10/01/2024

Dal padre al Padre

Hai mai pensato perché, quando rivolgiamo una supplica a Dio, ci viene spontaneo guardare in alto e alzare le braccia con i palmi delle mani aperti? Non è lo stesso gesto che, da bambini, rivolgevamo a mamma o a papà, con i lagrimoni agli occhi, perché ci prendessero in braccio e ci consolassero?
Durante un viaggio in Sicilia, davanti ai templi della Magna Grecia mi sono chiesto il perché di tanta imponenza. Perché la casa di Dio dev’essere grande? Perché Dio è grande e forte e dev’esserlo per proteggere noi piccoli e fragili. Siamo noi che abbiamo bisogno di immaginarlo così per trovare in lui un sostituto ai genitori protettori che adesso non possono più essere tali per noi, diventati adulti.
Sono entrato nelle chiese barocche, ridondanti di angeli in volo, che ti suscitano dentro il desiderio di seguirli 
tra le nubi nei cieli, o di santi raffigurati impegnati in aspre ascesi, rapiti misticamente o vittoriosi nei crudeli martirii, che ti strappano un’esclamazione di ammirazione. Tutto punta al coinvolgimento affettivo col divino: la bellezza suscita emozione e le emozioni positive ti fanno sentire bene. Ancora una volta, non è quel che provi quando ti senti avvolto da un abbraccio? Tutto è bene, tutto è bello perché mi sento protetto, mi sento voluto bene. Questa maestosità, questa bellezza in cui mi sento immerso entrando in chiesa, partecipando a una liturgia, mi fanno sentire parte di qualcosa di grande e di bello, fatto da qualcuno che vuol farmi stare bene.

A questo punto potresti obiettarmi: la tua è una visione di un uomo del XXI secolo! Chissà i poveri contadini ignoranti dei secoli passati che sensazione di piccolezza, di timore avranno avuto di fronte a tanta maestosità! Loro non avevano esperienza di un Dio padre, perché i loro genitori erano stati padroni a cui dare del voi e non amorevoli guide come abbiamo fatto esperienza noi; perciò penso che i loro sentimenti dentro una chiesa erano molto diversi dai nostri perché diversa era la loro esperienza di Dio. È bello che oggi per noi sia così: siamo fortunati!
Già; ma questo cambiamento tra loro e noi nell’esperienza genitoriale come si è espresso religiosamente?
Prima di Cristo bisognava offrire un sacrificio per propiziarsi il dio e ottenere che ascoltasse le nostre richieste. Cristo è venuto a dirci che Dio stesso è il primo interessato al nostro bene; e lo ha dimostrato pagando di persona il suo stare dalla parte di chi non ha voce per difendersi. In realtà, già ad Abramo Dio aveva detto «Basta sacrifici!» (Gen 22, 12), ma gli Ebrei non l’hanno ascoltato; noi cristiani, nei secoli passati, non abbiamo fatto lo stesso, rassicurando i nostri meriti con pratiche ascetiche esagerate? Tutto questo è durato fintantoché il genitore ha continuato a essere un padre-padrone che dava affetto e protezione in cambio di sottomissione.
Il tempio era il luogo dove, a fronte di una richiesta, si faceva (prima) o si prometteva (poi) un sacrificio, perché la protezione del dio andava pagata. Se non ho bisogno di pagarlo, posso trovarlo ovunque e rivolgermi a Lui in un colloquio intimo. Il tempio, dunque, non ha più senso? No, semplicemente ha altri sensi.
Entriamo in una chiesa. Alle pareti una serie di quadri: come l’album delle foto di famiglia, che mi aiuta a rinsaldare i legami con una storia passata a cui anch’io appartengo. Sugli altari le statue aiutano il mio colloquio con chi esse rappresentano. La bellezza mi parla della prospettiva verso cui sono incamminato se vivo nello Spirito di Colui che mi chiama a parteciparvi. I sacramenti a cui partecipo mi aiutano a fare esperienza di Cristo qui e ora.
Probabilmente il cambiamento di prospettiva da padre padrone a genitore amorevole è cominciato con la rivoluzione culturale del ‘68.
Al giorno d’oggi, mi sembra che tanti genitori abbiano estremizzato la ritrovata affettività, che è diventata affettivismo melenso, iperprotezione, incapacità di indicare una direzione, credendo di dare al figlio una maggior libertà di scelta nella vita ma finendo per essere sentiti inutili. Assieme al genitore che non fa più il genitore, anche a Dio non si riesce più a dare un senso e l’uomo sta naufragando sempre più nella solitudine e nel disorientamento. O forse anche questo è un passaggio necessario e la mancanza della figura paterna e la nostalgia di essa spingerà le nuove generazione a cercare un padre nel Padre? Lui è lì, sta alla porta e bussa, sta a noi aprire e farlo entrare. (Ap 3,20).
                                                                                          Michele Bortignon

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