3/01/2020
La grazia di cadere
Lo so, la grazia di cadere sembra un
ossimoro. Come posso considerare dono una caduta? Non vorremmo mai cadere e
sbagliare, eppure, a volte, e più spesso di quel che pensiamo, s’impara di più
a stare in strada sbandando in una curva che dopo chilometri di strada dritta
con il guardrail.
Che cosa imparo dalle mie cadute? È ciò che
mi sono chiesta dopo l’ennesimo errore.
- Prima
di tutto se sbaglio senza imparare nulla ho sbagliato invano: questa
considerazione iniziale è ciò che mi permette e mi consente di trarre una
lezione dai miei sbagli.
- Imparo
l’umiltà: non sono perfetta e infallibile.
- Dall’umiltà
imparo il non giudizio: come sbaglio io così possono sbagliare anche gli altri.
- Apprendo
la compassione verso chi sbaglia, cioè a “patire-con” l’altro perché so cosa
prova per esperienza personale.
- Capendo
l’altro lo posso aiutare proprio perché so cosa prova.
- Faccio
esperienza di misericordia. Prima di tutto quella di Dio verso di me. Dalla Sua
misericordia posso imparare a provare a esserlo verso gli altri.
- Imparo
il perdono. Se Dio mi dice: «Dai rialzati, io non ti condanno» perché io non
dovrei perdonare?
- Imparo
a decentrarmi da me stessa: non sono perfetta, non lo sono, non lo devo essere,
non lo posso essere; capirlo è molto rilassante e liberante.
- Da
sola posso combinare dei casini: imparo a gustare la presenza di Dio nella mia
vita e a restarne ancorata.
E se cadere è una grazia allora Dio permette
e forse facilita le cadute? No: penso che nel cadere a causa della mia
fragilità incontro la misericordia e il perdono di Dio. A essere grazia è
questo incontro. Posso affermare che l’errore, la caduta, il disagio diventano
luoghi di grazia se s’incontrano con la misericordia, il perdono e l’amore di
Dio. In una parola, se, incontrandomi con Lui, li rendo occasione di diventare
un po’ più Lui.
Maria
Rosa Brian
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