10/13/2024

L’orma del pellegrino: cap.1 - L’incarico

 

«Thomas Műntzer: lei certamente conosce questo nome...».

«No, eminenza, non ne ho mai sentito parlare».

Il cardinale guardò con manifesta disapprovazione l’esile figura di prete che gli stava dinnanzi, gli occhi bassi, le mani nervosamente aggrappate ai braccioli di uno scanno troppo grande.

Tornò ad arrotolare accuratamente la missiva che lo informava dei recenti disordini scoppiati nelle terre di Germania e si alzò, pensieroso, dirigendosi lentamente verso la vetrata che dava sulla stretta via a cui il palazzo dell’Inquisizione di Toledo si affacciava.

La luce di quel caldo pomeriggio di mezza estate lo avvolse, quasi trasfigurandone l’aspetto e facendone sembrare più imponente la statura.

«L’autorità della Chiesa è in pericolo» disse a voce bassa, quasi parlando tra sé, «e con essa la sua funzione di guidare gli uomini alla salvezza. Questi “illuminati” - e Műntzer ne è l’esponente principale - pretendono di trovare da soli la strada, nell’ascolto dello Spirito che parla alla loro coscienza. Già quel monaco scomunicato, quel Lutero, si è ribellato affermando che solo la Scrittura dev’essere vincolante per il cristiano, ma questa ulteriore deriva eretica rischia di rendere imperante il relativismo, l’arbitrio individuale!

E chi lo tiene più, poi, l’ordine sociale in queste condizioni?!».

Tacque, e lo sguardo sembrò fissarsi in un punto lontano, a presagire con sgomento masnade di contadini in rivolta contro i signori delle loro terre. Gli uni legittimati da un Vangelo autonomamente interpretato a liberarsi dallo sfruttamento e dall’oppressione in nome di una giustizia che diceva gli uomini tutti uguali tra loro; gli altri legittimati da una Chiesa arroccata sulle proprie tradizioni a difendere un ordine costituito che sentivano voluto da Dio. E vide che l’orrore delle reciproche violenze sfociava in una sanguinosa repressione…

Imbarazzato dal prolungato silenzio, don Manuel Miona si schiarì la gola: «Eminenza» disse, «ma io…».

Il cardinale lo interruppe bruscamente: «Lei è persona ossequiente alla Chiesa - mi è stato riferito - e di notevole acume. Sappiamo anche che le sue attuali condizioni economiche non le consentono un tenore di vita adeguato alle sue capacità; capacità che certamente dimostrerà nel portare a termine l’incarico che le sto affidando. Non mi deluda, e vedrò di procurarle una sede con un beneficio onorevole».

Dicendo queste parole, il cardinale era tornato a piazzarsi davanti a lui, e lo stava fissando con uno sguardo che non ammetteva repliche e dal quale don Manuel si sentiva …schiacciato.

Come emergendo da ricordi di un passato ormai sepolto, al volto che lo scrutava si sovrappose quello di suo padre, che, con voce studiatamente controllata, ma vibrante di aggressività, gli diceva: «Non sognarti di contraddirmi. Va’ subito a fare quel che ti ho ordinato. Sai che lo dico per il tuo bene».

«Va bene. Accetto», rispose in fretta, a mezza voce, don Manuel. «Mi dica cosa devo fare».

L’ufficio del “Calificador principal” si trovava al piano terra del palazzo, proprio in quella stanza che era stata la primitiva sede della Santa Inquisizione. A distinguerlo dagli altri era proprio l’emblema assegnatogli al momento della sua istituzione, scolpito sul marmo dell’architrave: una croce con un teschio e due tibie incrociate.

A partire dalla bolla “Inter Sollicitudines” di Leone X°, il compito del Calificador consisteva nella censura preventiva dei libri, la cui stampa doveva essere autorizzata dalla Chiesa.

