Non è del silenzio che avvolge la preghiera, creando lo spazio per l’ascolto, che voglio ora parlare, ma di quel silenzio che è mordermi la lingua per vietarmi quella frecciatina che ora sento essere la risposta giusta all’insolenza dell’altro o al suo madornale errore.
Quanti litigi con mia moglie per il mio mettere i puntini sulle i, con rimproveri e brontolamenti, su ogni sua disattenzione o scelta che ritenevo sbagliata! Io mi arrabbio per quel che fa, lei per il mio modo di dirglielo, e via così a rinfacciarci le reciproche mancanze.
Ognuno cerca di ricondurre tutto e tutti al proprio modo di vedere le cose, che gli sembra essere l’unico sensato. Ma ciascuno ha una sua storia, fatta di esperienze magari diversissime, che lo porta appunto a diverse valutazioni, ad attenzioni/disattenzioni selettive, cogliendo della situazione altri aspetti rispetto ai miei.
Quel che sento giusto io non necessariamente corrisponde a quel che sente giusto lui; e quasi sempre non c’è un giusto e uno sbagliato, ma, semplicemente, un approccio diverso alla situazione.
Devo ammetterlo: il comportamento dell’altro non provoca disastri tali da giustificare, da parte mia, una reazione, se non importante, perlomeno molesta; è il fastidio di veder messo a soqquadro il mio ordine mentale a farmi saltare i nervi. A quel paesaggio che vedevo così armonioso vengono aggiunti elementi, altri vengono tolti, altri ancora stravolti. E’ un paesaggio, però, che abitiamo entrambi: logico dunque che entrambi abbiamo il diritto di costruirlo. In questo senso, quelle che sento intrusioni dell’altro diventano suoi apporti creativi. A volte, dopo averne valutato gli effetti, potrò sentirmene piacevolmente sorpreso; a volte rimarranno spine nel fianco, piantate a torturarmi… ma anche a farmi crescere in capacità di adattarmi creativamente alle difficoltà. Tutto allenamento per ben più impegnative battaglie.
E allora… quando parlare e quando tacere? Forse dovrei chiedermi: quella che voglio dire è una parola che può rendere il mondo più vivibile? O, per dirla con il Buddha, “Prima di parlare chiediti se ciò che dirai corrisponde a verità, se non provoca male a qualcuno, se è utile e, infine, se vale la pena di turbare il silenzio per ciò che vuoi dire”.
Certo, al momento, sfogarsi può sembrare liberante, giusto, addirittura educativo verso l’altro, ma forse dovrei imparare a reagire pensando a che cosa voglio creare con questa mia reazione, prevedendo realisticamente cosa succederà.
Non è forse a questo che mirava la preghiera di Gesù quando si ritirava sul monte da solo col Padre?
Michele Bortignon
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