“Se non sai con esattezza dove
andare, rischi di trovarti altrove e di non accorgertene”: questo detto
vale anche per la spiritualità, ossia lo specifico modo di vivere il nostro
essere cristiani.
Nella nostra relazione con Dio, con
gli altri, con noi stessi, con le nostre attività, a che cosa diamo
particolarmente valore? Che cosa caratterizza il nostro modo di amare, di
credere, di sperare? Come sono fatte le onde che danno un profilo specifico
all’elettrocardiogramma della nostra fede? Queste onde ci sono in ogni caso (a
meno che non siamo come quei “tiepidi” di Ap 3, 16 che il Signore sta per
vomitare dalla sua bocca), ma le abbiamo scelte oppure le abbiamo subite,
assorbite senza chiederci se esprimono ciò che Dio ci chiama ad essere?
P. Davide Maria Turoldo ha
inventato una nuova beatitudine: “Beati coloro che hanno fame e sete di
opposizione”. Non si tratta di essere per forza dei bastian contrari, ma di
rendersi conto che la Chiesa non è una massa indistinta guidata dalla gerarchia,
ma una comunità articolata in carismi, che la rendono operativa come un corpo
ben compaginato, in cui ciascuno è indispensabile con la funzione che è
chiamato a svolgere, nata e specificatasi nella sua personale storia di
salvezza.
Con quali attenzioni, con quali
accentuazioni viviamo il nostro carisma e la missione che ne consegue? Per i
religiosi, la grande scelta era la vita attiva o la vita contemplativa, con una
serie di differenziazioni interne e/o intermedie a queste due categorie; ma
anche i laici, riuniti nei movimenti, si caratterizzano per modi specifici di
vivere religiosamente la loro laicità.
Ogni spiritualità prende le mosse
da un’esperienza fondativa che ha risposto alle sfide della situazione umana e
sociale che il fondatore si è sentito chiamato ad affrontare, introducendo una
variante significativa alla spiritualità che già stava vivendo.
E’ stato così anche per il Kaire,
che nasce dalla spiritualità ignaziana, caratterizzata dalla centralità del
rapporto con Cristo, vissuto in maniera personale –da amici, attiva –da
compagni di missione, intelligente –nel discernimento.
Ma da questa spiritualità il
Kaire si distanzia nel modo di essere Chiesa. Ad Ignazio appartiene uno
strutturarsi gerarchico della Compagnia da lui fondata, che si inserisce nella
struttura gerarchica della Chiesa per un agire organizzato a cascata, reso
possibile dal vincolo dell’obbedienza. Un’organizzazione, questa, che a suo
tempo è stata utile per intervenire con efficienza ad arginare le spinte
centrifughe operanti al tempo della controriforma.
Il nostro tempo è però
caratterizzato dal diffuso abbandono di una prospettiva religiosa condivisa
della vita e dalla conseguente relativizzazione della ricerca spirituale.
L’uomo contemporaneo vuol essere protagonista del proprio cercare – e questo è
un aspetto da valorizzare -, ma la relativizzazione estrema rende ogni
soluzione uguale alle altre, valida per il qui e ora di chi la sta vivendo,
spesso nel disinteresse per il poi e per gli altri.
Ecco allora che il Kaire valorizza
la ricerca personale in una riappropriazione creativa, adattata ai bisogni del
presente, della tradizione della Chiesa: in altri termini, una fedeltà al
passato che si coniuga con una fedeltà al presente. E tutto ciò si esprime
praticamente nel protagonismo laicale. Chi vive nella spiritualità del Kaire è
soggetto attivo di pastorale all’interno di una Chiesa che la sua azione spinge
a diventare più ministeriale e meno gerarchica, come il Concilio Vaticano II°
aveva prospettato.
Questo, finora, ha significato
staccarsi da una dipendenza diretta dalla Compagnia per esercitare
autonomamente il ministero degli Esercizi.
Se il distacco è necessario per
esprimere una nuova identità, quello stesso Spirito che ha spinto perché ciò
che era unito si diversificasse per creare una cosa nuova, spinge poi per
rimettere in dialogo la vecchia e la nuova realtà così createsi per arricchirle
l’un l’altra della rispettiva diversità, novità utile a ciascuna per ampliare i
propri orizzonti. E sarà questo il momento in cui ciascuna, dalla propria
disponibilità al dialogo, verificherà se è più importante ciò che ha costruito
o l’essere con il suo Signore, libera da se stessa per seguirlo senza sapere
dove. Non è questa la fede?
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