3/30/2022

Io posso fermare la guerra !

 

Ci si può rallegrare in questa guerra? E’ possibile che il “Kaire!” faccia risuonare diversamente il rombo dei cannoni? Eppure, fatti gli opportuni distinguo, è questo che mi sta succedendo...

La guerra mi sta mettendo in crisi come uno schiaffo che mi scrolla da un sonno in cui avevo affogato ciò che non mi andava di vedere. E il “Rallegrati!” è come dire “Accorgiti, renditi conto ed esci da questa situazione. Rallegrati perché è ora di venirne fuori”.

Quale situazione? Quella delle mie guerre.

Quante guerre ho impiantate attorno a me? Quante persone ucciderei se potessi? (Magari no, ma se sparissero non mi dispiacerebbe).

Ecco allora che questa guerra agisce come una lente d’ingrandimento sulle mie guerre personali. Intanto mi mostra che in guerra ci sono anch’io (è inutile che me lo nasconda e mi stupisca di chi sta sparando se poi lo faccio anch’io) e poi mi mostra a cosa porta una guerra, a quali sofferenze, a quali mostruosità conduce. Anche le mie guerre hanno delle conseguenze, anche se non voglio vederle, anche se non le ammetto e so solo denunciare l’ingiustizia che mi viene fatta.

Il problema è che ci facciamo guerra perché ogni contendente ha ragione e vuole uscirne vincitore. Fintantoché il mio obiettivo è mostrarti che le mie ragioni sono più forti delle tue, non ne verremo mai fuori, perché tu farai altrettanto.

Andremo avanti finché io non mi renderò conto che non è star bene da solo che può soddisfarmi. Finché non troviamo un modo per stare bene assieme, stiamo costruendo un fallimento per entrambi.

Costruire la pace è trovare questo star bene assieme, non l’uno a scapito dell’altro, non l’uno senza l’altro. Ma questo passa dal rinunciare a quello che mi ero immaginato di poter essere. E’ doloroso, fa rabbia, risulta pesante, perché in questo mio essere con te non posso entrarci con quel che voglio essere, ma con quel che di me è compatibile con questa nuova realtà. Ed è ancor più doloroso, fa ancora più rabbia, risulta ancora più pesante perché tu non cambi: tu il problema non lo vedi o non ti fa problema. E così il cambiamento che dovrebbe farci star meglio assieme è tutto a mio carico. Ma ci sei e sei così come sei; e probabilmente non sarai mai come vorrei che tu fossi. E così, se voglio che qualcosa cambi (non in te, ma fra noi), io sono l’unica risorsa a disposizione. Tacendo, aspettando, cercando di capire, trovando una mediazione.

La guerra tra Russia e Ucraina mi spaventa e per essa spero e invoco la pace. Ma la pace non basta sperarla, non basta invocarla. La pace posso costruirla qui, concretamente, all’interno delle mie guerre.

Intanto comincio io. E lo spirito della guerra avrà un respiro in meno per continuare a sopravvivere.

                                                                        Michele Bortignon

Ascolta il testo


3/01/2022

Fede e bene comune

 

Se uso il carrello al supermercato, dovrebbe essere ovvio che poi lo ripongo al suo posto. Se non posso più esserci alla visita che ho prenotato, dovrebbe essere ovvio che avviso per disdirla. Invece, a quanto sembra, non è proprio così ovvio: per farci capire che i carrelli vanno riposti, hanno dovuto inventare il deposito con i soldi e se non disdico, devo pagare ugualmente la prestazione; anzi, a costo intero. Ho voluto partire da queste ovvietà, che dovrebbero essere parte di noi, del nostro senso civico, per cercare di capire dove siamo finiti. Il tanto decantato bene comune non è anche semplicemente riporre il carrello al suo posto perché chi verrà dopo di me lo trovi pronto? O perdere cinque minuti per disdire una visita in modo da lasciare il posto a chi ne ha bisogno, non è attenzione all'altro? 

Invece hanno dovuto obbligarci con cauzioni e sanzioni perché c’è chi non ci bada e fa quel che gli è più comodo. Tutta una serie di comportamenti che dovrebbero essere logici, naturali per chi ha un minimo di senso civico e attenzione al prossimo, hanno dovuto essere imposti con regole, con leggi.

