“Ecco la generazione che cerca il tuo volto, Dio di Giacobbe” 7. Ma chi cerca il volto di Dio era rinviato a riconoscerlo nel fratello, vivendo assieme a lui nella pace: “Per i miei fratelli e i miei amici io dirò: «Su di te sia pace!»” 8. E, nella catechesi finale, il sacerdote lo congedava ricordandogli che ogni uomo è un tempio, in cui è presente il Dio che vuole contagiare tutti con la sua santità. Per questo la “Menorah”, la lampada a sette bracci che ardeva nel tempio spandendo luce attorno, tutti avrebbero dovuto vederla accesa in lui, nella libertà, nella gioia e nella serenità che era chiamato a vivere nelle sue relazioni.
Così gli ebrei compivano il loro pellegrinaggio annuale a Gerusalemme. E il loro testimone era stato raccolto dai cristiani, che quello stesso Dio avevano riconosciuto non più mistero e silenzio in un tempio di pietre, ma Parola vivente incarnata in un uomo che in quei luoghi aveva mostrato l’amore che dà vita donando per amore la propria vita.
Che cosa attirava i pellegrini a intraprendere il “santo viaggio”? Per ogni cristiano, con Gesù la Palestina era diventata il luogo di congiunzione tra la terra e il cielo, tra Dio e gli uomini, tra l’eternità e la storia: “Fin dall’eternità le tre Persone divine, vedendo gli uomini che vivono come ciechi rovinando la propria esistenza, stabiliscono che la seconda Persona si faccia uomo per salvare il genere umano; così, giunto il tempo prefissato, inviano l'angelo Gabriele a nostra Signora” 9. In un tempo e in un luogo preciso della storia del mondo, Dio si era incarnato per mostrare in sé, fatto uomo, che cosa è un Uomo.
E, se Gesù Cristo era stato la Parola di Dio rivolta agli uomini, la Palestina era la carta da lettere su cui quella Parola era stata scritta. E su di essa quella Parola ancora poteva essere letta: il tempio di Gerusalemme e il villaggio sperduto tra i campi, l’oliveto ombroso e la strada che attraversa il deserto, l’albero di Fico e l’arbusto del Senape, le acque del lago di Tiberiade e quelle del Giordano, i pastori con le loro greggi e i pescatori che rassettano le reti… tutto ciò era stato sfondo della vita del Cristo e protagonista con Lui degli episodi riportati dalle Scritture. Ora che Gesù era tornato a essere Parola al di fuori del tempo, quelle pietre, quelle piante, quelle acque, i visi e i passi di quelle persone continuavano a rimandarne l’eco di incarnazione, rendendola concreta e tangibile nell’oggi.
Gerusalemme, per il pellegrino Iñigo, costituiva perciò il termine del viaggio, il luogo in cui avrebbe finalmente potuto vivere in colloquio costante e diretto con il suo Signore, interrogando e facendosi raccontare da quelle pietre, da quelle piante, da quelle acque, da quelle persone chi Lui era stato, il vero significato di ciò che Lui aveva detto e operato. Ma, ancora più di questo, lì avrebbe potuto rendersi presente emotivamente e affettivamente a Gesù, mettersi al suo fianco per vedere e toccare quel che Lui aveva visto e toccato.
Lì, infatti, si era sentito personalmente convocato da Cristo, come un amico che per tanto tempo è stato al tuo fianco e che ora ti invita a casa sua, ti accoglie in quei luoghi di cui tante volte ti aveva parlato, per rivelarti ancora meglio qualcosa che per Lui è stato prezioso e importante.
Lì con più competenza avrebbe potuto “procurare il bene delle anime”10 perché, dopo aver ascoltato la Parola di Dio nel luogo stesso in cui essa aveva preso corpo, anche per lui sarebbe stato vero ciò che già avevano detto di sé Pietro e Giovanni: «Non possiamo non parlare delle cose che abbiamo viste e udite»11.
Mendicando per mantenersi e condividendo con altri poveri ciò che aveva raccolto, avrebbe potuto incontrare Cristo nell’amore vissuto. Perché solo se mi metto sulla strada dell’amore posso incontrare l’Amore.
Vivendo in una situazione difficile e pericolosa, com’era la vita in Palestina sotto l’occupazione dei turchi, avrebbe potuto condividere l’angoscia dei discepoli mentre accompagnavano Gesù: “Mentre erano sulla strada per salire a Gerusalemme, Gesù camminava davanti a loro ed essi erano sgomenti; coloro che lo seguivano erano impauriti” 12; e quella di Paolo stesso nel suo ultimo viaggio a Gerusalemme: “Ed ecco, dunque, costretto dallo Spirito, io vado a Gerusalemme, senza sapere ciò che là mi accadrà. So soltanto che lo Spirito Santo, di città in città, mi attesta che mi attendono catene e tribolazioni” 13.
