1/13/2015

Accompagnare… fino alla fine

Non siamo noi che ci scegliamo i genitori e nemmeno abbiamo scelto i nostri figli.
Ecco, è lo stesso nell’accompagnamento spirituale: non sei tu che scegli chi accompagnare, ti vengono affidate delle persone; dal caso? Dalla vita? Da Qualcuno?
Quando ho saputo che quella persona che iniziava gli esercizi Kaire con me era ammalata di cancro, ammetto che il primo pensiero che ho avuto e stato: «Oddio, e se muore? Se la devo accompagnare fino alla fine? Io non lo so fare, non l’ho mai fatto, non so come si fa, non ne ho la forza e tanto meno il coraggio, non ho neanche la capacità e la preparazione».
Ho capito solo più tardi che è come con i figli: si diventa genitori grazie a loro, si cresce e si impara con loro e il maestro si chiama Amore.
Così è stato, lei ha saputo sviluppare in me risorse che non sapevo di avere, ha tirato fuori dal mio cuore e dalla mia fantasia ciò che serviva a lei e a me. Ho capito che, alla fine, a fare è appunto l’Amore, e che questo è effettivamente una forza che muove le montagne.
Mi sono trovata a percorrere corridoi d’ospedale e mi dicevo: «Ma che ci faccio io qui? Non sono neppure parente e la conosco da così poco!». Eppure mi rendevo conto che per me era ed è come una figlia e che non avrei voluto né tanto meno potuto essere altrove: il mio posto era là con lei quando potevo e appena potevo. E, proprio come un figlio plasma il genitore, lei ha fatto crescere me. Mi trovavo vicino a lei, chi avevo accompagnata, riversa in un letto di ospedale. Non servivano più né schede, né esercizi: era l’Amore, la sua stanchezza o capacità di attenzione, o il suo stato del momento, più o meno presente, a dettare il dialogo giusto, quello che si doveva fare o dire, ciò di cui c’era bisogno. E le parole spesso erano il modo di comunicare meno importante e necessario. Ogni volta me ne andavo con il cuore gonfio, mi sembrava di infliggermi un dolore difficile da sopportare, ma nello stesso tempo il mio cuore era anche colmo di dolcezza, di pace e della certezza che l’amore di cui ci facevamo dono reciproco era importante, necessario. Come l’ossigeno la aiutava a respirare, io potevo essere un po’ di ossigeno per la sua anima, potevo essere colei che portava speranza. E intanto cercavo di capire, oppure rinunciavo a capire; cercavo risposte, ma trovavo solo domande. Interrogavo un Dio che mi rispondeva a modo Suo: non come io avrei voluto, ma come a me serviva in quel momento.
Ma tutto quello che ho raccontato sin ora è solo il finale del mio accompagnarla, è solo la soglia della porta che lei ha aperto per passare oltre. Prima c’è tutto un cammino fatto insieme quando ancora era a casa, ci sono stati tanti passi verso una consapevolezza piena e serena di ciò che stava accadendo e che non è mai rassegnazione, ma lotta e voglia di vivere sino alla fine. C’è stato un “pianificare”, un preparare insieme che ha contribuito a darle un po’ più di serenità. E anche allora il mio andare da lei era come dice Gesù “Non procuratevi oro né argento né denaro nelle vostre cinture, né sacca da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone.” (Mt 10,9.10): non c’era bisogno di preparare il dialogo, di portare parole, di sfoderare frasi fatte, no, nulla di tutto ciò: era l’amore a suggerire, a costruire il colloquio: si coglieva ciò di cui c’era bisogno.
Dentro di me, allora e fino alla fine, un dolore a chiudermi lo stomaco, una rabbia che pretendeva di capire il perché; e poi un affidarmi e un fidarmi di ciò che non capivo. Per me era tutto insignificante e assurdo… eppure… eppure, ora che è morta, ancora non capisco e mai troverò risposta a certe domande. Ma ora so e mi sembra di aver capito che alla fine ciò che resta è solo l’amore: amore dato e amore ricevuto. Non siamo noi il centro del mondo: facciamo qualche passo nel palcoscenico della vita, abbiamo la nostra parte che può essere più o meno lunga, più o meno importante. Ci viene chiesto di fare quei passi danzando con gusto, con passione, con gioia e con amore. Ci viene data la possibilità di muovere i nostri passi tenendoci per mano gli uni con gli altri e in quell’intreccio di mani sentire il calore della mano di Dio.
Ecco, questo è che mi auguro il Kaire sia riuscito a darti, carissima “figlia” mia.



Giorni in prestito

Vorrei…vorrei una banca del tempo
che presti giorni.

Ipotecherei i miei,
per darli a te: figlia amica sorella.
Me li restituirai quando di giorni sarai sazia,
e non saprai più che fartene di tanta grazia.

Ora quei giorni li useresti bene,
 garantisco io per te: figlia amica sorella.
Li sapresti spremere come limoni maturi,
li sapresti gustare e assaporare.

Del tempo una banca vorrei che presti giorni,
per te che li sai vivere: figlia amica sorella.
Un assegno in bianco per te staccherei,
scrivi tu l’importo: preleva pure tanti giorni miei.

Una banca vorrei che presti giorni,
ma non solo a te: figlia amica sorella.
Che presti giorni a chi, come te, ha voglia di usarli,
di viverli bene e consumarli.

Vorrei… vorrei darti giorni miei.
Ma riesco solo a tenerti per mano.


                                                                                       Maria Rosa Brian

3 commenti:

  1. ...bellissima... è una riflessione, se così possiamo dire, molto profonda ... questa persona che tu chiami fra virgolette figlia e io potrei chiamare sorella ha donato qualcosa a tutte le persone che l'hanno conosciuta... e tu sei riuscita ad avere la forza ed il coraggio e mi permetto di dire (lasciatemi passare il termine sebbene non sia quello più adatto) , la grazia di accompagnare questo essere di luce nel passaggio finale del suo percorso di vita... Kaire , è stata anche questa esperienza dolorosa ma ricca di Amore gratuito e di Amore vero e puro.. un abbraccio da un figlio che ha condiviso questo straordinario percorso di vita e che mi ha plasmato e reso più consapevole. grazie a te, a Marty e al Kaire...

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  2. Ciao Cri, ti lascio una frase non mia: "Non affaticarti per aggiungere giorni alla tua vita, ma aggiungi vita ai tuoi giorni" In effetti a fare la differenza è la bellezza, lo spessore, il senso, la gioia, la difficoltà e la fatica anche, che mettiamo in ciò che facciamo. In una sola parola nell'AMORE di cui riempiamo la nostra vita.

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  3. Mi sono chiesto come mi piacerebbe essere accompagnato verso la mia morte. Vorrei avere vicine le persone a me care, con cui ricordare i momenti belli vissuti assieme, ringraziare Dio per il bene che ho fatto e per come anche il negativo si è trasformato in un bene. E che qualcuno mi tenga la mano passandomi alla mano di Colui nel quale ho sperato.

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