12/18/2022

Felix qui potuit rerum cognoscere causas

Felix, qui potuit rerum cognoscere causas,

atque metus omnes et inexorabile fatum

subiecit pedibus strepitumque Acherontis avari.


Frutto di una notte insonne, condivido con voi qualche considerazione sul secondo canto delle Georgiche di Virgilio, versi di una bellezza e di una profondità ineguagliabili.

Felix, qui potuit rerum cognoscere causas”,

Felice chi è riuscito a conoscere le cause di ciò che gli succede

atque”. Bellissimo questo “atque”: non è un semplice “et” che giustappone quello che fa poi questo “felix”, ma si può tradurre “e proprio per questo”. Ciò che adesso egli fa, può farlo perché ha capito perché gli succede quel che sta vivendo.

E che cosa fa? “Ha messo sotto i piedi tutte le sue paure, il fato inesorabile e lo strepito della morte che vuole ghermirlo”.

Cosa sono “il fato inesorabile e lo strepito della morte che vuole ghermirlo” se non un’immagine poetica di ciò che non possiamo controllare e quindi delle nostre ansie?

Dunque, semplificando:

Felice chi è riuscito a conoscere le cause di ciò che gli succede e, proprio per questo, ha sottomesso le proprie paure e le proprie ansie.

Già, ma come sottometterle? Penso che una proposta concreta potrebbe essere quella di farsele alleate, ossia non aver paura della paura, ma frequentarla, parlarci assieme, comprenderne le ragioni pur senza esitare a riportarle nelle giuste dimensioni.

Dunque, altra traduzione, più libera: “Felice chi non ha paura delle proprie paure, ma se le fa alleate, facendosi spiegare da loro cosa gli sta succedendo”.

Manca però un passaggio perché tutto questo sia possibile: la tranquillità dell’animo. Se non sei pacificato dentro, le situazioni continueranno a far leva sulla tua insicurezza per terrorizzarti, dicendoti che «non si sa mai...» e che «sicuramente capiterà il peggio». E’ così che nascono le paure.

E qui bisogna tornare ai versi precedenti.

O fortunatos nimium, sua si bona norint,

agricolas! Quibus ipsa procul discordibus armis

fundit humo facilem victum iustissima tellus.

Fortunato chi coltiva i campi!

La terra gli dona ciò di cui ha bisogno

e, soprattutto, lo stacca dalle preoccupazioni del mondo.

Virgilio assume l’agricoltore come simbolo della persona pacificata, in equilibrio con se stessa perché possiede ciò di cui abbisogna e, se se ne rende conto (“sua si bona norint”), ne è contenta e non cerca altro.

Se è soddisfatta di ciò che ha a sua disposizione, e sente che c’è una Provvidenza (qui la “iustissima tellus”) che le dà i mezzi per provvedersene o per accogliere come sfida la sua mancanza, non ha più paura di non ottenere quel che non ha o che le venga a mancare quel che ha.

Si non ingentem foribus domus alta superbis

mane salutantum totis vomit aedibus undam,

nec varios inhiant pulchra testudine postes

illusasque auro vestes Ephyreiaque aera,

alba neque Assyrio fucatur lana veneno,

nec casia liquidi corrumpitur usus olivi;

Traduco liberamente, attualizzando:

Questa persona non cerca i like dei followers,

non ha bisogno di vestirsi firmato per farsi guardare

né di esibire una vita sopra le righe

né di tenersi su a forza di eccitanti.

La sua passione diventa non procurarsi beni, piaceri, visibilità, ma gustare quanto le viene dato.

at secura quies et nescia fallere vita,

dives opum variarum, at latis otia fundis

speluncae vivique lacus et frigida Tempe

mugitusque boum mollesque sub arbore somni

non absunt; illic saltus ac lustra ferarum.

Ella gusta una tranquillità operosa, una vita genuina;

a piene mani ne raccoglie i frutti

ma sa anche trovare riposo all’aria aperta:

sui monti attorno,

rupi, laghi e fresche valli,

dove riposare all’ombra di un albero

mentre il bove alza il suo muggito

e tra gli alberi si aggirano, timide, le bestie selvatiche.

Ecco allora che, pacificata interiormente, è pronta a vivere nella dimensione di cui parlavamo poco fa: parlare senza paura alle sue paure e ridere in faccia alle sue ansie.


Michele Bortignon


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