Hai mai pensato perché, quando
rivolgiamo una supplica a Dio, ci viene spontaneo guardare in alto e
alzare le braccia con i palmi delle mani aperti? Non è lo stesso
gesto che, da bambini, rivolgevamo a mamma o a papà, con i lagrimoni
agli occhi, perché ci prendessero in braccio e ci consolassero?
Durante un viaggio in Sicilia, davanti
ai templi della Magna Grecia mi sono chiesto il perché di tanta
imponenza. Perché la casa di Dio dev’essere grande? Perché Dio è
grande e forte e dev’esserlo per proteggere noi piccoli e fragili.
Siamo noi che abbiamo bisogno di immaginarlo così per trovare in lui
un sostituto ai genitori protettori che adesso non possono più
essere tali per noi, diventati adulti.
Sono entrato nelle chiese barocche,
ridondanti di angeli in volo, che ti suscitano
dentro il desiderio di seguirli tra le nubi nei cieli, o di santi raffigurati impegnati in
aspre ascesi, rapiti misticamente o vittoriosi nei crudeli martirii,
che ti strappano un’esclamazione di ammirazione. Tutto punta al
coinvolgimento affettivo col divino: la bellezza suscita emozione e
le emozioni positive ti fanno sentire bene. Ancora una volta, non è
quel che provi quando ti senti avvolto da un abbraccio? Tutto è
bene, tutto è bello perché mi sento protetto, mi sento voluto bene.
Questa maestosità, questa bellezza in cui mi sento immerso entrando
in chiesa, partecipando a una liturgia, mi fanno sentire parte di
qualcosa di grande e di bello, fatto da qualcuno che vuol farmi stare
bene.
A questo punto potresti obiettarmi:
la tua è una visione di un uomo del XXI secolo! Chissà i poveri
contadini ignoranti dei secoli passati che sensazione di piccolezza,
di timore avranno avuto di fronte a tanta maestosità! Loro non
avevano esperienza di un Dio padre, perché i loro genitori erano
stati padroni a cui dare del voi e non amorevoli guide come abbiamo
fatto esperienza noi; perciò penso che i loro sentimenti dentro una
chiesa erano molto diversi dai nostri perché diversa era la loro
esperienza di Dio. È bello che oggi per noi sia così: siamo
fortunati!
Già;
ma questo cambiamento tra loro e noi nell’esperienza genitoriale
come si è espresso religiosamente?
Prima
di Cristo bisognava offrire un sacrificio per propiziarsi il dio e
ottenere che ascoltasse le nostre richieste. Cristo è venuto a
dirci che Dio stesso è il primo interessato al nostro bene; e lo ha
dimostrato pagando di persona il suo stare dalla parte di chi non ha
voce per difendersi. In realtà, già ad Abramo Dio aveva detto
«Basta
sacrifici!»
(Gen 22, 12),
ma gli Ebrei non l’hanno ascoltato; noi cristiani, nei secoli
passati, non abbiamo fatto lo stesso, rassicurando i nostri meriti
con pratiche ascetiche esagerate? Tutto questo è durato fintantoché
il genitore ha continuato a essere un padre-padrone che dava affetto
e protezione in cambio di sottomissione.
Il
tempio era il luogo dove, a fronte di una richiesta, si faceva
(prima) o si prometteva (poi) un sacrificio, perché la protezione
del dio andava pagata. Se non ho bisogno di pagarlo, posso trovarlo
ovunque e rivolgermi a Lui in un colloquio intimo. Il tempio, dunque,
non ha più senso? No, semplicemente ha altri sensi.
Entriamo
in una chiesa. Alle pareti una serie di quadri: come l’album delle
foto di famiglia, che mi aiuta a rinsaldare i legami con una storia
passata a cui anch’io appartengo. Sugli altari le statue aiutano il
mio colloquio con chi esse rappresentano. La bellezza mi parla della
prospettiva verso cui sono incamminato se vivo nello Spirito di Colui
che mi chiama a parteciparvi. I sacramenti a cui partecipo mi aiutano
a fare esperienza di Cristo qui e ora.
Probabilmente
il cambiamento di prospettiva da padre padrone a genitore amorevole è
cominciato con la rivoluzione culturale del ‘68.
Al
giorno d’oggi, mi sembra che tanti
genitori abbiano estremizzato la ritrovata affettività, che è
diventata affettivismo melenso, iperprotezione, incapacità di
indicare una direzione, credendo di dare al figlio una maggior
libertà di scelta nella vita ma finendo per essere
sentiti inutili. Assieme al genitore che non fa più il genitore,
anche a Dio non si riesce più a dare un senso e l’uomo sta
naufragando
sempre più nella solitudine e nel disorientamento. O forse anche
questo è un passaggio necessario e la mancanza della figura paterna
e la nostalgia di essa spingerà le nuove generazione a cercare un
padre nel Padre? Lui è lì, sta alla porta e bussa, sta a noi aprire
e farlo entrare. (Ap 3,20).
Michele
Bortignon
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