8/31/2019

Alpinismo e spiritualità


Durante le mie ultime vacanze ho passato qualche giorno in Val di Funes. Nel centro visite del parco Odle Puez una delle installazioni mostrava un’intervista a Reinhold Messner, nativo di quella valle, in cui questi parlava, tra le altre cose, di filosofia dell’alpinismo.
La cosa ha subito attirato la mia attenzione: l’alpinista che sono stato si è messo in dialogo con l’accompagnatore spirituale che sono ora, trovando nessi e parallelismi tra alpinismo e spiritualità.
Uno pensa che arrampicare sia semplicemente salire una parete; o che avere una vita spirituale sia semplicemente avere una relazione con Dio. Ma perché, e, conseguentemente, come lo si fa?
Iniziamo dall’alpinismo.
Nel secolo scorso si susseguirono, e parzialmente si sovrapposero, due forme di alpinismo: l’alpinismo eroico e l’alpinismo sportivo.
Per l’alpinismo eroico l’obiettivo era la conquista della cima, anche a costo della vita. In quest’ottica, la montagna era solo un supporto della cima e dell’affermazione di chi la saliva.
Per l’alpinismo sportivo (penso soprattutto al suo rappresentante più puro che fu Paul Preuss) arrampicare non è una “lotta con l’alpe”, ma una danza sulla roccia, in cui voglio riempire di bellezza ogni mio gesto all’interno della bellezza che mi circonda. Per questo, rischiare fino alla morte non ha senso, ma si cerca la sicurezza (Preuss diceva che si può salire solo dove si è poi in grado di scendere). La montagna è una controparte non da vincere, ma da rispettare, per cui passo unicamente dove mi lascia passare, senza forzarla con mezzi artificiali. L’obiettivo non è più la conquista della cima ma la bellezza dell’esperienza che vivo in montagna.

La modalità “eroica” di vivere l’alpinismo mi richiama tanto la spiritualità in cui tutti siamo stati educati nel secolo scorso, dove modelli erano santi dagli inarrivabili esempi, martiri, asceti o comunque estremisti dello Spirito. E, più laicamente, gli eroi che si sacrificarono per la patria (ho ancora in mente le storie di Muzio Scevola, Orazio Coclite e Pietro Micca).
Il sacrificio era via alla perfezione, gratificato dall’approvazione sociale e religiosa.
Oggi la situazione è completamente diversa: chi si lascerebbe entusiasmare da una buona novella annunciata al modo eroico? E come si può presentare questo stesso messaggio a una coscienza frantumata dal relativismo, inconsciamente schiava della mentalità veicolata dai media, incapace di instaurare relazioni che non siano virtuali, che cerca il proprio piacere nell’attimo fuggente senza minimamente preoccuparsi del futuro, nemmeno del proprio?
Sarò cinico, ma bisogna saper aspettare che la vita dimostri l’inconsistenza delle sicurezze a cui questa persona si era appoggiata, avviando, nel conseguente disorientamento, una ricerca. In quel momento è importante che essa incontri un orizzonte di senso alternativo, ma che lo incontri vissuto, non solo proclamato. E vissuto come risposta a questi tempi, inculturato nel qui e oggi della storia.
In che modo? Qui forse ci viene in aiuto il parallelo con l’alpinismo sportivo.
L’uomo d’oggi non è più interessato a conquistare il futuro, ma a vivere il presente. In questo presente ha confuso piacere e bellezza e si è trovato deluso, confuso e scoraggiato.
Vogliamo provare a fargli riscoprire e gustare la bellezza? …cosicché cominci a sentire il desiderio di viverla nei suoi gesti, di raggiungerla e realizzarla con le sue scelte?
La Bellezza può essere un altro modo per cominciare a parlare di Dio a una persona che, nella sua diffidenza verso tutto ciò che sa di istituzionale, si metterebbe sulle difensive. Con la chiave della bellezza si può scandagliare nella vita ciò che è vero e vale la pena di essere vissuto.
Alla bellezza si arriva attraverso l’armonia e l’equilibrio, ma non senza una passione che chiama a mettere in gioco tutte le energie: non è più eroismo, ma uso sapiente delle proprie risorse in vista di una Vita di livello superiore.

