9/15/2024

L’orma del pellegrino: introduzione

Inizia oggi, accanto al post di spiritualità che viene pubblicato ogni primo giorno del mese, una nuova rubrica, anch’essa mensile: a metà di ogni mese pubblicheremo, a puntate, un romanzo sulla vita di un grande autore spirituale. Iniziamo, naturalmente, con sant’Ignazio di Loyola: “L’ORMA DEL PELLEGRINO - con Ignazio di Loyola alle fonti degli Esercizi Spirituali” è il titolo, un giallo psicologico che ci introdurrà piacevolmente a scoprire come sono nati gli Esercizi spirituali.

Di seguito l’introduzione del romanzo:

Gli Esercizi... non sono stati la risposta a tanti miei interrogativi e nemmeno la cura alle mie ansie e alle mie preoccupazioni... Nella mia vita, le difficoltà ci sono: nuove o risolte, quotidiane e costanti. Ma ora mi sento accompagnata: Gesù mi è vicino e non sta più lassù sul crocifisso, benevolo ma lontano. Sento che nella quotidianità non sono sola: la preghiera, la sua vicinanza, il discernimento... nei momenti belli e nei momenti bui. E con lui posso capire qual è il passo successivo da fare sulla mia strada. Finalmente non devo portare tutti i pesi della vita sulle mie spalle ma li posso condividere con lui e, attraverso il discernimento, essere uno strumento del suo amore misericordioso. La mia vita si è così aperta ad altre e nuove prospettive”

Questo, nella testimonianza di un’esercitante, è quello che possono dare a noi, oggi, gli Esercizi Spirituali. Ma dove, e come, sono nati?

“…chiesi al pellegrino1 qualche notizia sugli Esercizi, desiderando conoscere come li aveva composti. Mi rispose che non li aveva scritti tutti di seguito, ma quello che accadeva nell'anima sua e trovava utile, ritenendo che avrebbe potuto giovare anche ad altri, lo annotava” 2.

Gli “Esercizi”, il percorso spirituale che Ignazio propone come via all’incontro con Cristo, nascono dunque dalla sua esperienza messa a tema, esperienza che egli descrive poi narrativamente nell’ “Autobiografia”. Scritta ormai al termine della sua vicenda terrena, quest’ultima è il testamento di Ignazio ai suoi Compagni, per mostrare loro l’itinerario di un’anima in Dio. Un atto di umiltà e di coraggio di un padre che ha voluto mettersi a nudo davanti ai propri figli per insegnare loro cos’è la vita spirituale attraverso gli errori, le scoperte, le ingenuità, i desideri, le illusioni e le decisioni succedutesi nella propria esperienza.

Solo i padri del deserto e Sant’Agostino nelle “Confessioni”, prima di lui, avevano evitato gli scogli del genere letterario agiografico o dell’asettico trattato teologico per raccontarsi com’erano, confidando che l’esperienza concreta avrebbe insegnato più e meglio delle teorie e dei concetti.

Questo libro nasce allora dal desiderio di compiere, con il lettore, un viaggio in quell’esperienza di vita i cui passi e le cui acquisizioni Ignazio ha considerato così significativi, importanti e, in un certo qual modo, “universali” da porli come tappe di quel percorso che andrà riproponendo ad altri sotto il nome di “Esercizi Spirituali”.

Ho cercato di scavare a fondo nel mondo di Ignazio, sia a livello storico, ricreando la necessaria ambientazione, sia a livello psicologico, ma, in quest’ultimo caso, con un taglio che considero, per dirla in termini ignaziani, il “magis” di questo libro: il tentativo di far esprimere Ignazio col linguaggio di oggi, con i pensieri che avrebbe se fosse figlio della nostra epoca. E questo per renderlo, senza tradirne lo spirito, “accessibile”, comprensibile, “replicabile”: se non lo rimettiamo a camminare sulle nostre strade, rischiamo di non riuscire a incontrarlo!

In questo esperimento, complice la libertà che poteva darmi il genere letterario del romanzo, ho trattato con una certa elasticità i dati dell’ “Autobiografia”: certi spostamenti di luogo e di tempo, certe dilatazioni, tagli e accorpamenti, peraltro marginali e realizzati senza modificare il senso della storia, mi sono stati utili per conferire maggior fluidità e dinamicità alla narrazione, per far emergere e sottolineare certi concetti importanti per noi oggi.

In conclusione, Ignazio, con la propria esperienza, si propone come specchio dell’esperienza del lettore. Se qualche brano di questo libro riuscirà a farti esclamare: «Caspita! Ma qui ci sono anch’io!» e farti intravedere un altro modo per tornare a muoverti verso l’incontro con Cristo, non sarà stato vano ripercorrere con Ignazio la sua storia.

Buon cammino!