E, come Paolo, avrebbe risposto a chi cercasse di dissuaderlo: «Perché fate così, continuando a piangere e a spezzarmi il cuore? Io sono pronto non soltanto a essere legato, ma anche a morire a Gerusalemme per il nome del Signore Gesù»14.
Ma non furono tanto gli amici, che già aveva lasciato alle spalle quando avevano cercato di opporgli le loro preoccupazioni, a creargli problemi, ma il padre ministro della “Provincia d’Oltremare” dei Frati Minori, che, con il titolo di “Guardiano del Sacro Monte Sion”, aveva giurisdizione sui pellegrini: «Ho saputo del suo fervoroso desiderio di fermarsi in questi luoghi santi, e ho considerato attentamente la cosa» gli disse, «ma già per il passato altri, che avevano avuto lo stesso desiderio, sono stati uccisi o imprigionati. Ritengo pertanto inopportuno che lei rimanga. I luoghi dove ha vissuto Cristo li ha già visitati; si prepari dunque a partire, domani, con gli altri pellegrini».
Ma per Iñigo rimanere non era semplicemente un pio desiderio: era il futuro a cui l’aveva preparato un lungo discernimento. Non poteva retrocedere su ciò a cui sentiva Dio stesso lo stava chiamando: «Mi spiace, ma la mia decisione è irremovibile» ribatté, «e nessun pericolo può trattenermi dal rimanerle fedele».
«Abbiamo ricevuto dalla Sede Apostolica l'autorità di far partire o lasciar restare a nostro giudizio; e anche di scomunicare chi non vuole obbedire. Troppo elevata è la tensione con le autorità mamelucche egiziane che dominano in questi territori; non possiamo permetterci che qualche incidente turbi il fragile equilibrio che ancora ci consente di garantire l’accesso ai pellegrini».
Cosa stava succedendo? Lungo tutto il viaggio che l’aveva condotto a Gerusalemme aveva percepito concretamente la protezione di Dio in tanti episodi in cui aveva potuto superare le difficoltà e i pericoli che gli si presentavano davanti. E, ora che il suo scopo era raggiunto, tutto doveva finire nel nulla? Si era ingannato nell’intraprendere una strada che sembrava così chiara? Poteva lo Spirito Santo contraddirsi nell’ispirare a lui e alla Chiesa due decisioni diverse?
Seppure a malincuore, Iñigo rimise in discussione il proprio discernimento, decidendo di tener conto, in esso, non solo di sé.
Chinò il capo e promise di obbedire.
Ma quel Cristo che, attraverso la Chiesa, lo aveva invitato a ripartire, Iñigo sentì che aveva ancora qualcosa da dirgli a questo riguardo. E proprio in direzione del monte degli Olivi, da cui Gesù era partito per tornare al Padre, il pellegrino Iñigo mosse i suoi passi. Sulla cima, la pietra dalla quale nostro Signore si era distaccato per salire al cielo recava impresse le orme dei suoi piedi.
«Sono le tue orme che io voglio seguire, Signore» pregò Iñigo. «In quale direzione hai mosso i tuoi passi, perché possa camminarti accanto?».
E, nel silenzio del cuore, una Parola cominciò a risuonargli dentro: «Non mi trattenere15… Vi assicuro che per voi è meglio se io me ne vado. Perché se non me ne vado non verrà a voi lo Spirito16».
«Non è dunque qui che posso incontrarti, Signore? Dove mi vuoi? Ho sbagliato a capire ciò che mi chiedevi?».
E, nei pensieri che cominciavano ad aprirsi a un nuovo a cui finora, preso dal suo progetto, non riusciva a dare spazio, si sentì rispondere: «Nulla di ciò che ti chiamo a fare è sbagliato: a volte, semplicemente vuol prendere un’altra direzione rispetto a quella che tu prevedevi. Cerca ancora… Cercami altrove…».
Ancora non era morto in Iñigo lo spirito dell’indomito cavaliere che non può accettare di arrendersi; uno Spirito che ora il suo Signore chiamava a spendersi in ben altre imprese: «Quando tutto sembra giunto a un punto morto, e un muro invalicabile sbarra il tuo cammino» si disse in un lampo di santo orgoglio, «prova a vivere la disgrazia, la difficoltà, il problema come un’occasione nella tua vita perché tutto possa cambiare, per passare dalla croce alla risurrezione. Forse la nuova situazione è una sfida che Dio ti lancia a diventare protagonista con Lui del cambiamento nella tua vita. Raccogli la sua fiducia, guarda in avanti con speranza, spenditi nell’amore: diventa il creatore della tua vita!».
1 Sal 122, 1
2 Sal 122, 4
3 Sal 122, 3
4 Sal 122, 2
5 Sal 24, 3-4
6 Sal 24, 5
7 Sal 24, 6
8 Sal 122, 8
9 EE.SS. nn.102-107
10 Sant’Ignazio di Loyola, Autobiografia, n.45
11 At 4, 20
12 Mc 10, 32
13 At 20, 22-23
14 At 21,13
15 Gv 20, 17
16 Gv 16, 7








