3/02/2015

Uscire dalla disperazione

A volte sembra proprio che la vita, o Chi per lei, si accanisca contro le persone addossando loro pesi insopportabili. Davanti a certe situazioni c’è veramente da restare senza fiato. Potrebbe sembrare normale e scontato uscirsene con un: «Perché ancora?!», a cui non c’è risposta, con il rischio di trarre conclusioni nostre e tirando in campo un dio cieco e sordo che punisce chissà quale colpa, o il caso infausto e impazzito che non lascia scampo né spiegazioni.
L’accompagnatore stesso per primo ne è scandalizzato e intimorito, non sa cosa dire e cosa fare… finché non si lascia essere semplicemente amore, abbandonando giudizi e recriminazioni, smettendo di cercare e volere soluzioni e spiegazioni.
Nell’ascoltare queste situazioni, deve lasciare che la persona possa sfogare le proprie emozioni: la rabbia, la paura, l’angoscia devono potersi dire, devono poter essere urlate, piante, gettate addosso a Dio e a chi glielo sta rendendo presente. Una prospettiva di speranza, fatta balenare troppo presto, fa sentire la persona non capita, non accolta nell’immensità del suo dolore. Come pure certe frasi troppo semplicistiche e scontate la fanno cadere nella rabbia e nella solitudine. «Non c’è bisogno che mi dici che Dio mi ama, che sono forte, che imparerò chissà cosa da questo dramma che sto vivendo. Ho bisogno di sentirlo questo Dio, di viverla questa vicinanza, fisicamente ed emotivamente»: questo è ciò che dice, più o meno verbalmente, chi sta in una sofferenza.
L’accompagnatore, attraverso la propria accoglienza, muta e, al limite, espressa in qualche gesto, può permettere alla persona di sentire che c’è un’Accoglienza, una Vicinanza a ciò che sta vivendo; e così essa, pian piano, permette a Dio di starle accanto senza più accusarlo e bestemmiarlo.
L’accompagnatore si fa dunque tramite di questo incontro: è l’abbraccio di Dio, è mediazione di Dio.  Di un Dio crocifisso e risorto.

Di un Dio crocifisso ho bisogno per sentire che non sono solo e non sono il solo ad affrontare il peso di un mondo che mi è caduto addosso. A questo Dio come me schiacciato e impotente posso cominciare a parlare per capire con Lui cosa posso fare. Lui ha già percorso questa strada, sperimentando che ogni morte vissuta con un po’ di fede, con un po’ di speranza, con un po’ d’amore si apre a una vita nuova, diversa, spesso insperata. E’ un Dio risorto! La speranza allora è questa: se Lui, che ora è in croce con me, è risorto, io con Lui posso e voglio risorgere…
Una prospettiva, questa, attraente ma comunque pesante per chi ha solo la forza di sopravvivere. E, allora, “momento per momento…”. Non riesco a farmi programmi, a pormi obiettivi, ma, “momento per momento”, posso pensare e fare quel piccolo passo che è a mia misura su questa strada che, pur recalcitrando, voglio far mia perché l’unica su cui intravedo una speranza. Quando si è dentro ad una situazione che sembra senza soluzioni, è inutile fare progetti a lungo termine; meglio, piuttosto, guardare alla cosa più imminente da affrontare. Anche questa è speranza: non lasciarsi prendere dall’angoscia del futuro, ma fidarsi di un Dio che in qualche modo, magari incomprensibile per ora, è presente e accanto a me per aiutarmi a fare il prossimo passo.

L’accompagnatore fa quello che è nella sua capacità di fare ricordando bene che a ognuno compete il proprio campo di azione: lui non può fare tutto, ma solo ciò che è nelle sue competenze. Il pericolo è di voler strafare rischiando di non fare neanche quello che è nelle sue possibilità e, allo stesso tempo, di far venir meno l’aiuto di altri competenti in materia. Ecco allora che, spesso, il passo successivo è semplicemente affrontare l’urgenza, riferendo la persona a specifiche professionalità che possano dare una risposta ai problemi che si trova a vivere; o, ancora, attivando una rete di solidarietà che possa alleggerire il carico che la sta schiacciando.

Altre volte la situazione non è così tragica, ma può comunque amareggiare e non avere prospettive d’uscita. Il rischio è quello di sprofondare nella depressione, nella recriminazione, nel desiderio di vendetta contro chi me l’ha creata.
Alzare lo sguardo è allora la prima cosa da fare: c’è altro e c’è un Altro!
Il problema c’è, ma non è il tutto della mia vita. A volte può bastare accorgermi che è una bella giornata di sole, che non mi mancano l’ascolto e la parola di un amico, che dal mio cuore e dalle mie mani sono uscite tante cose belle…
E poi ho con Chi parlarne: non è già questo un sollievo? Poter contare su un Dio che mi dice «Non temere: io sono con te» e con la sua vicinanza nutre in me la speranza, la fiducia, l’amore…
Darmi tempo è la seconda mossa appropriata alla situazione. Le emozioni violente e istintive influenzano le prime ipotesi di reazione, per poi calmarsi e lasciare via via più spazio alla razionalità, alla creatività, a una bontà fattiva e concreta, anche se pungente per l’amor proprio. E’ un po’ un dare spazio a quella nostalgia di Dio che mi riporta accanto a Lui, che mai si è staccato dal mio fianco, voce di sottile silenzio che suggerisce al cuore in tumulto quel che è vero.
Infine, per riemergere è importante prendere in mano la situazione e non sentirmene vittima impotente: pur tra le macerie, decido cosa fare e lo faccio! La vicinanza di Dio è per rimettermi in piedi a lottare, non un rifugio che mi evita di impegnarmi. Dopo aver rinunciato a reagire d’istinto, posso pensare, per agire con intelligenza e creatività. Una strada che si chiude mi obbliga a guardarmi attorno e mi fa scoprire l’esistenza di altre che mai avevo considerato; e potrei arrivare a “benedire” la mia disgrazia, che si rivela porta di accesso a qualcosa di meglio. In ogni caso, lo spazio di protagonismo che mi ricavo mi fa sentire vivo e alla guida della mia vita.
E, nel frattempo, decido anche di volermi bene: regalandomi quel che rallegra onestamente il mio cuore o tornando a impegnarmi in ciò che mi appassiona scopro che un Altro mi dona tanto altro per rendere bella e piena la mia vita.

Maria Rosa Brian
Michele Bortignon




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