2/01/2025

«Proteggimi o Dio!». Sì, ma in che modo?

Mi è capitato di vedere una persona che distribuiva medagliette miracolose della Madonna, assicurandone la protezione. Ho provato un senso di ripulsa e mi sono chiesto: davvero è protezione chiedere un riparo da tutto ciò che ho paura succeda?

No, è una mancanza di fede: le situazioni della vita mi sono date come occasioni per imparare dalla vita che cos’è la vita e come viverla. Per quanto difficili e dolorose, se le evito resterò un immaturo. Come altrimenti interpretare l’ultima delle beatitudini? “Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli” (Mt 5, 11-12). La mia ricompensa è appunto questa: cominciare a vedere le cose dai cieli, da un altro punto di vista, nel loro senso profondo. E questo mi permetterà di capire come viverle.

San Paolo riprende questo “rallegratevi” nella lettera ai Filippesi: “Rallegratevi nel Signore, sempre; ve lo ripeto ancora, rallegratevi. Il Signore è vicino! Non angustiatevi per nulla, ma in ogni necessità esponete a Dio le vostre richieste, con preghiere, suppliche e ringraziamenti; e la pace di Dio, che sorpassa ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e i vostri pensieri in Cristo Gesù“ (Fil 4, 4-7). Con quel “sempre”, suggerisce che anche le difficoltà sono il luogo in cui vivere questo rallegrarsi. Ma perché rallegrarsi? “Il Signore è vicino!”; e se è vicino posso sfogarmi con Lui, esporgli le mie preoccupazioni, dirgli il mio dolore, chiedere ciò di cui ho bisogno. E’ giusto: con un amico si fa così! Ma un amico vero non mi protegge dalla vita: sa che la pace sono io a dovermela conquistare vivendo questa situazione in modo nuovo, mettendo da parte ciò che la mia intelligenza, segnata da esperienze che la fanno reagire istintivamente, ora mi suggerisce. In Cristo Gesù, Dio, come un amico vero, semplicemente mi ascolta e custodisce i miei sentimenti e i miei pensieri: in Lui posso lasciarli decantare fino al momento in cui possano trovare la loro verità accordandosi con i suoi. Come non pensare a Maria che “da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore” (Lc 2, 19)?

Questo silenzio, questa attesa è lo spazio in cui agisce lo Spirito Santo: il modo di essere, di pensare, di agire di Gesù, che vuole farsi carne in me, vuol farsi persona che agisce attraverso di me. E’ questo il dono che mi fa l’intimità di vita con Dio.

E lo Spirito Santo, il consolatore (Gv 14, 16), è anche il modo in cui Dio mi si fa vicino, mi con-sola, sta con me quando la tribolazione, l’afflizione mi fanno sentire solo. E lo fa mettendo a frutto la mia sofferenza per un bene che è di tutti, quando accosto la mia all’altrui sofferenza: “Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione, il quale ci consola in ogni nostra tribolazione perché possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in qualsiasi genere di afflizione con la consolazione con cui siamo consolati noi stessi da Dio. Infatti, come abbondano le sofferenze di Cristo in noi, così, per mezzo di Cristo, abbonda anche la nostra consolazione. Quando siamo tribolati, è per la vostra consolazione e salvezza; quando siamo confortati, è per la vostra consolazione, la quale si dimostra nel sopportare con forza le medesime sofferenze che anche noi sopportiamo” (2 Cor 1, 3-6). “Sempre infatti, noi che siamo vivi, veniamo esposti alla morte a causa di Gesù, perché anche la vita di Gesù sia manifesta nella nostra carne mortale. Di modo che in noi opera la morte, ma in voi la vita. Per questo non ci scoraggiamo, ma se anche il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore si rinnova di giorno in giorno” (2 Cor 4, 11-12.16). Dio “risorge” la mia sofferenza facendola servire a un bene più grande, a un bene comune. La sofferenza è esperienza di tutti, ma non è un destino malvagio! Come abbiamo detto all’inizio, può essere letta come occasione di maturazione, se qualcuno ci accompagna sulla strada per viverla come tale. Quante volte mi è capitato di poter aiutare persone in difficoltà perché io quelle stesse difficoltà le avevo già vissute e superate! E’ questo il Regno di Dio: una società in cui ci si prende cura gli uni degli altri nelle difficoltà, e queste difficoltà diventano il trampolino di lancio per creare un modo di viverle in maniera più solidale e umana.

Vorrei concludere in leggerezza rileggendo questi stessi concetti nella vicenda degli Acharai, raccontata da Michael Ende nel romanzo “La storia infinita”. Gli Acharai sono dei vermi di orribile aspetto che abitano in oscure caverne al di sotto della città di Amarganta. Angosciati per la loro bruttezza, la piangono in lacrime con cui sciolgono dalla roccia l’argento per costruire le torri della città, intessute in finissima filigrana di meraviglioso aspetto. Bastiano, che nella storia di Fantasia vuole essere ricordato per la sua bontà e il suo altruismo, li trasforma in farfalle: «Dovete diventare allegri e variopinti e non fare altro che ridere e divertirvi. Da domani in poi non vi chiamerete più Acharai, i Perpetui Piangenti, ma Uzzolini, i Sempre Ridenti». Molto tempo dopo, lo sciame degli Uzzolini gli turbina attorno schiamazzando «Grande benefattore! Grande benefattore! Ti ricordi del giorno in cui ci hai liberato, quando eravamo ancora gli Acharai? Allora eravamo le creature più infelici di tutta Fantasia, ma adesso siamo stufi di noi stessi! Ciò che hai fatto di noi all’inizio era piuttosto divertente, ma ora ci annoiamo a morte! Continuiamo a ballonzolare attorno e non abbiamo alcun punto di riferimento. Non siamo neppure in grado di fare un vero gioco, perché ci mancano le regole. Bello scherzo ci ha fatto la tua liberazione, gran benefattore! Ci hai imbrogliato, ci hai fatto diventare soltanto dei ridicoli pagliacci!». «Ma che cosa posso fare?» domandò il ragazzo «Che volete ora da me?». «Devi ritrasformarci» risposero quelle stridule vocette petulanti «Il lago delle lacrime si è disseccato e nessuno tesse più quelle finissime filigrane. Vogliamo tornare a essere gli Acharai!».

Forse dovremmo fare tesoro delle parole che vengono dette ad Atreiu quando gli viene affidata la missione di salvare Fantàsia: «Devi lasciare che accada tutto ciò che deve accadere. Tu devi soltanto cercare e domandare, ma mai sentenziare secondo il tuo giudizio. Non dimenticartelo mai, Atreiu!».

Michele Bortignon







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