vale la pena di cercarlo e lasciare da parte il tuo male». E mi accorgo che ho ancora tanto da dare e da ricevere. Michele

Basta poco! Un groviglio d’incomprensioni, aspettative, fatiche, silenzi, bisogni e ferite possono diventare muro alto e spesso e buio. Poi succede che un “angelo” mi si fa accanto e con me guarda dentro al sepolcro degli eventi e mi chiede cosa cerco, quali sono i  bisogni. E basta questo per far sgretolare una pietra pesante di separazione che allontana nelle relazioni personali. Sentirsi amati rende tutto possibile, anche risorgere. Tutto il resto a poco a poco si fa. Claudia

Ho trovato Gesù sotto il peso della croce metafora della sofferenza che stavo vivendo in questo periodo di vita, mi ha preso per mano sorridendomi, accompagnandomi lontano dai percorsi bui e tetri verso sentieri di luce divina ...Maurizio

In questa Pasqua del Signore l’augurio che vi facciamo è di uno sguardo che sa scorgere un germoglio di rinascita anche nei terreni e nelle situazioni più aride della vostra vita. Buona Pasqua!
                                                                                                           Maria Rosa Brian
                                                                                                                                     

4/01/2019

Anche a me serve un deserto?


Il deserto: per Israele, quarant’anni di cammino prima di entrare nella terra promessa con qualche speranza di vincere i popoli che vi erano insediati.
Una storia di guerriglie tra beduini vecchia di migliaia di anni, che, pure, continuiamo a leggere, scrutandone il significato.
Perché?
Perché anche la nostra vita è continuamente in cammino tra una situazione che non sopportiamo più (l’Egitto) e una che sogniamo (la terra promessa).
Ma quando questa terra promessa cerchiamo di costruirla a nostra misura, ci scontriamo con la “misura” degli altri e scoppiano guerre senza esclusione di colpi.

L’aggirarsi per il deserto per quarant’anni diventa allora metafora di un tempo intermedio, necessario per un cambiamento intelligente.
Innanzitutto, cos’è questa “terra deserta, arida, senz’acqua”?
E’ la disponibilità a mettere in discussione le mie soluzioni, quelle prospettive così “giuste” che -guarda caso!- per gli altri tali non sono.
Dura, ma necessaria, decisione quella di accantonare quel che mi disseta per cercare qualcosa che non so.
Il deserto diventa, così, tempo in cui far sbollire la rabbia, calmarsi e mettersi in ascolto, attendendo una Parola al di là delle piccole guerriglie che intraprendiamo per soddisfare i nostri piccoli interessi.
Una Parola che ci mette tempo ad emergere, ma, quando lo fa, si riconosce dalla pace che l’accompagna e che ti avvolge.

Il deserto è necessario per allontanarmi da ciò che preme su di me emotivamente, per riacquistare lucidità, freddezza di pensiero, oggettività. Nel combattere con l’altro sono le mie paure a guidarmi; con Dio, che mi porta a rifondarmi su ciò che è essenziale, posso guardare alla situazione con una prospettiva “dall’alto”, considerando non solo la delusione del presente, ma da quale storia assieme io e l’altro veniamo e verso dove vogliamo andare.

Con Dio riconosco i “demonietti” che gettano benzina nel fuoco del litigio: modi inadeguati di gestire la situazione rinfacciandosi vecchie colpe, ferendo l’altro nei suoi punti di fragilità, agendo una violenza fisica, verbale, psicologica.
Nel deserto si tace per pensare e si pensa… a volte per tacere.

Mi ritiro nel deserto per pensare un diverso modo di essere.
Ci vado con il mio Signore, per caricarmi di un diverso modo di essere.
Rientro poi nella vita, per sperimentare un diverso modo di essere.
Senza i due precedenti, quest’ultimo passaggio è azzardato e velleitario.
E che cosa sono i primi due se non la preghiera?

E dalla preghiera, che è questa comunione con Dio, che cosa esce?
Non una soluzione (era una soluzione al problema quella che cercavo!).
No: dalla preghiera esce una riconciliazione, perché la relazione viene prima di qualsiasi soluzione. Quando ci si mette in comunione con Dio, questa comunione diventa comunione con l’altro. Comunione, non sottomissione, non sopraffazione. Né vincitore né vinto.
Prima sì, prima volevo vedere vincere le mie ragioni, anche schiacciando l’altro; e l’altro faceva altrettanto con me.
Non voglio più giocare questo gioco.
Si può andare avanti mediando in modo intelligente.

A volte, però, c’è un muro.
Qui, a volte, Dio può aprirmi gli occhi su una prospettiva spiazzante: usare questa situazione per crescere umanamente.
E allora abbasso le armi e lascio che l’altro spelli vivo il Nemico che vive in me. E’ il mio battesimo: accetto che venga ucciso il mio uomo vecchio perché ne nasca l’uomo nuovo.
L’uomo vecchio che deve vincere per sentirsi qualcuno. Prigioniero del proprio io.

Chissà… un giorno riuscirò a liberarmi del mio io prima che lo faccia la morte?

Michele Bortignon