11/18/2024

L’orma del pellegrino: cap.2 - La processione

Con un gemito soffocato, ancora una volta si alzò sulle staffe per dar sollievo alle parti basse, martoriate dai continui sussulti sulla sella.

Odiava andare a cavallo. Lo odiava profondamente. E ora lo aspettavano almeno tre giorni di viaggio per arrivare a Manresa.

Fino ad allora, la completa dedizione agli studi lo aveva costretto a una vita sedentaria e, per quanto dipendeva da lui, anche piuttosto appartata. Aveva sempre cercato di schivare la compagnia dei coetanei, considerando una perdita di tempo tutto ciò che non riguardava la conoscenza. E il suo impegno assiduo, unito a un’intelligenza decisamente brillante, gli aveva procurato importanti riconoscimenti da parte dei superiori e una prospettiva aperta ad alti incarichi curiali… proprio come suo padre aveva sognato per lui. La consapevolezza di compiacere il genitore era la sua stabilità, la terra ferma su cui muoveva i suoi passi; anche se… una sottile angoscia lo consumava dentro al pensiero di non riuscire ad essere all’altezza delle aspettative riposte su di lui. Una consunzione che si manifestava nel suo fisico, in una corporatura esile e in un atteggiamento esitante, come se qualcosa gli risucchiasse le energie dal di dentro.

Dopo la conclusione degli studi, quello era per lui il primo incarico. Strano incarico per uno che, a quasi trent’anni, ancora non sapeva nulla del mondo, o, meglio, lo conosceva solo attraverso gli scritti di teologi e filosofi, per i quali la realtà era qualcosa di ben compaginato sotto la guida di un Dio il cui misterioso agire spiegava tutto. E la Chiesa, societas perfecta, ne interpretava la volontà e agiva per porla in essere.

Nonostante la fatica, resa ancor più pesante dal caldo intenso, aveva imposto a se stesso di resistere fino al tramonto, quando avrebbe incontrato il villaggio in cui aveva deciso di passare la notte. Lo consolava, comunque, il pensiero che era sabato, per cui il giorno dopo, dies dominicus, avrebbe potuto riposarsi, dedicandosi alla preghiera.

Trovò la locanda piuttosto affollata, tanto che a stento si riuscì a trovargli una stanza.

«Domani è la festa di San Rocco» gli disse l’oste, «patrono non solo del nostro villaggio, ma di tutta la comarca. E quest’anno l’occasione è ghiotta, perché alla consueta processione seguirà la predicazione di un padre domenicano molto famoso».

Chiese che gli si portasse qualcosa da mangiare e, distrutto, si buttò subito a letto, piombando in un sonno profondo.

Il mattino successivo fu lo scampanare a distesa della vicina chiesa a risvegliarlo. Quando uscì, i cappati erano già pronti sul sagrato, in attesa di precedere la portantina con la statua del santo, sostenuta dai nobiliores del paese. La seguivano i ministranti, disposti a quadrato attorno al celebrante, con i grandi turiboli d’argento che spandevano nell’aria spesse volute di incenso. Le due ali di folla assistevano mute, in attesa di unirsi in coda alla processione.

Un brivido di sgomento scosse tutti quando, dietro al baldacchino, dalle porte della chiesa uscirono i flagellanti.

«Dies irae, dies illa!1». Le cupe note dell’inno si alzavano nell’aria riempiendo di terrore le coscienze.

«…qua resurget ex favilla iudicandus homo reus2». Ognuno si vedeva già, tremante, al cospetto dell’implacabile giudice di ogni peccato. E i gemiti che il flagellante emetteva nello squarciarsi la pelle con la frusta armata di spine erano i propri gemiti al ricordo di tante debolezze in cui era caduto.

«..huic ergo parce, Deus!3». Sì, misericordia. Esigenza impellente all’immaginarsi sull’orlo del cupo abisso, pronti a essere inghiottiti dalle fiamme eterne, in un’eterna sofferenza.

Misericordia, sì, ma come ottenerla? Fragile rimedio appariva il confessarsi, quando l’eternità della pena era comunque commutata in un tempo di purificazione non meno doloroso e, quindi, non meno angosciante. Una misericordia che cancellasse la pena assieme al peccato… dove trovarla?