Non ultime tutte quelle relative al Covid: se devo stare in isolamento perché non lo faccio? Se potrei essere contagioso perché non sto attento? Se potrei averti contagiato perché non ti avviso? Se potrei essere stato contagiato perché non faccio il tampone? Perché viviamo tutti questi atteggiamenti preventivi come imposizioni e non come attenzione e cura verso l’altro? Non voglio entrare in merito al fatto che siano tutte regole giuste, sbagliate, esagerate o inutili, ecc… Voglio capire perché il bene comune, ossia ciò che limita la mia libertà per la tua libertà e per la tua sicurezza, lo vedo solo come minaccia alla mia libertà. Vorrei capire perché siamo arrivati a guardarci il nostro ombelico e a coltivare il nostro orticello invece di guardarci negli occhi e coltivare l’Eden comune. Vorrei capire perché, soprattutto nel web, ogni affermazione -qualsiasi affermazione- diventa scontro e non incontro.

San Paolo parla della Comunità cristiana come di un unico corpo composto da tante membra, dove se un membro soffre, soffre tutto il corpo e se un membro è nella gioia tutto il corpo è nella gioia (1Cor 12,12-31).Da quando abbiamo smesso di considerarci corpo?

A mio avviso quando abbiamo dimenticato due parole: fiducia e sacrificio.

La fiducia. Il primo a fidarsi dell’uomo è stato Dio: ha dato all'uomo il potere di scegliere un nome per ogni animale che Lui aveva creato (Gen 2,19) e ha posto la creazione nelle sue mani.

Ci si abitua da piccoli ad aver fiducia: ci si fida dei genitori, dei fratelli, degli insegnanti e degli educatori. Crescendo e diventati adulti, ci fidiamo del coniuge, dei colleghi, degli amici; ci fidiamo di chi decidiamo ci rappresenti al governo o nel consiglio pastorale piuttosto che nel circolo di quartiere o nell'associazione a cui apparteniamo.

La nostra giornata è piena di fiducia nell'altro: mi fido che tu mi dai la precedenza e ti fermi allo stop, ad esempio. Se voglio vivere in una società complessa mi devo fidare del lavoro dell’altro e della capacità dell’altro di conoscere e rispettare le regole. Mi devo fidare in tutti gli ambiti dal più semplice -che il meccanico mi ha veramente controllato l’olio- al più complesso -che il chirurgo che mi opererà sa fare il suo lavoro.

Mi fido dell’altro perché principalmente mi fido di me stesso e so che l’altro si comporterebbe come mi comporterei io al suo posto: con professionalità, competenza, onestà e umanità.

Mi fido dell’altro perché in lui mi specchio e in lui vedo una parte di me. L’altro non mi sta di fronte contrapponendosi a me, ma, dandomi la possibilità di confrontarmi con uno simile a me, ma diverso da me, mi dà la possibilità di crescere. La fiducia nell'altro è anche fiducia in Dio, perché è attraverso l’altro, attraverso un corpo, che Dio si manifesta al mondo. Dio si fa carne e in Spirito abita ogni corpo: si manifesta a me attraverso l’altro da me.

Il sacrificio. Se riconosco l’altro come parte di un noi di cui anch'io faccio parte, non posso non entrare in empatia con lui, non posso non interessarmi a lui. Capisco perciò che le mie scelte non sono legate solo al mio stare bene o al benessere del mio gruppo familiare o di amici -già questo sarebbe un “noi”-, ma esiste un noi più grande. Questo “noi più grande” possiamo chiamarlo “casa” ed è il mondo e dobbiamo considerarci, come dice Papa Francesco “tutti sulla stessa barca” e avere la consapevolezza che “nessuno si salva da solo”.

Questo interessarmi all'altro implica dover rinunciare a un po’ di me: del mio tempo, delle mie energie, dei miei beni…; lo faccio, rinuncio a qualcosa, me ne occupo, perché il vantaggio comune è vantaggio anche per me ed è vantaggio per tutti. E’ questo il sacrificio: rinuncio a un mio benessere e tornaconto personale per un bene comune più grande del quale, forse, io non vedrò e non godrò nemmeno il risultato. Sacrificio: parola desueta, fuori moda, che sa di vecchio. Eppure, motivo in più se ci consideriamo cristiani, seguaci di Cristo: non possiamo dimenticare che la strada che ci ha additato è quella della croce, del saperci sacrificare per amore dell’altro, perché l’io autentico è comunitario, non isolato. L’uomo è un animale sociale che per vivere ha bisogno dell’altro, di un reciproco prendersi cura; ha bisogno di sapere che è amato e di avere qualcuno da amare e ogni gesto di amore porta in sé la gioia della rinuncia per l’altro e per un bene più grande, per un ideale di amore che si concretizza in azioni.

Fiducia nell'altro e sacrificio per l’altro: due parole che, a mio avviso, tracciano la via verso la possibilità di ricominciare a vivere come donne e uomini nuovi aperti a un futuro certo non facile, ma di speranza.

 

Maria  Rosa Brian

Ascolta il testo