Nel discutere che si fa in questo
periodo, a seguito del sinodo dei vescovi sulla famiglia, delle prospettive da
dare alle situazioni matrimoniali “irregolari”, credo che la prima cosa da fare
è cominciare a dare alle cose il loro nome: quello che normalmente chiamiamo
amore di coppia è, in realtà, la ricerca di un piacere emotivo, affettivo e
sessuale personale. L’amore, ossia il cercare il bene dell’altro per l’altro,
gratuitamente, verrà più tardi; talora anche mai. La prova per vedere se c’è
sono i contrasti di coppia: dove umanamente non ci sarebbero le condizioni per
continuare, la gratuità consente di superare questi momenti sopportando di
rimanere in credito, lasciando in prospettiva il soddisfacimento dei bisogni
emotivi, affettivi, sessuali.
Che cosa rende possibile questa
gratuità? Il sentire profondamente che la verità personale non risiede
nell’individualità, ma nella relazione: in pratica, io sono in quanto sono una
parte di noi due. Solo in questa prospettiva l’amore di coppia è fedele, unico
e indissolubile. Un amore così non si inventa: o è un’eredità familiare o è la
scoperta ispirante della relazione che Dio ha con noi (o, in termini più laici,
che c’è un Amore che ci precede e che rende vero ogni amore umano che ad esso si
conforma).
Ma un’idea da sola, per quanto
motivante, difficilmente riesce a sostenere la gratuità nel tempo. Non siamo
capaci di vivere costantemente in credito: il bisogno ci urla dentro la sua
necessità di essere soddisfatto. Possiamo continuare a dare amore senza esserne
contraccambiati dal coniuge solo se nella relazione personale con Cristo
troviamo il nutrimento che ce ne compensa. Ecco allora che solo da un
matrimonio cristiano si può sperare una relazione di gratuità che lo renda
saldo anche nei momenti di difficoltà. Gli sposi cristiani manifestano che Dio
esiste perché vivono l’amore nella gratuità proprio quando la loro relazione
attraversa momenti in cui non ha altre motivazioni umane che la sostengano. In
questi momenti il matrimonio cristiano manifesta la sua natura di scelta
“religiosa”: sussiste solo per la presenza di Dio, reale per almeno uno dei due
e tale da rendergli possibile sostenere il peso impossibile della gratuità.
Non si possono, dunque, pretendere
le esigenze della gratuità finché Dio non è, almeno in uno dei due, una
presenza talmente reale da compensare ciò che l’altro al momento gli sta
negando. Quando non c’è questa dimensione di fede, l’agape potrà allora
compiersi in una prospettiva escatologica, quando i due ritroveranno il loro
matrimonio custodito in Cristo, che farà risorgere ciò che la loro debolezza è
stata incapace di compiere, senza negare il bene che comunque, nel frattempo,
avranno costruito per riuscire a sopravvivere come potevano. Una prospettiva,
questa, che non è pensabile in una logica umana, ma è fondata sulla speranza
cristiana… che è logica di fede! Una speranza che siamo chiamati a testimoniare
avvolgendo ogni situazione di incapacità, di limite, di fallimento della coppia
in crisi nella misericordia che solo può comunicarci un Dio-agape, i cui
pensieri non sono i nostri pensieri, le cui vie non sono le nostre vie.
Fintantoché continuiamo a
giudicare, a condannare e a pretendere, dimostriamo solo di vivere una
religione senza fede.
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