Michele

1 Così Ignazio di Loyola definisce se stesso nell’ “Autobiografia” o “Racconto di un pellegrino”.

2 Sant’Ignazio di Loyola, Esercizi Spirituali (nel seguito EE.SS.) n.99. Anche Juan Alfonso de Polanco, nella prefazione alla prima edizione degli Esercizi Spirituali (1548), sottolinea che essi nascono dall’esperienza dell’azione dello Spirito Santo che Ignazio aveva fatto in sé e nelle persone che accompagnava: “Haec documenta ac Spiritualia Exercitia quae non tam a libris quam ab unctione Spiritui Sancti et ab interna experientia et usu tractandorum animorum eductus noster in Cristo pater composuit” (Monumenta Ignatiana, Ex. Spir. I, 79). Ignazio stesso confessa che attraverso l’esperienza era Dio ad educarlo: “In questo periodo Dio si comportava con lui come fa un maestro di scuola con un bambino: gli insegnava. Ciò poteva dipen­dere o dal suo ingegno rozzo e incolto, o dal non avere altri che lo istruis­se, o dal fatto che aveva ricevuto da Dio ferma volontà di servirlo. In ogni caso era per lui evidente, e lo fu poi sempre, che Dio lo trattava in quel modo; anzi crederebbe di offendere sua divina Maestà se ammettesse dubbi a questo proposito” (Autobiografia n.29).

9/01/2024

Cosa significa credere in Dio?

Credere in Dio: che cos’è? Un’opinione sul fatto che Dio esista o meno? Se fosse soltanto così, chi se ne importa? Ognuno si tiene la sua opinione e pace!

Ma… chi è questo Dio?

L’unica cosa sensata che, come cristiani, possiamo dire di Dio è che Lui a noi ci tiene.

Il nostro è un Dio che si fa uomo per mostrarci il modo di essere uomini e si mette a fianco di coloro ai quali l’ingiustizia umana non dà la possibilità di esserlo. Credere in Dio è allora mettersi sulla sua stessa strada, far nostro il suo Spirito e continuare quel che Lui ha cominciato a fare. Se Lui a noi ci tiene, credere in Dio è credere che ognuno di noi è unico e importante, ha una sua dignità che gli dev’essere assicurata e che lui stesso deve conquistarsi.

Nel corso della storia, alcune persone “illuminate” hanno visto con più chiarezza le situazioni in cui la dignità dell’uomo veniva calpestata e questi ridotto a merce da sfruttare da parte di chi deteneva potere e ricchezza. Sulle loro orme, tanti altri si sono dedicati al riscatto dei poveri, all’educazione dei giovani, al prendersi cura degli ammalati e degli anziani, all’accompagnamento spirituale, all’evangelizzazione, ecc. Con la loro azione, essi hanno contribuito al cambiamento della mentalità della società, che ha fatto poi proprie queste attività.

Da notare che il cambiamento è avvenuto sempre quando qualcuno si è messo a fianco di chi voleva aiutare, condividendo le loro condizioni, la loro situazione di vita e mostrando in sé l’alternativa. Solo vivendo “dal di dentro” certe situazioni si può capire come muoversi.

L’ebraismo ha sviluppato due concetti che possono tornarci utili per continuare il nostro ragionamento: il primo è che, dopo la creazione, Dio si è ritirato per lasciare spazio all’uomo; il secondo è che il Messia verrà quando troverà giustizia sulla terra. Collegandoli, se ne può desumere che l’uomo è chiamato a continuare la creazione iniziata da Dio riorganizzandola sulla base della giustizia. E l’unica giustizia giusta è, come abbiamo detto, quella che dà dignità a ogni singolo uomo, assicurandogli la possibilità di diventare pienamente quel che è.

Dove portare questa giustizia? Ogni epoca, ogni luogo ha le sue situazioni da far risorgere; e le capacità e la sensibilità di ciascuno gli dicono su quale di queste impegnarsi. Senza farsene un problema. Ci sarà un momento in cui le sue possibilità verranno interpellate dai bisogni che gli si presentano davanti: sarà quello, e solo quello, il momento di agire.

Ma attenzione: anche l’impegno nel bene potrebbe essere una tentazione: una possibile via di fuga dalla propria realtà deludente per ricevere, aiutando gli altri, una conferma della propria positività e un contraccambio affettivo.

Come si diceva prima, l’aiuto vero lo dà chi vive la stessa situazione mostrando in sé l’alternativa. Se io per primo non ho risolto (o non sto lavorando per risolvere) i miei problemi, che alternativa rappresento? Il mio sarà solo un “fare per”, non un “essere con”, ossia un fare senz’anima, non guidato dallo Spirito, ma dalla ricerca di me stesso.

Certo, anche avere problemi è condividere la situazione degli altri, ma un conto è viverci dentro e affrontarli quotidianamente, un altro girar loro le spalle e impegnarsi altrove per non vederli.

La prima situazione da risanare è dunque la nostra, quella in cui viviamo con le persone con cui siamo in relazione in famiglia, al lavoro, nella comunità. E probabilmente sarà proprio il bene che riusciremo a costruire in questi ambiti a sviluppare in noi quelle capacità e quella sensibilità che avranno in sé la forza e la passione di esportarsi in bene verso gli altri.

Michele Bortignon


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