Eppure lo sguardo di quella donna e la violenza con cui era stata trattata gli mettevano un dubbio su chi in realtà fosse manovrato dal demonio.
Scacciò ancora una volta quel pensiero che turbava la sua immagine di una Chiesa in cui Dio operava sempre e comunque e si affrettò verso il fabbricato appena fuori le mura.
«La signora Jeronima?» chiese alla persona che gli era venuta ad aprire.
«E’ nel giardino dei “semplici”1. Sta raccogliendo le piante che ci servono a preparare i medicamenti. Se vuole, l’accompagno…».
«Grazie, gliene sono grato».
Dall’atrio dell’ospedale, una porta dava direttamente accesso a un piccolo orto. Quattro vialetti si incrociavano nel pozzo centrale, delimitando altrettante aiuole: in tre di queste, le erbe dalle preziose virtù terapeutiche, regolarmente annaffiate, crescevano rigogliosamente; la quarta, a ridosso del muro della cappella, era un piccolo prato ombreggiato da una pergola di vite, sotto alla quale un paio di sedie e un tavolino potevano offrire un momento di riposo.
«Bello, eh? Questo è il nostro piccolo angolo di paradiso, la nostra imitazione del giardino di Eden». Jeronima era una di quelle donne a cui il ruolo svolto richiede il polso per dirigere un’intera struttura, ma, lasciate al loro momento magico, sono capaci di perdersi a osservare la differenza di sfumature tra i petali di un fiore. E, all’entrare di don Manuel, stava appunto assaporando l’emozione della bellezza donatale dalle sue piante.
«Ecco, vede: questi che sto raccogliendo sono i gialli fiori dell’Iperico. Adesso li metto in un vaso con del buon olio di oliva; quando l’olio diventerà rosso, sarà pronto per essere usato come lenimento per le scottature. Ma posso anche essiccarli per preparare una tisana che rinfranca nella tristezza: non per niente la chiamano “erba cacciadiavoli”. Questo, con i piccoli fiori rossi profumati, è il Serpillo: lo uso per disinfettare le ferite. Le foglie di Melissa servono invece per calmare e per conciliare il sonno. Ma quella che mi ha dato le maggiori soddisfazioni è questa qui: l’erba della Madonna. Il suo infuso cura le malattie della pelle, perfino il Fuoco di Sant’Antonio, che è così difficile da guarire!
Ma, mi dica… non le ho ancora chiesto il motivo della sua visita…».
«Iñigo, il pellegrino. Angela Seguì, la moglie di Pere Amigant, mi ha indirizzato da lei dicendomi che avrebbe potuto aiutarmi a conoscerlo un po’, visto che, con la sua partenza, è sfumata la speranza di poterlo incontrare personalmente».
«Ah, Iñigo… Ma, venga: andiamo a sederci lì all’ombra!».
Presero posto. Sotto le foglie della vite, una lieve brezza piacevolmente tergeva il sudore e invitava a una sosta.
«Iñigo… Quando arrivò qui era davvero conciato male: la gamba fasciata, ancora convalescente da una brutta frattura, gli si era gonfiata e la sua fronte bruciava di febbre.
L’abbiamo curato con impacchi di argilla e foglie di cavolo… oltre al principe di tutti i medicamenti: il riposo.
Quando si fu rimesso, ci chiese di rimanere a darci una mano. La sua giornata era divisa tra momenti di preghiera e momenti di servizio, in cui si metteva a disposizione dei malati applicando il nostro metodo di cura.
Sa… noi crediamo che corpo e anima sono legati indissolubilmente, per cui ogni malfunzionamento dell’uno si ripercuote negativamente sull’altra, e viceversa. Perciò, qui, con le piante medicinali curiamo quel che possiamo per dar sollievo al corpo e rimetterlo a servizio dell’anima, ma, soprattutto, curiamo l’anima, nella cui malattia spesso risiede la causa dell’infermità del corpo.
E’ Cristo il vero medico, e la terapia è la conversione, il passaggio da un atteggiamento malato, che fa male a me e agli altri, a uno sano nei confronti della vita. La salute non è uno stato che si mantiene da sé, ma la costruiamo e la manteniamo noi stessi con un atteggiamento positivo e costruttivo.
Ecco, vede? Proprio qui dove siamo seduti noi adesso, Iñigo conversava con gli ammalati per completare il loro processo di guarigione, aiutandoli a incontrare l’Unico che, condividendo con loro il suo Spirito, li avrebbe aiutati a non ricadere in quegli atteggiamenti che, assieme all’anima, fanno ammalare anche il corpo».
«Ma com’è che è nato in lui questo desiderio di curare l’anima degli ammalati?».
«L’amore con cui ci siamo presi cura di lui lo ha commosso. Ce lo diceva sempre, come fosse una grande scoperta: non sono le erbe, ma gli sguardi affettuosi, le parole gentili, i tocchi delicati che ci mettete voi a far funzionare le medicine.
E, per contrapposto, si angustiava per come, qualche giorno prima, a Montserrat, aveva trattato un povero: dopo aver a sua volta indossato il sacco del mendicante, gli aveva donato i suoi vestiti sontuosi; ma questi, sospettato di averli rubati, era stato malmenato dalle guardie. «Il bene che gli ho fatto non ha affatto tenuto conto di lui, di ciò che lui aveva bisogno nella sua situazione, ma è stato soltanto un’ostentazione di quanto io ero capace di fare», ci confessò, accusandosi per l’insensibilità dimostrata.
