Lo so, la grazia di cadere sembra un
ossimoro. Come posso considerare dono una caduta? Non vorremmo mai cadere e
sbagliare, eppure, a volte, e più spesso di quel che pensiamo, s’impara di più
a stare in strada sbandando in una curva che dopo chilometri di strada dritta
con il guardrail.
Che cosa imparo dalle mie cadute? È ciò che
mi sono chiesta dopo l’ennesimo errore.
- Prima
di tutto se sbaglio senza imparare nulla ho sbagliato invano: questa
considerazione iniziale è ciò che mi permette e mi consente di trarre una
lezione dai miei sbagli.
- Imparo
l’umiltà: non sono perfetta e infallibile.
- Dall’umiltà
imparo il non giudizio: come sbaglio io così possono sbagliare anche gli altri.
- Apprendo
la compassione verso chi sbaglia, cioè a “patire-con” l’altro perché so cosa
prova per esperienza personale.
- Capendo
l’altro lo posso aiutare proprio perché so cosa prova.
- Faccio
esperienza di misericordia. Prima di tutto quella di Dio verso di me. Dalla Sua
misericordia posso imparare a provare a esserlo verso gli altri.
- Imparo
il perdono. Se Dio mi dice: «Dai rialzati, io non ti condanno» perché io non
dovrei perdonare?
- Imparo
a decentrarmi da me stessa: non sono perfetta, non lo sono, non lo devo essere,
non lo posso essere; capirlo è molto rilassante e liberante.
- Da
sola posso combinare dei casini: imparo a gustare la presenza di Dio nella mia
vita e a restarne ancorata.
E se cadere è una grazia allora Dio permette
e forse facilita le cadute? No: penso che nel cadere a causa della mia
fragilità incontro la misericordia e il perdono di Dio. A essere grazia è
questo incontro. Posso affermare che l’errore, la caduta, il disagio diventano
luoghi di grazia se s’incontrano con la misericordia, il perdono e l’amore di
Dio. In una parola, se, incontrandomi con Lui, li rendo occasione di diventare
un po’ più Lui.
Maria
Rosa Brian
Esprimo il mio pensiero.
RispondiEliminaE se fossi perfetta? Non avrei bisogno di Dio. Cosa dovrebbe insegnarmi? Proprio perché sono imperfetta Dio mi insegna non a diventarlo ma a migliorarmi.
Cosa ce ne facciamo della perfezione?