Gli Editti di Fede, con i quali gli eretici dovevano essere denunciati all'Inquisizione, erano stati estesi ai libri, di modo che i buoni cattolici che avessero letto qualcosa che potesse essere ritenuto eretico dovevano immediatamente denunciarlo. Il libro passava allora ai Calificadores, che, dopo averlo esaminato, dovevano dare il loro responso al Tribunale Supremo, con il giudizio di assoluzione, di espurgazione o di proibizione. In quest’ultimo caso, tutte le copie dovevano essere consegnate all'inquisizione per essere pubblicamente bruciate.

Il Calificador di Toledo, un uomo di mezza età il cui aspetto emaciato testimoniava di una vita esclusivamente immersa tra le carte di cui si circondava, era ben istruito su che cosa, quanto e come doveva informare don Manuel per abilitarlo alla sua missione.

In un grande armadio a più ante che dominava la stanza, alle spalle della sua scrivania, cercò il cassetto in cui aveva riposto la pratica relativa a un caso recentemente emerso in quel di Manresa, un paese non lontano dal monastero di Montserrat, dove moltitudini di devoti si recavano per venerare la Madonna nera.

Un pellegrino in transito per quel luogo, caduto ammalato, aveva trovato ricovero presso l’ospizio locale. Qui aveva conosciuto un tale, dedito all’assistenza degli infermi, che, oltre a prestargli le cure necessarie, si era intrattenuto con lui anche riguardo alla salute dell’anima, insegnandogli a rivolgersi direttamente a Cristo, in un colloquio “da amico ad amico”, per affrontare i problemi che la vita gli poneva. E ciò lo aveva aiutato a mettere ordine nelle proprie faccende, tanto da rinunciare al pellegrinaggio e decidere di tornare a casa nel desiderio di affrontare in modo diverso le relazioni con i suoi e le attività in cui era impegnato.

Dopo la sua guarigione e la conseguente ripartenza, persone a cui si era confidato ne avevano denunciato le idee (per loro, a dir poco, inconsuete) nell’ambito di un “editto di fede”. L’inquisizione, che lo aveva interrogato approfonditamente, non era però riuscita a trovare nulla che potesse essere definito eretico, per cui, alla fine, l’aveva rilasciato; tuttavia era rimasto un sospetto nei confronti della persona che lo aveva guidato a questa rinascita spirituale. Si trattava di un “alumbrado”1?

«Questo è quel che lei dovrà chiarire, don Manuel» gli disse il Calificador, dopo averlo informato sulla questione. «E raccolga prove! L’accusato affermava che chi lo aveva accompagnato in quel percorso spesso consultava un suo manoscritto da cui prendeva ispirazione per proporgli riflessioni e spunti per metterle in pratica. Trovi quel libro. Lo trovi e ce lo porti. Se, come pensiamo, contiene dottrine che spingono le coscienze all’autonomia, al di là del controllo della Chiesa, sarà necessario distruggere questa mala erba prima che dia frutto e il suo seme si diffonda».

Don Manuel aveva ascoltato non senza qualche perplessità: se questa pratica d’aiuto dava frutto, il solo fatto di non essere in sintonia con la normale prassi della Chiesa bastava a condannarla?

Ma il solerte ecclesiastico gli richiese un ultimo scampolo di attenzione per dettagliargli la specificità di questi “illuminati”, da usare come criterio di discernimento nell’esaminare l’agire spirituale della persona sospettata: «Gli Alumbrados si abbandonano a Dio creando in sé un vuoto di pensieri che attende di essere riempito da visioni, rivelazioni personali ed esperienze mistiche come trance, estasi e levitazioni».

«Già… Ho sentito parlare di quella donna di Salamanca - la “Beata de Piedrahita” mi sembra la chiamassero - che affermava di colloquiare direttamente con Dio e la Madonna. E’ stata poi condannata, vero?».