Lavorando assieme nel suo animo, queste due esperienze fecero scoccare la scintilla di un’illuminazione di cui parlava come di una luce che gli aveva fatto vedere ogni cosa in modo assolutamente nuovo. Ricordava ancora il luogo esatto in cui Dio gliel’aveva fatta sbocciare nel cuore: un anfratto, nella scogliera di roccia sovrastante il torrente, in cui era solito fermarsi in preghiera quando si recava alla chiesa di San Paolo.
Fu una nuova visione dell’uomo, che gliene mostrò tutta la grandezza, da restaurare per far apparire in lui la gloria di Dio. In Cristo, Dio si fa uomo non per darci qualcosa che ci manca - non ci tratta da miserabili! -, ma ci fa scoprire che siamo già Dio con quello che abbiamo, se lo viviamo in quello Spirito che ci rende possibile essere nella pace, nella gioia, interiormente liberi: quello Spirito che è Dio vivente in noi quando la fiducia, la speranza, l’amore improntano le nostre azioni.
Resi poveri dalle nostre paure, che ci ossessionano per avere o per non perdere ciò che ci dà sicurezza, stima, affetto, siamo resi ricchi dal trovare Dio presente in ogni dettaglio della vita a cui lasciamo riempirci il cuore. E con Dio nel cuore, luce e forza del nostro essere vivi, possiamo incontrare il povero per renderlo altrettanto ricco della Sua presenza, senza commettere lo sbaglio di farlo diventare il ricco miserabile che prima eravamo noi».
«E comunque bisogna pur mangiare!» stava pensando tra sé don Manuel, scettico di fronte a una prospettiva che riempiva il cuore e non la pancia.
«Vuol fermarsi a pranzo con noi?» gli chiese Jeronima.
«Non vorrei creare problemi con l’essere in più rispetto a quanti avete previsto…».
«Veramente non prevediamo mai nulla. Quello che abbiamo non lo sappiamo neppure noi perché ci viene portato dalla generosità della gente. Non siamo solo noi a dare…».
Non seppe neppure lui come, ma un momento dopo don Manuel si trovò con una pentola e un mestolo in mano a distribuire lui pure la minestra alla mensa degli ospiti. E già si sentiva sazio dei tanti grazie e grato a Dio per quella generosità che da tante parti e in tante forme vedeva arrivare a colmare il bisogno.
Era mai possibile che il dare arricchisse? Era questo che aveva trovato Iñigo? Ed era questo il percorso su cui accompagnava le persone ferite dalla vita per aiutarle a guarire dentro?
Lo chiese a Jeronima che gli si era seduta accanto quando, dopo aver servito tutti, avevano potuto mangiare anche loro.
«Il povero con le sue necessità ci libera dall’ossessione di colmare a tutti i costi i nostri bisogni. Altrimenti non potremmo dargli nulla!» gli rispose l’ospitaliera. «E il vuoto che così creiamo in noi è spazio che attira la generosità della Vita; solo così abbiamo occhi per vedere i beni che essa ci offre».
All’improvviso, un urlo seguito da un pianto disperato risuonò lontano, dalle stanze in cui erano ricoverati i malati terminali. «E’ Maria. Se ne sta andando. Ed è spaventatissima. Vieni con me, Manuel? Se vuoi conoscere Iñigo “da dentro”… ecco: questa è l’occasione per capire cose che, altrimenti, non capiresti mai».
Per un attimo rimase paralizzato. In un flash gli passò per la mente il ricordo di sua madre morente: l’aveva vista andarsene rabbiosamente, disperata, e lui allora non aveva saputo cosa fare. E, altrettanto sconvolto, se n’era tenuto lontano.
Ma, ora, un qualcosa che non sapeva spiegare lo stava prendendo per lo stomaco e gli ripeteva «Vai. Non tirarti indietro!». Si alzò come un automa, terrorizzato, e si avviò con Jeronima in direzione di quel pianto.
Maria stava soffrendo terribilmente, ma ancor più dolorosa era la paura che la stava squassando dentro. «Va’ via, non voglio vedere nessuno!», gridò mentre i due le si accostavano.
In vista, sulla parete della stanza, stava appeso un crocifisso, e Manuel lo guardò: impotenza, dolore, angoscia…, ma anche fede, speranza, amore era quel che vi leggeva.
«Io sono la via…», si sentì dire. E comprese.
Jeronima sedette accanto a Maria e, abbassando il capo, quasi parlando tra sé: «Io non ho nemmeno il coraggio di pensare al male che hai, ma so che, se te lo tieni dentro, si trasforma in rabbia, che fa ancora più male. Ti senti tradita da Dio, da un dio cattivo o distante se sta permettendo questa morte. Dio? Guarda chi è Dio, guarda dov’è Dio», le disse mostrandole il Crocifisso. «In Cristo abbiamo un Dio con cui possiamo piangere, perché, da una sofferenza che sta uccidendo anche Lui, capisce quel che stiamo passando. Un Dio con cui possiamo sperare, perché, se ci è passato pure Lui, tutto questo deve avere un senso!».
E le tenne semplicemente la mano, accarezzandola. Perché Dio non lo puoi sentire se non ti sta vicino in un cuore che ama.
Se ne andò dolcemente, sofferente ma serena. Serena perché non si era sentita sola.
Non lontano da lì, un’altra morte, innervata da un’identica paura, si stava preparando. Ma alla quale la stessa “fede” stava dando tutt’altra risposta: per salvare l’anima alla strega, pietoso, il giudice aveva consegnato quel corpo, che aveva stretto il patto con Satana, a essere purificato col fuoco2.
1 L’orto in cui si coltivavano le piante medicinali.
2 Da una deviante interpretazione di 1Cor 3, 14-15: ”Se l'opera che uno costruì sul fondamento resisterà, costui ne riceverà una ricompensa; ma se l'opera finirà bruciata, sarà punito: tuttavia egli si salverà, però come attraverso il fuoco”.