Ci sono giorni in cui vorresti
che chi accompagni riuscisse a mettere i piedi nelle tue orme, che usasse il
tuo bastone, che avesse il tuo stesso zaino, il tuo sguardo, il tuo sentire, la
tua voglia di andare avanti e far strada. Ma non è così. Perché la propria
esperienza di Dio ognuno la fa sulla propria pelle, con le proprie scarpe,
creando le proprie impronte. E saranno i suoi calli e le sue vesciche, curate e
baciate da un Dio servo per amore, a restare come segno e conferma di un
cammino fatto e soprattutto di un incontro avvenuto.
Sarà che è estate e per me
estate significa altezze e dirupi, rocce, vento, sole, silenzio. Estate è
montagna: sudore, fatica, piedi dolenti e gambe stanche. Ma anche cuore
leggero, sguardo che si riposa contro una parete o che si perde in uno spazio
che sembra non finire mai. Estate è montagna: il vento che ti punge, il sole
che ti brucia, la pioggia che ti schiaffeggia il viso. Sarà che ho voglia di
montagna, ma la montagna, o meglio, il camminare in montagna su sentieri più o
meno impegnativi e impervi può essere una metafora del cammino spirituale.
Accompagnare spiritualmente
non significa indicare un sentiero già percorso, ma rifare quel sentiero
assieme a chi accompagni.
L’accompagnatore rifà lo
stesso cammino sempre uguale con persone diverse? No, la strada non è mai la
stessa; lo è la direzione, ma non il cammino. Proprio come in montagna lo
stesso sentiero presenta sorprese e scorci sempre nuovi, anche se fatto
infinite volte, così gli esercizi Kaire sono sempre nuovi e mai uguali, perché
ogni persona ha il suo passo, il suo ritmo, la sua andatura. Ognuno ha sulle
proprie spalle il suo bagaglio di passato da aggiustare o alleggerire, ha il
suo presente da capire e imparare a gustare nonostante le difficoltà e ha un
futuro in cui credere, sperare e sognare.
Quale bagaglio porta con sé
l’accompagnatore in un cammino spirituale?Sempre lo stesso o uno a misura di chi
accompagna? E chi dà il ritmo al cammino, l’esercitante o l’accompagnatore? Chi
segue chi?
È l’accompagnatore che dà il
passo, modulandolo su quello di chi accompagna, e dal suo bagaglio tira fuori
ciò che la vita ha messo dentro come esperienze vissute nello spirito di Cristo
- con fede, speranza, amore - per entrare nelle situazioni che l’altro gli
presenta e cercare di aiutarlo a viverle con lo stesso spirito.
Nello zaino
dell’accompagnatore, allora, c’è sempre la vita, quella vera, di tutti i
giorni, con i problemi di tutti i giorni: lavoro, casa, famiglia, bilanci da
far quadrare, coniuge, figli, suoceri, genitori,ecc… I laici di tutto ciò fanno
esperienza concretamente e la loro credibilità è appunto il vivere ciò che
testimoniano e mostrare come sia possibile unire vita e fede, anzi come la vita
trovi spessore e significato nella fede. Ogni difficoltà, ogni problema se
vissuto con Cristo e nel Suo Spirito, diventa lezione di vita prima di tutto
per sé e poi anche per gli altri.
Ecco che allora ti affidi
meglio a chi senti può
capirti per esperienza. Che cosa significa, che si
riesce ad accompagnare solo chi è sulla nostra frequenza perché abbiamo
vissuto o affrontato ciò che sta vivendo? Oppure, cercando di porci noi
nella frequenza di Dio, accompagniamo chi si lascia condurre a quella frequenza
d'onda, a quelle altezze? Con chi non riesci a sintonizzarti non si riesce a
far niente? Oppure Dio lavora per strade e vie tutte sue come e quando uno meno
se lo aspetta?
È come in montagna: non puoi portare gli altri
sulle spalle, ognuno cammina con le proprie gambe e muove i propri passi, la
guida indica una via già nota, ma nemmeno lei conosce gli imprevisti del
sentiero: possibili frane, caduta sassi, pioggia, vento, grandine; però può
suggerire come affrontare gli imprevisti e li affronta con chi tiene il passo
dietro a lei: non impone, ma propone.
Chi ti accompagna in montagna ti può raccontare
di certi cieli azzurri dopo un temporale, o di certi giochi di luce e ombra, ma
non ti può dare i suoi occhi per vederli: devi tu fare la fatica di passare la
bufera per poterli gustare. Così l’accompagnatore spirituale ti può spiegare di
certi voli del cuore, di certi silenzi pieni di parole inudibili, ma non te li
può mettere nel cuore, devi andare tu a cercarli e lasciarti trovare.
E poi ci sono giorni in cui ti rendi conto che è
Dio che fa con te e che fa con chi accompagni anche senza che tu faccia niente;
e questo ti dà la giusta misura delle cose, la giusta umiltà, il giusto limite.
Sapere che alla fine tutto è sempre e soprattutto nelle Sue mani ti dà un
respiro profondo a pieni polmoni, come quando arrivi alla meta del tuo cammino
e ti siedi ad ammirare la strada percorsa: la salita, il paese là in fondo da
dove si è partiti e ti sembra impossibile di avercela fatta e di aver coinvolto
altri, titubanti e un po’ riluttanti, a seguirti. Ma chi ti ha seguito ha
camminato con le sue gambe, con i suoi passi, con il suo zaino; ha fatto strada
perché ha scelto e deciso di farla fidandosi di chi lo guidava.
Sì, alla fine siamo proprio servi inutili e
questo mi riempie di gioia e serenità: che bello non doversi prendere sempre
troppo sul serio!
E poi,dopo aver guardato la strada fatta,alzando lo sguardo ti perdi in altezze a toccare il cielo e
sogni altri sentieri sempre nuovi e appassionanti da percorrere, sempre verso
l’unica meta….ma questa è un’altra storia: un’altra avventura.
“Una cima raggiunta è il
bordo di confine tra il finito e l’immenso. Lì arriva alla massima distanza dal
punto di partenza. Non è traguardo una cima, è sbarramento. Lì sperimentava la
vertigine, che in lui non era il risucchio del vuoto verso il basso, ma affacciarsi
sul vuoto dell’insù. Lì sulla cima percepiva la divinità che si accostava” (Erri De Luca, E disse).
Maria Rosa Brian
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