1 settembre 2023

Il dono della presenza reciproca

Il saluto di una popolazione africana del nord-Transvaal rende tangibile la rassicurazione offerta da ciascuno alla solitudine esistenziale dell’altro: chi saluta per primo dice «Sawu bonà» (io ti vedo) e l’altro gli risponde «Sikhana» (io ci sono). Finché tu non mi vedi io non esisto e solo vedendomi mi fai esistere.

Dunque è esperienza comune che cominciamo ad esistere quando siamo nel cuore di qualcuno, quando Qualcuno o qualcuno ci dice “sei prezioso ai miei occhi, sei degno di stima e io ti amo”. Ma anche, all’opposto, io ti vedo può significare: sento che tu ci sei, per me, con me; so che posso contare su di te.

Questo stesso urlo d’angoscia - «Ho paura! Ci sei, per me, con me?» - attraversa sottilmente e silenziosamente ogni richiesta di aiuto spirituale che ti viene rivolta, ma che attraverso di te cerca Dio come interlocutore. «Non temere: io sono con te» è la risposta d’amore di Dio. Una risposta però che diventa tanto più credibile quanto più vibra attraverso di te in una presenza che esprime coinvolgimento, premura, fiducia, speranza. Una presenza fatta anche di gesti e di sguardi, linguaggio immediato del cuore attraverso il corpo, che ad un altro corpo si comunica suscitando sensazioni che subito si traducono in sentimenti. Oltre le parole, per dire ciò che queste sono impotenti ad esprimere: un amore che è dono di sé. Le mie parole ti danno quel che ho, nel gesto ti dono quel che sono. Ma quel che sono, per essere autentico, dev’essere trasparenza, deve lasciarsi attraversare da quel che IO SONO: il mio gesto diventa allora il luogo in cui Dio stesso si comunica. Ci sono io, ma non sono io. Ci sono con tutto me stesso, ma ti trasmetto qualcosa che è oltre me stesso.

                                                                                                              Michele Bortignon


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