Michele Bortignon

8/01/2019

Che cos’è il battesimo

Che cos’è il battesimo? Me lo sono tornato a chiedere in occasione del sacramento impartito alla mia nipotina Rebecca. Ma andiamo per ordine e prima proviamo a dire cos’è un sacramento.
Quando, in un momento particolarmente forte della vita, sentiamo il bisogno che Dio ci sia accanto per affrontarlo e, di lì in poi, per vivere ciò che ad esso consegue, la Chiesa ci si fa accanto per renderci presente Gesù con i gesti e le parole che Lui stesso farebbe e ci direbbe in quell’occasione. Uno di questi momenti forti è la nascita di una persona. Ad accoglierla non ci sono solo i genitori, ma tutta una comunità, che, nel sacramento, vuol renderla partecipe di ciò in cui essa crede perché l’ha sperimentato fonte di vita.
Sono i genitori, che di questa comunità fanno parte, a scegliere ciò che sentono bene per lei. Può darsi sia anche un adulto a chiedere di ricevere il sacramento. In entrambi i casi si tratta di una scelta, di una scelta di campo che inserisce in una ben precisa prospettiva, quella di Gesù. Una scelta che è alla base di tutte le altre, è il discrimine di validità di tutte le altre. Importante, dunque, chiarire qual è questa scelta.

Noi, in genere, cerchiamo di orientarci nella vita scegliendo ciò che ci sembra bene sulla base di quel che ci hanno insegnato e ci consigliano, dell’accettazione sociale di quel che facciamo, del piacere che ci procura, del soddisfacimento di bisogni che sentiamo impellenti. Non conseguire quel che desideriamo lo sentiamo come una  morte del nostro io.
Ebbene, Gesù, con la sua vicenda umana, più ancora che con le sue parole, proprio questo è venuto a dirci: se per affermare il tuo diritto a esistere devi far fuori un altro, non sei sulla strada della Vita. La Vita solleva sulle sue ali chi si fa uno con l’altro. Non solo per la bellezza di sentire che attraverso di te passa la vita, che diventa vita nell’altro, ma soprattutto perché la morte -scelta!- di quelle tue strutture esistenziali (la paura, l’egoismo, l’aggressività…) che ti arroccano a difesa di quel che tu pensi per te sia tutto, ti apre a un mondo nuovo, fatto di prospettive impensate perché mai finora percorse. E’ questa la risurrezione? Non una soluzione del problema, non ricevere una compensazione alla tua rinuncia, ma un affacciarsi improvvisamente su un panorama che ti toglie il respiro e ti riempie i polmoni di aria fresca. E tutto quel che prima ti occupava e ti preoccupava non ha più peso. Sì, c’è ancora, ma si affronterà, si risolverà… intanto immergiti in questa freschezza d’alta quota, nel calore di un abbraccio che ti contiene –vedi tu come vuoi esprimere questa novità che ha il peso e lo spessore della vita autentica, di fronte alla quale quel che cercavi, ossessionato e arrabbiato, si dissolve come bruma al mattino.
Respira. Gusta. Ringrazia. Sei risorto.
Hai scelto di morire sulla fiducia di Uno che ti ha dato fiducia.
Sei risorto perché la sua storia diventa storia di chiunque sceglie di vivere con Lui la propria storia.
Questo vuol dire San Paolo quando, parlando del battesimo, afferma: “Se siamo stati completamente uniti a Cristo con una morte simile alla sua, lo saremo anche con la sua risurrezione” (Rm 6, 5). “Se dunque siamo morti con Cristo, crediamo che anche vivremo con Lui” (Rm 6, 8).
Un significato, questo, in cui il rito del battesimo ti inserisce attraverso elementi simbolici:
L’unzione con l’olio crismale dice che, prima di scegliere Cristo, sei tu a essere stato scelto da Lui come luogo in cui Egli vuol far vivere il suo Spirito.
L’acqua, nella sua duplice valenza di portatrice di morte e di vita, rimanda al passaggio che attraverso entrambe sei chiamato a compiere.
La veste bianca è il simbolo della vita nuova di cui sei chiamato a rivestirti.
Ora hai tutta una vita davanti per avventurarti a vivere quel che hai scelto, passando per grandi cadute, piccole conquiste, deserti di scoraggiamento e oasi di fiducia.
Non importa dove sarai in grado di arrivare (fuggi il desiderio di perfezione: Dio ti vuole con Lui, non come Lui!): Dio ti ha scelto, tu hai scelto Lui. Siete Uno: è questa l’unica cosa che conta.
                                                                                         Michele Bortignon