La torta di Padre Pio si prepara in dieci giorni seguendo un
certo ordine e determinate regole nella preparazione. Si inizia sempre di
domenica e si regalano tre parti dell’impasto preparato ad altrettante persone
bisognose di una grazia fisica o spirituale (e chi non ne ha bisogno?). Nel
foglio che mi è stato recapitato assieme all’impasto c’è scritto che è una
torta che si fa per devozione e per chiedere una grazia a Padre Pio. È sottolineato
che questa torta non la si rifiuta, si esprimono tre desideri e la si inforna;
durante la cottura si rivolge un pensiero a Padre Pio e tre preghiere con una
formula particolare.
Mi è stato donato l’impasto alcuni giorni fa e io, che non
sono devota a Padre Pio e che ho smesso di chiedere grazie a santi e madonne da
tanto tempo, ho buttato tutto nella spazzatura.
Mi chiedo: e se faccio la torta e la grazia non arriva? È
perché ho sbagliato qualche passaggio nella preparazione? È perché ho pregato
male? È perché Padre Pio non si è ricordato di me? È un santo distratto? Sono
convinta che più di qualcuno, anche con un certo grado d’istruzione e cultura,
non spezza questo tipo di catena perché “non si sa mai” - ce ne sono moltissime
anche via mail, SMS e WhatsApp che arrivano da chi meno te lo aspetteresti
proprio perché “non si sa mai” -.
No, questa non è spiritualità, ma superstizione: se eseguo
determinati riti in determinati modi otterrò il miracolo richiesto; ma che
razza di Dio è questo? Oltretutto è l’immagine di un Dio solo e irraggiungibile
poiché gli uomini si rivolgono non a Lui, ma a sua madre o alla schiera dei
suoi angeli e dei suoi santi che sono più accessibili e a portata di mano. Di
Dio rimane ancora troppo spesso la visione di un padrone tiranno, più che di un
padre amorevole; tutte le superstizioni e i riti dare-avere ne sono la conferma.
Di fronte a situazioni come questa, o simili - ce ne sono
infinite nella tradizione popolare e di nuove su internet! - come comportarci?
Da che cosa lasciarci parlare e che cosa zittire? A che cosa dare adito e a che
cosa no?
Per capirlo, forse dobbiamo vivere la fede con un pizzico di
scientificità. E allora domandiamoci: a che cosa la scienza da credito? Una
teoria, per avere un fondamento nella realtà (è questo che la fa considerare
scientifica) deve essere caratterizzata dalla replicabilità dei risultati.
Possiamo esprimere il concetto attraverso la formula y= f(x) ossia y
è funzione di x: ogni volta che si dà x, sempre e per tutti la conseguenza
è y.
Se non studi, sempre e per tutti la conseguenza è che ti
bocciano. Se senti dentro di te una pace vasta, profonda e duratura, sempre e
per tutti significa che quel che stai facendo è congruente con la natura
profonda che ti caratterizza.
E allora verifichiamo questa teoria con alcune domande…
Se apro la Bibbia a caso e trovo un versetto che mi dà la
soluzione a ciò che sto vivendo, sono sicuro che è stato Dio a dirmelo? Se sto
andando a dare esercizi e un'auto mi tampona, è Dio che vuol fermarmi perché
sto facendo qualcosa di sbagliato? Il raggio di sole che entra dalla finestra
dopo che nella preghiera sono stata toccata internamente da Dio è Dio stesso
che mi conferma?
E’ Dio che si diverte a entrare nella casualità?
Un Dio usato per spiegare tutto ciò che non capiamo, come
facevano nel medioevo, che fine fa quando la scienza ci spiega tutto? Lo
teniamo solo per l'aldilà “non si sa mai”?
Qual è il confine fra spiritualità e superstizione? Dove e
attraverso cosa Dio mi parla e dove invece sono io che, associando avvenimenti
e casi fortuiti, “voglio” avere un segno?