Concluso il giro del villaggio, la processione si riportò nuovamente sul sagrato della chiesa. Lungo la scalinata che adduceva al pronao si disposero ordinatamente la confraternita dei cappati e quella dei flagellanti, mentre al centro, sul suo baldacchino, troneggiava la statua del santo.

Nel suo immacolato saio bianco, il predicatore abbracciò uno ad uno i flagellanti, finché la sua tonaca fu completamente lordata di sangue. Salì quindi sul pulpito improvvisato a passi lenti, quasi fosse gravato da un peso insopportabile e, nell’allargare le braccia, fu a tutti evidente che in lui si ripresentava il Cristo flagellato alla colonna. E, all’orecchio del cuore, ognuno si sentì sussurrare: «Ecce homo!».

«Popolo mio, che male ti ho fatto? In che cosa ti ho stancato? Rispondi!4»

Partendo da questa citazione, il frate iniziò a scavare con la pala del rimorso in un passato che per nessuno poteva essere del tutto pulito, tanto difficili erano le condizioni in cui si era svolto e tanto pesante era l’eredità dei modi di reagirvi addossatagli alla nascita da genitori altrettanto in difficoltà.

Non illuminate dalla luce della Pasqua di un Dio incarnatosi per condividere in tutto la condizione dell’uomo - e, quindi, in grado di comprenderne ogni limite e ogni difficoltà - , le parole del predicatore continuavano a precipitare come macigni sulle inermi coscienze, sollevando nuvole di sensi di colpa, che oscuravano il sole della speranza e immergevano nelle tenebre dello scoraggiamento quel che restava di una vacillante fede in un Dio-Amore. Tra bagliori sinistri emergeva invece il ritratto di un dio di paura, che agiva nel mondo attraverso malattie, disgrazie e calamità, e nell’aldilà per mezzo di demoni che, con sofferenze ancor più sinistre, ripagavano ogni maldestro tentativo dell’uomo di difendersi dai colpi della vita: “Là vi sarà pianto e stridore di denti, gemiti e lamenti, ululati e tormenti, stridore e grida, timore e tremore, dolore e pena, ardore e fetore, oscurità ed ansia, durezza e asprezza, sciagure e miseria, angoscia e mestizia, oblio e confusione, torcimenti e punture, amarezza e terrore, fame e sete, freddo e calura, zolfo e fuoco ardente nei secoli dei secoli”5.

«O uomo, come potrai scampare al precipitare su di te dell’ira divina?». La domanda del predicatore calava ormai su coscienze emotivamente stremate e per questo disposte a tutto.

«Solo i meriti accumulati da Cristo, dalla Madonna e dai santi possono salvarti! Un tesoro di grazia a cui la Chiesa può accedere per ridonarti quella santità, ricevuta nel battesimo, che tu hai sperperato. Onoriamo con animo generoso i santi che possono ridonarci la purezza perduta. A nome vostro, a nome di ogni peccatore che vuol redimersi, il sommo pontefice sta costruendo in Roma una grande basilica per ospitare le spoglie mortali del principe degli apostoli, san Pietro, roccia su cui la Chiesa è fondata. Volete forse trascurare questa occasione unica e lasciare che le sue ossa si disperdano tra le rovine?6».

«No! No! No!». Da ogni petto un urlo si era alzato facendo riaffiorare la speranza, lasciando emergere il sollievo, ripristinando la possibilità di un futuro.

«Venite dunque!», concluse il predicatore, «e fate la vostra offerta:

quando il soldo tintinna nella cassetta

l’anima subito torna ad essere netta!».

Attorno al banco per la vendita delle indulgenze la ressa si fece subito incredibile: per sé e per i propri cari defunti ciascuno pagava il prezzo necessario a rifarsi una coscienza, e con l’animo leggero scendeva verso la piazza del mercato, dove la festa, in forme più laiche, stava continuando.



1 Sarà un giorno d’ira quel giorno…

2 …in cui il peccatore si alzerà dalla polvere per essere giudicato.

