Pasqua: il Signore muore per me, per tutti noi peccatori -dice Paolo (2 Cor 5, 14).
Ma cosa significa che muore per me? Sì, mi piace pensare che qualcuno mi ami a tal punto, ma subito dopo mi prende un senso di colpa: perché qualcuno dovrebbe morire a causa mia? Guardo alle stupidate che ho fatto nella mia vita, ma, anche mettendole tutte assieme, non mi sembrano poi tanto gravi da causare la morte (sia pure metaforica) di qualcuno, tanto meno di Lui! E poi la cosa mi puzza da ricatto affettivo, quasi mi dicesse: «Con tutto quello che ho fatto per te, come potresti essere meno che buonissimo?». No, non è da Gesù.
Nemmeno mi convince la spiegazione dell’espiazione vicaria: afferma che Gesù avrebbe espiato al posto nostro i nostri peccati, lasciando che la giusta ira di Dio si riversasse su di lui anziché su di noi. Così però il Dio di misericordia annunciato da Gesù si trasformerebbe in un freddo ripianatore di conti!
Mi è presa allora la curiosità di chiarire quel che dice Paolo in quel passo della lettera ai Corinti (ma così anche in tante altre parti) e mi sono ritirato fuori il caro vecchio Rocci, il mio vocabolario di greco del liceo. Nel greco antico, si sa, ogni parola assume sfumature diverse a seconda del contesto, per cui in italiano può essere resa con parole diverse. E allora, spulciando tra i vari significati, trovo che quell’ “ὑπὲρ” può essere tradotto anche con “a favore, a difesa, in sostituzione, al posto di noi peccatori”. Sì, già questo mi convince di più, perché mi apre una prospettiva di significato. Traducendo meglio il versetto, “...l'amore del Cristo ci spinge, al pensiero che uno è morto al posto di tutti e lo ha fatto perché tutti eravamo morti”: nelle situazioni difficili, che esigono una scelta per il bene che però ci mette in contrasto con la mentalità del mondo e, conseguentemente, mette in crisi i nostri bisogni di sicurezza, di stima, di affetto, noi ci nascondiamo o voltiamo bandiera, abbandonando l’amore. Rinunciare alla soddisfazione dei nostri bisogni, seppure in vista di un bene più grande, lo sentiamo una morte. La morte ci spaventa e scappiamo. E così viviamo una vita da morti viventi. Ma in Gesù l’Amore rimane fedele alle sue scelte, affrontandone le conseguenze. Lui ce l’ha fatta, Lui è andato fino in fondo, senza paura, Lui la morte l’ha affrontata. Lui sempre va avanti e ci mostra come si fa. Intanto lo fa Lui al posto nostro, perché possiamo poi farlo anche noi.
E l’esito di questa scelta -la risurrezione- mi mostra che è la scelta giusta. Una risurrezione che è un modo di vivere assolutamente diverso da quello di prima, dominato dalla paura e da voglie senza senso che mi vedono al centro del mondo. Paolo parla così di questo nuovo modo di vivere, impregnato della presenza di Gesù: “Ed egli è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risuscitato per loro. Quindi se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove” (2 Cor 5, 15. 17). Nelle angosce che mi fanno agire in maniera disperata, se credo al mio desiderio che Dio mi stia vicino per aiutarmi a superare la paura, Cristo si fa accanto con la sua alla mia croce. E così la mia croce si riempie del ricordo della sua grazia che mi sostiene, cosicché la dolcezza di questa esperienza vince l’amarezza della sofferenza. E tutto è diverso, tutto è nuovo. Posso rimanere nella mia croce perché lì ho incontrato Lui e con Lui posso cercare il modo di renderla esperienza di vita nuova. E anche posso affiancarmi alle croci degli altri perché so che vi incontrerò Lui e lì saremo assieme. Posso decidere di seguirlo in quella che -ora l’abbiamo capito- potremmo chiamare la sua morte vicaria, entrando nelle situazioni dove gli altri non hanno il coraggio di entrare, rimanendo dove gli altri fuggono, in una parola, rinunciando al peccato, che è fuga dalla fatica di rimanere a vivere quel che è giusto vivere e come è giusto viverlo. Nella lettera ai Romani, Paolo lo dice così: “Non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte? Per mezzo del battesimo siamo dunque stati sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova. Se infatti siamo stati completamente uniti a lui con una morte simile alla sua, lo saremo anche con la sua risurrezione. Sappiamo bene che il nostro uomo vecchio è stato crocifisso con lui, perché fosse distrutto il corpo del peccato, e noi non fossimo più schiavi del peccato. Ma se siamo morti con Cristo, crediamo che anche vivremo con lui. Così anche voi consideratevi morti al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesù” (Rm 6, 3-6. 8. 11). Il nostro uomo vecchio, che vuol fuggire dal sacrificio di sé, lo anneghiamo nel battesimo, lo crocifiggiamo con Cristo, ossia lo forziamo in una situazione in cui non vuole entrare, credendo (ed è questa la fede!) che dove pensa di morire troverà invece, come l’ha trovata Cristo, una via per la Vita.
Michele Bortignon