4/01/2020

Perché Gesù è morto in croce?


Sin da bambina mi è stato detto che Gesù è morto in croce per me, per colpa dei miei peccati. Mi è stato detto che è morto per la cattiveria dell’uomo e per espiare le nostre colpe.
Parole pesanti come macigni, parole che mi schiacciavano alimentando il mio senso di colpa, parole che non capivo… e che finora faticavo a capire. Parole verso le quali provo un senso di ribellione a volte violento. Parole alle quali chi cerca di darmi una spiegazione sembra arrampicarsi sugli specchi e non fa che peggiorare la situazione dando risposte vaghe alle mie domande che, invece, pretendono chiarezza e concretezza: “Perché mi dicono che Gesù è morto per me? Che significa “per i nostri peccati”? Perché “anche per colpa mia”?
Ci abbiamo riflettuto, ci abbiamo pregato, ci siamo confrontati e alla fine siamo arrivati a una conclusione che a noi ha fatto bene, aiutandoci a chiarire e a capire certe ‘frasi fatte’ che hanno bisogno di essere ‘aperte e smontate’ per diventare comprensibili. A noi è servito, speriamo di aiutare anche voi a fare chiarezza.

Per cercare di comprendere meglio la morte in croce di Gesù partiamo dall’atto finale: la risurrezione.
Se Gesù è risorto, questo significa che non era un uomo qualunque, non era solo un uomo: ha la stessa natura di Dio, è figlio di Dio, è Dio.
Se ha vinto la morte, se la morte non ha avuto potere su di lui, questo significa che il suo modo di essere, quel che ha detto e fatto è pieno di vita e porta alla Vita.
Perché Dio si è incarnato in Gesù? Appunto per portarci alla Vita, mostrandocene in Sé la strada. Ma la mentalità che ci guida ha già i propri riferimenti (soldi, successo, potere) e schiaccia chi rischia di metterla in crisi. Gesù ci disturba in tutti quelli che ci chiedono di cambiare mentalità per venire incontro ai loro bisogni oltre che ai nostri. Nel rifiutarli, chiudendoci nei nostri interessi, duemila anni fa come oggi il nostro peccato/egoismo uccide Gesù. Ma Dio sa che chiuderci in noi stessi dà frutti di morte, perché l’uomo trova il proprio paradiso non da solo, ma in relazioni belle, profonde, affettuose, stimolanti. Ecco allora che Gesù muore non soltanto per/a causa dei nostri peccati, ma quel “per i nostri peccati” ha anche un senso finale: per farcene uscire, per mostrarci in Sé che aprirci anziché chiuderci alle relazioni –anche se a volte significa lasciar morire il nostro ego- è fonte di una vita più grande, della Vita vera, in pienezza.
Gesù muore per mostrarci una strada per risorgere e tornare a vivere. L’amore, infatti, fa nascere una vita di una qualità tale da renderla indistruttibile; l’amore vince la morte.
Perciò ogni morte accettata per amore porta a una risurrezione; e non può esserci risurrezione senza l’accettazione di una morte per amore.
Anche noi, se amiamo fino in fondo, possiamo risorgere. Dovrò morire al mio io (il mio egoismo, il mio tornaconto, il mio bene prima di tutto) o comunque sarò ucciso da chi, vivendo secondo la logica del mondo, è messo in discussione dal mio modo di vivere, dal mio modo di amare. In ogni caso, il mio morire dà vita a chi amo e dà una prospettiva di vita a chi mi uccide (vede che può esserci una via di uscita diversa al solito modo di fare).

Concludendo, possiamo affermare che Gesù è la Via, la Verità e la Vita (Gv 14,16) perché ci mostra, vivendolo fino in fondo, fino a morirne, che esiste una strada diversa da percorrere per arrivare alla Vita vera. Ci mostra che spesso nel tentativo di costruirci da soli la vita (in una ricerca spasmodica della felicità a tutti i costi, del benessere personale senza guardare in faccia gli altri) andiamo in contro alla morte. Ci addita che vivendo per amore possiamo avere una vita oltre la morte, che i frutti del nostro amare saranno eterni e sopravvivranno a noi. Ci libera dalla paura della morte, perché lui per primo ci ha mostrato come entrarci e come uscirne vincenti, nonostante l’apparente sconfitta. Ci mostra la verità di noi stessi, ci mostra il nostro essere figli di Dio: fatti per la bellezza, per amare, per il bene, per tutto ciò che è bello e buono.

Maria Rosa Brian
Michele Bortignon

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