8/01/2025

Le lotte simboliche

A volte sembra sia andato in tilt il meccanismo che permette di parlarsi, capirsi, mediare una soluzione. Una situazione già di per sé in tensione si carica e alla fine scoppia. E basta un banalissimo contrasto, la classica “goccia che fa traboccare il vaso”. Vediamone un esempio...

La madre vuole che nella vasca destra del secchiaio vadano messe solo le stoviglie da sciacquare, a sinistra quelle da lavare; la figlia non ci bada, non ci dà peso, per cui spesso le mette dove capita. Risultato: scoppia la terza guerra mondiale!

«Per così poco?» domanderete. Ebbene sì, perché sotto a questi comportamenti loro leggono ben altro.

La madre alla figlia: «Se non fai quel che ti ho chiesto, non mi rispetti; mi sento come se per te non esistessi».

La figlia alla madre: «Arrabbiandoti per questa stupidaggine mi fai sentire meno importante del tuo secchiaio; mi sento come se per te non esistessi».

«La tua è una colpevole trascuratezza!» accusa la madre.

«Le tue sono manie!» rimbecca la figlia.

«Ma smettetela!» ci verrebbe da dire «La relazione tra voi due sarà ben più importante di un secchiaio!». Sì, ma nessuna delle due vuole una relazione in cui si sente calpestata dall’altra. Un tempo si sarebbe detto “Ne va del mio onore!”.

Più tardi, senza rendersi conto del valore simbolico della loro lotta, le due cercano di capirsi: «Dimmi dove ho sbagliato» chiede l’una. E qui comincia l’ “avresti dovuto...” a cui risponde il “ma allora…”; e ciascuna ha le sue ragioni da contrapporre all’altra.

Così non se ne esce. Non se ne può uscire perché nessuna delle due accetta che le ragioni dell’altra siano più forti e difende il suo personale modo di vedere come fosse la Verità.

I “chiarimenti” (che poi spesso invocano a riprova dei ricordi che ciascuna delle due ricorda in modo diverso, per cui subentra anche la rabbia dell’incomprensione) qui non servono a risolvere il problema, perché il problema non è qui. Non è nei fatti, ma nelle aspettative: quel che è successo, se lo so leggere, parla di cosa vorrei essere per te, di cosa vorrei tu fossi per me. Per questo la soluzione non sta in un accordo di come ci si dovrà comportare la prossima volta, ma nel rassicurarci sul legame che ci unisce. Dicendocelo.

E non è facile, ora che ci siamo ferite.

L’impossibile miracolo solo lo può fare la libertà interiore, se in questo momento, entrando nell’assurda saggezza del “porgi l’altra guancia”, decido di tirarmi fuori dal pantano immobilizzante dei miei diritti calpestati, riconosco chi siamo l’una per l’altra e, guardandoti, ti dico: «Ti voglio bene». E alla malora tutto il resto.

Non ci riesco? “Quisque faber fortunae suae” direbbero gli antichi: uno la sua vita se la costruisce con le sue scelte.

E io, che scelta voglio fare?

Per la preghiera: Mt 5, 38-41

Michele Bortignon

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