5/01/2025

Perdonare. Anche a chi non interessa?

«Io vi perdono, ma voi vi dovete mettere in ginocchio, se avete il coraggio di cambiare». Così la vedova dell’agente di scorta di Giovanni Falcone, ucciso dalla mafia, al suo funerale.

A loro interessava essere perdonati? Se il perdono è ridare fiducia a chi ha sbagliato, questa fiducia deve chiederla, deve interessargli riceverla!

Un altro episodio. Un passante, a cui avevo chiesto un’informazione, si sfoga con me della sua rabbia contro gli extracomunitari: uno di questi ha investito suo figlio, uccidendolo. Potrebbe perdonare, almeno per ritrovare la pace dentro di sé? «Impossibile!», mi dice; e se ne va con la sua rabbia.

Gesù, sulla croce: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno!». Ma loro erano ben convinti di star facendo la cosa giusta!

Più vicino a noi… quella persona che continua a farmi del male, vedendo solo le sue ragioni. Per lei sono io, naturalmente, ad avere torto. E non c’è nulla da fare (quanto ci ho provato!): chi la smuove?

In questi casi, perdonare a cosa serve? Percorriamo due strade che non si incontreranno mai!

Non ne vengo fuori, non posso trovare un senso al perdono finché lo considero un problema tra noi due.

In realtà il tuo gesto, le tue parole sono espressione di un atteggiamento che fa girare il mondo attorno a te e, come un vortice, risucchia ciò che gli sta attorno rendendolo uguale a sé. Anch’io rischio di esserci preso dentro e, esasperato, finire col nutrire in me sentimenti di rabbia, di rivalsa, di vendetta. Schiacciato, anziché cercare ciò che è giusto, faccio di tutto per prevalere, per fartela pagare, per ridarti il tuo con gli interessi. E così divento uguale a te.

Perdono è allora prendermi la responsabilità della situazione per darle una direzione diversa. Faccio io, al posto tuo, quello che tu non riesci, non puoi, non vuoi fare; faccio quel che è giusto mentre tu continui a uccidermi; trasformo quel che tu hai rovinato, lo guarisco. Non lo faccio per te: lo faccio per il mondo, perché il mondo non sia condizionato dal tuo atteggiamento. Sblocco la situazione facendo un passo oltre, lasciando lì quel che è successo e guardando avanti. Non voglio farmene distruggere, ma voglio costruire qualcosa di nuovo. Divento ciò che tu avresti dovuto essere. Risorgo la situazione: non sarà mai quella che sarebbe stata senza quello che hai fatto, sarà diversa, ma sarà nella direzione giusta. Faccio come il vasaio di Geremia: “Ora, se si guastava il vaso che egli stava modellando, come capita con la creta in mano al vasaio, egli rifaceva con essa un altro vaso, come ai suoi occhi pareva giusto” (Ger 18, 4). La creta guastata si può riutilizzare perché è comunque buona, anche se tu ora le hai dato una forma sbagliata.

Non mi lascio bloccare nella situazione che tu hai creato e non me ne lascio distruggere. Perdonare è decidere di costruire un futuro con le macerie, sentendo che questo è compito mio perché tu qui ti sei fermato e non vuoi o non puoi andare avanti.

          Michele Bortignon

Per-dono, il perdono, appunto, è un dono, è qualcosa che io ti regalo (o che l’altro regala a me), qualcosa che tu non mi hai chiesto, ma che io desidero darti. Eppure, tu nella tua libertà, lo puoi rifiutare e rimandare al mittente, perché tu da me non vuoi nulla, hai deciso che tu con me non hai nulla da spartire, che, anzi la causa di tutti i tuoi mali sono io e ti va più che bene così. Che fare? Instaurare una dittatura del bene e insistere per imporre le mie buone ragioni? Oppure perdonarti, rappacificarmi con me stessa e accettare il tuo rifiuto di una riconciliazione? Delle due scelgo la seconda via, lasciando aperta la strada della riconciliazione senza impormi, senza distruggere per costruire: “Non griderà né alzerà il tono, non farà udire in piazza la sua voce, non spezzerà una canna incrinata, non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta; proclamerà il diritto con verità. Non verrà meno e non si abbatterà, finché non avrà stabilito il diritto sulla terra.” (Is 42,2-4).

La libertà dell’altro è sacra, l’altro è libero di uccidermi e anch’io, però, di non lasciarmi morire. Ma come continuare a vivere? Chi è arrabbiato con me perché per lui sono la causa di tutti i suoi mali cercherà di trascinarmi nel vortice del suo malessere, malessere che non vuol risolvere, perché stare male e soffrire comporta il vantaggio di farsi commiserare e consolare, significa attirare l’attenzione di qualcuno su di sé (piuttosto di non esserci per nessuno meglio esserci, anche se in modo negativo). “Soffro, quindi esisto e sono degno di compassione” sembra essere il suo mantra ed è tutto il contrario dal mio: “sei prezioso ai miei occhi sei degno di stima e io ti amo” (Is 43,4).

In definitiva perdonare è anche lasciare libero l’altro di non perdonarti.

          Maria Rosa Brian




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