Riprendo il tema della necessità
del silenzio per evitare i conflitti, mettendomi ora però dalla parte di chi
viene attaccato.
A volte mi trovo in situazioni in
cui proprio non capisco il comportamento dell’altro: sembra provare gusto a
ferirmi, mi attacca senza una ragione, mi tratta con sufficienza o con
insofferenza, nutre su di me delle pretese che non capisco, non accetto e si
arrabbia se non le soddisfo.
E’ facile che qui nasca la
tentazione del “bravo bambino”: forse è colpa mia, avrò sbagliato qualcosa;
devo capirlo e andargli incontro, sennò che cristiano sono?
Ma il mio buonismo rischia di
confermare l’altro nelle sue pretese ragioni, che cercherà di imporre ad altri
ancora. E’ questo che voglio? E’ così che, da cristiano, mi prendo carico della
situazione?
Posso capirlo, questo sì; e certo
è il primo passo da fare: il suo prendersela con me forse è influenzato da
problemi che lo rendono teso, da stanchezza, da qualche malessere fisico; forse
è frutto di un fraintendimento; forse è una reazione condizionata da ferite del
passato o da indottrinamenti che ne hanno limitato lo sguardo… insomma, deriva
da una sua situazione, con cui io non ho nulla a che fare; è un problema suo,
non mio.
Come posso allora reagire a
questi tentativi di sopraffazione?
Bisogna innanzitutto tener
presente che, nella sua fase di attacco, l’altro è emotivamente alterato.
Forse, più tardi, passato questo momento, potrà anche essere ricettivo a un
ragionamento che fondi un diverso modo di vivere la relazione tra noi due. Ora
no. Una mia reazione farebbe solo scoppiare l’ennesimo litigio. Meglio farmi
scivolare addosso quel che l’altro mi sta facendo e dicendo. Proprio come aveva
fatto la prostituta in casa di Simone Fariseo. Ricordiamo l’episodio (Lc 7, 36-50):
lei ha appena ascoltato dalle labbra di Gesù un messaggio nuovo e inaspettato:
Dio l’ha mandato non per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi
attraverso di lui. Si è sentita come se qualcuno le avesse aperto le finestre
di un cuore che stava per soffocare. E ora sa che Gesù è il luogo in cui può
respirare speranza, può ricominciare a sentirsi viva. Se già ascoltarlo da
lontano l’ha risuscitata, cosa potrà essere accoccolarglisi ai piedi, trovare
casa, forse, nel suo abbraccio? La decisione è presa. Ma, per incontrare Gesù,
deve entrare nella casa del fariseo dove lui ora si trova. Lo sguardo e le
parole dei commensali rinnovano il giudizio che ogni giorno, fino ad ora, l’ha
fatta sentire uno sbaglio, un disastro, un nulla.
Quegli sguardi, quelle parole
anche adesso la trafiggono, cercano di spingerla via, lontano. Come non
avvertire la forza di questo respingimento? Ma ora è diverso: se lo lascia
scivolare addosso. Nel desiderio, e un attimo dopo nella realtà, lei è con
Gesù.
Ha lasciato che il male passasse
oltre, senza prestargli attenzione, senza reagire. Che importa? Lei vuole
essere con Gesù, lei è con Gesù.
Come ha fatto lei, quando l’altro mi attacca per problemi suoi, non è il caso di reagire. La ragione non riesce a farsi intendere dall’emotività, e, subito, perde le staffe per diventare emotiva a sua volta.
Più tardi, sì… forse…
La rabbia mi suggerisce: «Dai,
fagli vedere chi è il più forte, chi ha ragione… Reagisci, non farti
sottomettere. Difenditi! Attacca!».
E’ mai servito a qualcosa, se non
a esasperare il conflitto? Quando infuria la tempesta, c’è un angolino di sole
dentro di me dove posso ripararmi… e non da solo.
Aspetto al riparo. Aspetto con
Lui.
Più tardi, sì… forse… dopo aver
capito che il nemico non sei tu, ma ciò che lavora dentro di te oscurandoti il
sole dentro.
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