Stiamo però attenti anche a non cadere neppure nel rischio
del troppo terreno o dello psicologico: c'è anche la dimensione del mistero da
salvaguardare, dell'apertura a un oltre che, proprio per serietà scientifica,
non posso scartare, facendo finta che esiste solo quel che posso toccare e
misurare!
A Medjugorie la Madonna c'è o non c'è? Eppure tanti fanno
delle esperienze forti! E allora è la Madonna o qualche cos'altro (forse ancor
più buono della presenza della Madonna, capito il quale magari possiamo viverlo
anche altrove)?
E’ Dio che mi parla attraverso un tramonto o la pace vasta e
profonda che provo mi fa vedere Dio anche in un tramonto?
L’unità di misura è dentro di me; la lettura di ciò che
succede è interiore, non esteriore. Non è il raggio di luce che m’illumina a
essere Dio che mi parla, ma il lavoro interiore fatto attraverso la riflessione
e la preghiera a rendermi più sensibile a ciò che mi circonda e che magari gli
altri non notano o sottovalutano. Allora quel raggio di sole lo posso anche
chiamare Dio, ma so che non è Dio, almeno non tutto quello che chiamo Dio. E
allora ecco che tutto mi parla di Lui, anche se in realtà tutto è come sempre,
com’era ieri, come sarà forse domani, ma sono io ora a essere cambiata. “Ecco io faccio una cosa nuova: proprio ora
germoglia, non ve ne accorgete? Aprirò anche nel deserto una strada, immetterò
fiumi nella steppa” (Is 43,19). Ciò che germoglia, ciò che è nuovo, ciò che
si apre, tutto ciò di cui accorgerci come segno di cambiamento, la prospettiva
nuova che si scorge è dentro di noi.
La cassa di risonanza sono io, è dentro di me che vibra ciò
che mi circonda, il riferimento è sempre il mio io, il mio stare bene con me
principalmente, che è uno stare bene con Dio, e di rimando con gli altri.
Allora sta a noi discernere realmente cosa è Dio e cosa no.
Se quando faccio il bene mi sento bene, ciò che mi circonda
risulta amplificato da quel bene. Quando faccio il male mi sento “non a posto”,
sento che qualcosa non va e ciò che mi circonda mi amplifica il male che ho
dentro di me. Chi aveva fatto notare ad Adamo ed Eva che erano nudi? Nel
giardino di Eden, a parte un frutto mancante da un albero, non era cambiato
niente. Era in loro che era cambiato qualcosa, nel loro intimo, e di
conseguenza cambiava la loro consapevolezza di ciò che era fuori da loro.
Che cos’ha di miracoloso la torta di Padre Pio? Che va
condivisa, che in un’epoca dove la parte del leone la fanno l’individualismo e
la fretta, una persona, presa un po’ di pasta dal suo impasto ne fa tre parti e
va personalmente da altrettante persone a farne dono. Questo può essere motivo
di dialogo (si spera profondo e di fede autentica), di scambio reciproco di
esperienze, magari di sofferenze condivise e portate insieme. Il miracolo
dov’è? Chi ha donato l’impasto ha portato e condiviso un po’ di sé e si sente
bene; chi ha ricevuto l’impasto si è sentito “pensato e amato” e ciò non può
che fargli bene. Ma non è quel pizzico di lievito che fa fermentare tutta la
pasta? Non è questo il regno di Dio? Aspetto il miracolo o mi faccio io
miracolo per gli altri?
In conclusione mangiamoci la torta di Padre Pio in
compagnia, mandiamo la mail o il messaggio positivo che fa bene al cuore, ma
lasciamo stare formule magiche, riti, catene di S. Antonio e anticaglie varie
rivisitate in forma tecnologica.
Manteniamo gli abbracci, il sorriso, il saluto cordiale, la
stretta di mano energetica, la pacca sulla spalla, il “come stai” detto non per
formalità ma con vero interesse. Andiamo a trovare gli amici, telefoniamo più
spesso a chi è lontano, coltiviamo le relazioni e troveremo l’essenza di Dio:
l’AMORE.
Maria Rosa Brian
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