6/19/2014

Il non-verbale nell’accompagnamento spirituale

Che cosa trasmette l’accompagnatore a chi accompagna spiritualmente? Sapere o sapore? Nozioni o azioni? Conoscenze o esperienze?
Sono qui e cerco i pensieri, che poi diventeranno parole, per questo articolo che mi è stato richiesto da chi a sua volta mi ha accompagnato spiritualmente e tuttora lo fa.
E nel mio cercare mi lascio guardare e suggerire sia dalla mia esperienza di “accompagnata”, sia da quella, seppur breve, di accompagnatrice, ma soprattutto dall’icona del Cristo di Rublev. 

Ecco, è proprio da questa icona che voglio partire per parlare del non-verbale nell’accompagnamento spirituale. Perché il non-verbale è fatto di non-parole fatte di sguardi e di gesti, non-parole che sono testimonianza di vita vissuta. Chi, meglio di un’icona, che si legge guardandola e si guarda leggendola, può dire qualcosa?
Accompagnare è guardare amorevolmente chi accompagni e lasciarsi guardare da chi accompagni. È ciò che fa questo Cristo: ti guarda e ti ama mentre tu lo guardi e lo/ti interroghi.
Lo sguardo di chi accompagni all’inizio è titubante, curioso, indagatore. È lo stesso che avevo io nei confronti di questo volto di Dio: «Ma chi sei? Ma che cosa hai da dirmi tu della mia vita, della mia storia? Ma che cos’ho io da spartire con Te?» questo gli chiedevo.
Volevo capire che cosa muoveva il mio accompagnatore a dire ciò che diceva e soprattutto se viveva ciò che diceva; e allora lo studiavo, lo mettevo quasi alla prova: volevo carpirne il segreto.
Lo stesso è per questo volto di Cristo, così sereno, composto, solenne e nello stesso tempo umile perché è stato per lungo tempo a contatto con l’humus, con la terra, con l’umanità di ognuno di noi1.
Poi, quando ti rilassi, ti accorgi che a muovere chi ti accompagna è un Amore che ha trovato, o, meglio, è l’Amore che ha trovato lui, l’accompagnatore: è questo il suo segreto, che strada facendo ti svela e ti rivela.
È Dio che ha trovato me, è questo volto che mi ha raggiunta nelle mie profondità, si è avvicinato a me ed è sceso sino a incontrarmi.
Ecco, penso che il non-verbale aiuti a sottolineare proprio questo: che l’Amore ci raggiunge e ci trova se ci arrendiamo e smettiamo di scappare e ci lasciamo abbracciare. È la serenità di questa certezza che parla di te accompagnatore agli altri più di mille erudite parole, importanti certamente, ma non da sole.
L’accompagnatore è questo: mostrare che questo incontro è possibile, perché è quello che nella sua vita è successo. Egli diventa testimone credibile quando quello che dice non sono solo belle frasi imparate, ma vita vissuta: “Te lo dico perché l’ho sperimentato..., nella mia vita è avvenuto così…, ti capisco perché l’ho passato anche io…” sono affermazioni che sottolineano e rafforzano una vicinanza tra accompagnatore ed esercitante, è una strada fatta insieme e nota a lui perché l’ha già percorsa.
È questo ciò di cui si ha bisogno: di un annuncio gioioso e credibile perché sperimentato; non è questo il significato del Vangelo? E che cosa c’è di più credibile di chi nella propria vita per primo ha verificato, e verifica, quello che professa?
Il non-verbale, allora, è ciò che lega quello che dico a quello che vivo, è ciò che mi fa amare di un amore materno chi accompagno e che mi fa sentire un legame filiale con chi mi accompagna, che poi non è altro che sperimentare, e permettere di sperimentare, l’amore paterno e materno di Dio. Deve dirlo in continuazione una madre al figlio che lo ama per essere credibile? Oppure è quello che lei è a trasmettere e a far passare il suo amore a prescindere dalle parole?

                                                                                             Maria Rosa Brian


1Questa icona è dipinta sul retro di una tavola di legno che per lunghi anni è stata usata come passaggio per una stalla senza sapere che cosa nascondesse sotto il fango di cui era incrostata. 

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