3 Abbi misericordia di lui, Signore!

4 Mi 6,3

5 Papa Innocenzo III°, “De Contemptu Mundi”

6 In realtà il brano citato del profeta Michea (cfr. nota 8) così risponde alla domanda sollevata dal predicatore: “Quale offerta porteremo al Signore, ai Dio Altissimo, quando andremo ad adorarlo? Gli offriremo in sacrificio vitelli di un anno? Gradirà il Signore migliaia di montoni e torrenti di olio? Gli daremo in sacrificio i nostri figli, i nostri primogeniti per ricevere il perdono dei nostri peccati? In realtà il Signore ha insegnato agli uomini quel che è bene, quel che esige da noi: praticare la giustizia, ricercare la bontà e vivere con umiltà davanti al nostro Dio” (Mi 6, 6-8).

11/01/2024

La terza via

Un dialogo fra noi

Michele: «Maria Rosa, hai mai fatto caso a come si svolgono le dinamiche dei litigi?

Quando sorge una tensione tra due persone, ciascuno si sente calpestato nei propri diritti e li rivendica; anzi, spesso esagera, pronto a schiacciare l’avversario. A volte urlando, a volte in un balletto di accuse a denti stretti.

Se non si risolve subito, dopo lo sfogo, parlandosi, la tensione permane ed entriamo in due possibili opposti scenari: il rancore o l’immolazione.

Nel rancore quello che è successo si ingigantisce, diventa terribile e imprescindibile da affrontare per ricucire lo strappo.

Nell’immolazione, che è spesso mascherata da cristiana abnegazione, si perdona tutto e si riprende come se nulla fosse successo.

In entrambi i casi mi costruisco in testa un film in cui io sono la vittima e l’altro il carnefice.

Non ti sembra che a questo punto ci siamo dimenticati della cosa più importante? Il problema… dov’è andato a finire? L’attenzione si è subito spostata sull’io ferito che deve lavare l’onta subita oppure la sublima nella consolante visione di sé come martire cristiano.

Sapendo che, alla fine, si finisce per imboccare l’una o l’altra strada, non è male (dopo lo sfogo iniziale, che è logico e inevitabile) fermarsi davanti a questo bivio e cercare la terza via.

Siediti al sole, abdica e sii re di te stesso”, dice Fernando Pessoa. Rilassati, lasciati perdere e cerca di capire qual è il problema.

Se davvero è un problema, lo è per te come per l’altro, e l’altro capirà che è un problema anche per lui.

Se ti è chiaro, riuscirai a esprimerlo in poche, chiare parole, magari anche proponendo una soluzione semplice e condivisibile.

La terza via: quella che non contrappone i diritti delle due parti, ma che affronta il problema.»


MariaRosa: «E’ vero quel che dici, Michele: smettere di guardare il proprio ombelico, rendendosi conto che non è il centro del mondo, è un primo passo per guardare l’altro e soprattutto vedere il punto di vista dell’altro.

Spesso, però, l’altro non è altrettanto disposto a cambiare punto di vista o almeno ad alzare lo sguardo da se stesso e dalle proprie ragioni. Che fare allora? Come comportarsi quando sentiamo che la voglia di pace è solo nostra e che, invece, l’altro cerca ogni appiglio per dichiararci guerra?

La terza via di cui parli non è evidente, anzi! In un primo momento proprio non ne vedi l’esistenza e sai perché? Perché il tuo sguardo non è limpido, ma offuscato dalle tue ragioni, dal senso di offesa, dalla voglia di far valere le tue verità a tutti i costi. Lascia decantare tutti questi sentimenti, datti tempo, rilassati, cambia prospettiva e soprattutto chiarisciti ciò che vuoi: costruire la pace. Vedrai che a poco a poco, come il diradarsi della nebbia, o all’improvviso, come un raggio di sole tra le nuvole, si aprirà davanti a te la terza via, quella che porterà al bene di entrambe le parti. Essa sarà quella soluzione così semplice e allo stesso tempo intelligente che spiazzerà l’altro ed egli non potrà che assecondarti o…ritirarsi sconfitto in attesa di sferrare un altro attacco…

In un caso o nell’altro avrai, nel tuo piccolo, aggiunto un mattone nel ponte della pace!»

                                                                                    Michele Bortignon e Maria Rosa Brian

Per un collegamento al Vangelo: Gv 14, 16

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