«Si, ma non per il suo modo di rapportarsi con Dio (in fondo queste sono esperienze personali!), quanto per ciò che ne conseguiva a livello di pratica religiosa: dal momento che il loro Bene è contemplare Dio, e la loro salvezza è da lui direttamente donata senza bisogno di mediazioni ecclesiali, gli alumbrados non sentono più necessari la preghiera, i sacramenti, l’impegno personale nel bene. Alcuni arrivano a sentirsi al di sopra di qualsiasi valutazione morale del proprio comportamento, come se per loro non valesse più la necessità di discernere il bene dal male».

«Proprio come i Catari…».

«Si: quando si svaluta il corpo come male2, lo spirito si sente superiore e inattingibile da ciò che il corpo può combinare, come se in ciascuno di noi ci fossero due persone distinte. Un bel modo per sentirsi autorizzati a tutto!».

«Un’ultima raccomandazione…», e qui il tono di voce del funzionario si fece più sommesso e circospetto: «Tenga presente che, seppure sotto un umile travisamento, la persona che cerchiamo è pur sempre un nobiluomo. Per questo non vogliamo usare le consuete procedure inquisitorie. Vada, osservi, si informi e torni a riferire. Vedremo poi noi come muoverci». E, aperto un altro cassetto, ne estrasse una pergamena inserita in un fodero di cuoio. Era la bolla di incarico. La porse a don Manuel: «La legga. Voglio sia ben cosciente di quali sono i termini entro i quali dovrà svolgere il suo compito».

Srotolato il plico, don Manuel diede voce alle parole che definivano la missione affidatagli: «"Noi, Alonso Manrique de Lara, per misericordia divina inquisitore generale, fidando nelle vostre cognizioni e nella vostra retta coscienza, nominiamo, costituiamo, creiamo e deputiamo voi, don Manuel Miona, inquisitore apostolico contro la depravazione eretica e l’apostasia nell’Inquisizione di Manresa e vi diamo potere e facoltà di indagare su ogni persona, uomo o donna, viva o morta, assente o presente, di qualsiasi stato e condizione, che risultasse colpevole, sospetta o accusata del crimine di apostasia e di eresia, e su tutti i fautori, difensori e favoreggiatori della medesima"».

Un’avventura senza ritorno era iniziata per don Manuel. Un’avventura che avrebbe cambiato la sua vita.


1 E’ il termine spagnolo per “illuminato”

2 Purtroppo questa tendenza ha percorso anche il cattolicesimo, raggiungendo il suo apice con Papa Innocenzo III°, che, nel suo “De Contemptu Mundi” (scritto nel 1195), così dà fondamento alla visione negativa del corpo: “Duplice è la colpa che il concepimento comporta, una sta nel seme, l'altra in ciò che da questo seme nasce; la prima viene commessa e la seconda viene contratta. I genitori, infatti, commettono la prima colpa, la prole la seconda. Chi, infatti, non sa che il coito, anche se coniugale, non può mai verificarsi senza il prurito della carne, senza l'ardore della libidine e senza il fetore della lussuria? Per questo i semi concepiti insozzano, si macchiano, si corrompono, onde l'anima in questi infusa, contrae la corruzione del peccato, la macchia delle colpe, la sozzura dell'iniquità. L'uomo, dunque, concepito dal sangue putrefatto per l'ardore della libidine, è putredine e il verme è figlio dell'uomo”.

10/01/2024

Dal padre al Padre

Hai mai pensato perché, quando rivolgiamo una supplica a Dio, ci viene spontaneo guardare in alto e alzare le braccia con i palmi delle mani aperti? Non è lo stesso gesto che, da bambini, rivolgevamo a mamma o a papà, con i lagrimoni agli occhi, perché ci prendessero in braccio e ci consolassero?
Durante un viaggio in Sicilia, davanti ai templi della Magna Grecia mi sono chiesto il perché di tanta imponenza. Perché la casa di Dio dev’essere grande? Perché Dio è grande e forte e dev’esserlo per proteggere noi piccoli e fragili. Siamo noi che abbiamo bisogno di immaginarlo così per trovare in lui un sostituto ai genitori protettori che adesso non possono più essere tali per noi, diventati adulti.
Sono entrato nelle chiese barocche, ridondanti di angeli in volo, che ti suscitano dentro il desiderio di seguirli 
tra le nubi nei cieli, o di santi raffigurati impegnati in aspre ascesi, rapiti misticamente o vittoriosi nei crudeli martirii, che ti strappano un’esclamazione di ammirazione. Tutto punta al coinvolgimento affettivo col divino: la bellezza suscita emozione e le emozioni positive ti fanno sentire bene. Ancora una volta, non è quel che provi quando ti senti avvolto da un abbraccio? Tutto è bene, tutto è bello perché mi sento protetto, mi sento voluto bene. Questa maestosità, questa bellezza in cui mi sento immerso entrando in chiesa, partecipando a una liturgia, mi fanno sentire parte di qualcosa di grande e di bello, fatto da qualcuno che vuol farmi stare bene.

