12/24/2022
12/18/2022
Felix qui potuit rerum cognoscere causas
Felix, qui potuit rerum cognoscere causas,
atque metus omnes et inexorabile fatum
subiecit pedibus strepitumque Acherontis avari.
Frutto di una notte insonne, condivido con voi qualche considerazione sul secondo canto delle Georgiche di Virgilio, versi di una bellezza e di una profondità ineguagliabili.
“Felix, qui potuit rerum cognoscere causas”,
Felice chi è riuscito a conoscere le cause di ciò che gli succede
“atque”. Bellissimo questo “atque”: non è un semplice “et” che giustappone quello che fa poi questo “felix”, ma si può tradurre “e proprio per questo”. Ciò che adesso egli fa, può farlo perché ha capito perché gli succede quel che sta vivendo.
E che cosa fa? “Ha messo sotto i piedi tutte le sue paure, il fato inesorabile e lo strepito della morte che vuole ghermirlo”.
Cosa sono “il fato inesorabile e lo strepito della morte che vuole ghermirlo” se non un’immagine poetica di ciò che non possiamo controllare e quindi delle nostre ansie?
Dunque, semplificando:
Felice chi è riuscito a conoscere le cause di ciò che gli succede e, proprio per questo, ha sottomesso le proprie paure e le proprie ansie.
Già, ma come sottometterle? Penso che una proposta concreta potrebbe essere quella di farsele alleate, ossia non aver paura della paura, ma frequentarla, parlarci assieme, comprenderne le ragioni pur senza esitare a riportarle nelle giuste dimensioni.
Dunque, altra traduzione, più libera: “Felice chi non ha paura delle proprie paure, ma se le fa alleate, facendosi spiegare da loro cosa gli sta succedendo”.
Manca però un passaggio perché tutto questo sia possibile: la tranquillità dell’animo. Se non sei pacificato dentro, le situazioni continueranno a far leva sulla tua insicurezza per terrorizzarti, dicendoti che «non si sa mai...» e che «sicuramente capiterà il peggio». E’ così che nascono le paure.
E qui bisogna tornare ai versi precedenti.
O fortunatos nimium, sua si bona norint,
agricolas! Quibus ipsa procul discordibus armis
fundit humo facilem victum iustissima tellus.
Fortunato chi coltiva i campi!
La terra gli dona ciò di cui ha bisogno
e, soprattutto, lo stacca dalle preoccupazioni del mondo.
Virgilio assume l’agricoltore come simbolo della persona pacificata, in equilibrio con se stessa perché possiede ciò di cui abbisogna e, se se ne rende conto (“sua si bona norint”), ne è contenta e non cerca altro.
Se è soddisfatta di ciò che ha a sua disposizione, e sente che c’è una Provvidenza (qui la “iustissima tellus”) che le dà i mezzi per provvedersene o per accogliere come sfida la sua mancanza, non ha più paura di non ottenere quel che non ha o che le venga a mancare quel che ha.
Si non ingentem foribus domus alta superbis
mane salutantum totis vomit aedibus undam,
nec varios inhiant pulchra testudine postes
illusasque auro vestes Ephyreiaque aera,
alba neque Assyrio fucatur lana veneno,
nec casia liquidi corrumpitur usus olivi;
Traduco liberamente, attualizzando:
Questa persona non cerca i like dei followers,
non ha bisogno di vestirsi firmato per farsi guardare
né di esibire una vita sopra le righe
né di tenersi su a forza di eccitanti.
La sua passione diventa non procurarsi beni, piaceri, visibilità, ma gustare quanto le viene dato.
at secura quies et nescia fallere vita,
dives opum variarum, at latis otia fundis
speluncae vivique lacus et frigida Tempe
mugitusque boum mollesque sub arbore somni
non absunt; illic saltus ac lustra ferarum.
Ella gusta una tranquillità operosa, una vita genuina;
a piene mani ne raccoglie i frutti
ma sa anche trovare riposo all’aria aperta:
sui monti attorno,
rupi, laghi e fresche valli,
dove riposare all’ombra di un albero
mentre il bove alza il suo muggito
e tra gli alberi si aggirano, timide, le bestie selvatiche.
Ecco allora che, pacificata interiormente, è pronta a vivere nella dimensione di cui parlavamo poco fa: parlare senza paura alle sue paure e ridere in faccia alle sue ansie.
Michele Bortignon
12/01/2022
Il “dovere” della gioia
Tutti, penso, ci siamo trovati in situazioni in cui proprio non siamo riusciti a capirci con chi ci stava davanti, con conseguenti litigi, musi lunghi, sensazione che tutto sia finito senza nessuna possibile soluzione.
Cessata la rabbia (e abbiamo visto che non ci portava da nessuna parte, se non a peggiorare la situazione) siamo stati presi da una sorta di depressione, senza più alcuna voglia di fare, mentre una nebbia ci isolava in noi stessi come se attorno tutto fosse sparito. In questa condizione, il futuro ci viene rubato e il presente è un brancolare senza direzione.
Cosa facciamo? Restiamo così e incolpiamo gli altri di aver creato questa situazione? Aspettiamo siano loro a darsi da fare per risolverla? Anche no! Ricordiamoci che noi siamo l’unica risorsa a nostra disposizione per cambiare le cose. Qualsiasi cosa possiamo pensare, prima però dobbiamo lavorare sulla motivazione per farlo, e, ancor prima, sul clima interiore che permette a una motivazione di esserci: se non sono contento della vita, perché mai dovrei impegnarmi per migliorarla? Tanto vale lasciarla andare dove vuole!
E’ qui che si inserisce l’invito alla gioia dell’ottava beatitudine del Vangelo (“Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli". Mt 5,11-12): quando le cose vanno di al contrario, tu rallegrati e salta di gioia, la mente e il corpo impegnati a dire che quel che ti sta succedendo è Super, è da WOW! Una reazione da svitati? Ma forse una reazione di fede, una fede assoluta nella promessa che “tutto concorre al bene di coloro che amano Dio” (Rm 8, 28).
Rallegrarmi è un atto di una fiducia così assurda che non può che mettere in moto l’impossibile di Dio: «Caro Dio, o ci sei o non ci sei; e, se ci sei, dovrai tener fede alla tua promessa di dare un senso a ciò che sto vivendo». Eccomi allora entrare in un’attesa attiva: come dice sant’Ignazio, agisco come se tutto dipendesse da me, ma chiamando Dio al mio fianco, con un’invocazione di speranza e di fiducia che lo chiama a essere co-autore di questa svolta nella mia vita. Come risponde Dio? A sua volta rivestendomi di speranza e di fiducia per rendermi co-autore di quel bene che spero. Come? Comincio intanto io a vivere questa situazione come se il bene che spero si fosse già realizzato ("Per questo vi dico: tutto quello che domandate nella preghiera, abbiate fede di averlo ottenuto e vi sarà accordato". Mc 11, 24). Se il futuro che spero è fatto di armonia, di collaborazione, di premura, comincio io a vivere con l’altro questi atteggiamenti. E, poiché la realtà funziona secondo la legge dello specchio, che ti restituisce quello che gli dai, è possibile che qualcosa di buono accada davvero.
Difficile questa prospettiva? Molto, perché anti istintiva. Ma quando abbiamo esaurito tutte le risorse che il nostro buon senso può offrirci e ci troviamo a sbattere la testa contro un muro di gomma, può valere la pena di provare anche questa strada… che magari ci porterà da tutt’altra parte: la fantasia di Dio sa sempre stupirci!
Michele Bortignon