A questo punto potresti obiettarmi: la tua è una visione di un uomo del XXI secolo! Chissà i poveri contadini ignoranti dei secoli passati che sensazione di piccolezza, di timore avranno avuto di fronte a tanta maestosità! Loro non avevano esperienza di un Dio padre, perché i loro genitori erano stati padroni a cui dare del voi e non amorevoli guide come abbiamo fatto esperienza noi; perciò penso che i loro sentimenti dentro una chiesa erano molto diversi dai nostri perché diversa era la loro esperienza di Dio. È bello che oggi per noi sia così: siamo fortunati!
Già; ma questo cambiamento tra loro e noi nell’esperienza genitoriale come si è espresso religiosamente?
Prima di Cristo bisognava offrire un sacrificio per propiziarsi il dio e ottenere che ascoltasse le nostre richieste. Cristo è venuto a dirci che Dio stesso è il primo interessato al nostro bene; e lo ha dimostrato pagando di persona il suo stare dalla parte di chi non ha voce per difendersi. In realtà, già ad Abramo Dio aveva detto «Basta sacrifici!» (Gen 22, 12), ma gli Ebrei non l’hanno ascoltato; noi cristiani, nei secoli passati, non abbiamo fatto lo stesso, rassicurando i nostri meriti con pratiche ascetiche esagerate? Tutto questo è durato fintantoché il genitore ha continuato a essere un padre-padrone che dava affetto e protezione in cambio di sottomissione.
Il tempio era il luogo dove, a fronte di una richiesta, si faceva (prima) o si prometteva (poi) un sacrificio, perché la protezione del dio andava pagata. Se non ho bisogno di pagarlo, posso trovarlo ovunque e rivolgermi a Lui in un colloquio intimo. Il tempio, dunque, non ha più senso? No, semplicemente ha altri sensi.
Entriamo in una chiesa. Alle pareti una serie di quadri: come l’album delle foto di famiglia, che mi aiuta a rinsaldare i legami con una storia passata a cui anch’io appartengo. Sugli altari le statue aiutano il mio colloquio con chi esse rappresentano. La bellezza mi parla della prospettiva verso cui sono incamminato se vivo nello Spirito di Colui che mi chiama a parteciparvi. I sacramenti a cui partecipo mi aiutano a fare esperienza di Cristo qui e ora.
Probabilmente il cambiamento di prospettiva da padre padrone a genitore amorevole è cominciato con la rivoluzione culturale del ‘68.
Al giorno d’oggi, mi sembra che tanti genitori abbiano estremizzato la ritrovata affettività, che è diventata affettivismo melenso, iperprotezione, incapacità di indicare una direzione, credendo di dare al figlio una maggior libertà di scelta nella vita ma finendo per essere sentiti inutili. Assieme al genitore che non fa più il genitore, anche a Dio non si riesce più a dare un senso e l’uomo sta naufragando sempre più nella solitudine e nel disorientamento. O forse anche questo è un passaggio necessario e la mancanza della figura paterna e la nostalgia di essa spingerà le nuove generazione a cercare un padre nel Padre? Lui è lì, sta alla porta e bussa, sta a noi aprire e farlo entrare. (Ap 3,20).
                                                                                          Michele Bortignon

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